Fiaba di Luigi Capuana
C’era una volta un vecchio tornitore che faceva trottole d’ogni forma e d’ogni grandezza.
Quand’era la stagione delle trottole, i ragazzi si affollavano nella sua bottega:
– Tornitore, mi fate una trottola?
– Piccola o grande? Piatta o col cocuzzolo?
Secondo che la volevano piccola o grande, piatta o col cocuzzolo, egli adattava subito un pezzetto di legno al suo tornio, e con un piede sul pedale e in mano lo scalpello, si metteva a lavorare lesto lesto, brontolando:
– Trottolina, piatta piatta,
Gira gira e fa la matta!
Oppure:
– Trottolone fatto a pera,
Gira gira fino a sera!
E continuava a brontolare così, fino a che la trottola non era bell’e finita. Quel brontolìo era lo spasso dei ragazzi, che spesso gli facevano il verso:
– Trottolina, piatta piatta,
Gira gira e fa la matta!
Trottolone fatto a pera,
Gira gira fino a sera!
– Ecco qua. Due soldi, tre soldi.
E i ragazzi andavano via contenti come pasque.
Un giorno passò davanti a quella bottega il Reuccio, e si fermò a guardare.
Il tornitore stava per terminare una bella trottola e brontolava, al suo solito, senza levar gli occhi dal lavoro.
– Tornitore, fatemi una trottola anche per me.
– Piccola o grande? Piatta o col cocuzzolo?
– Piccina piccina.
– Sarà servito. Vedrà che trottolina. Parlerà.
E subito con un piede sul pedale e in mano lo scalpello, si mise a lavorare lesto lesto, brontolando:
– Trottolina piccinina,
Pel Reuccio gira gira.
Trattandosi del Reuccio, il tornitore andò egli stesso dal fabbro ferraio per far mettere alla trottolina un picciuolo di ferro ben limato e lisciato, e il giorno appresso la portò al palazzo reale: si attendeva un grosso regalo. La trottolina gli era riuscita una bellezza. Prima di andare a consegnarla, l’aveva provata. Girando, faceva un brisìo lieve lieve; non che parlare, pareva cantasse. Dicendo al Reuccio: La trottolina parlerà, il povero tornitore intendeva dire appunto di quel brusìo.
Il Reuccio però non l’aveva capita così.
E visto che la trottola non parlava, si mise a strillare, a pestare i piedi:
– Voglio la trottolina che parla! Voglio la trottolina che parla!
Accorsero il Re e la Regina. Il tornitore spiegando la cosa, tremava come una foglia. Intanto il Reuccio continuava a strillare, a pestare i piedi:
– Voglio la trottolina che parla!
Disse il Re al tornitore:
– Tu hai promesso di fare al Reuccio una trottolina che parla, e bisogna che parli. Se domani non gli porti la trottolina parlante, guai a te!
Il tornitore andò via più morto che vivo.
– Ah! Poverino a me! Come fare una trottolina che parli davvero?
Quella notte non chiuse occhio, piangendo e lamentandosi: Poverino a me! La mattina venne un servo del palazzo reale:
– Sua Maestà vuole la trottolina che parla.
A un tratto il tornitore ebbe un’idea; e tutto allegro andò dal Re:
– Maestà, la trottolina l’ho fatta io; ma la lingua gliel’ha fatta il fabbro ferraio; se la trottolina non parla, è colpa sua.
Il Re si capacitò.
– Aspetta lì; mandiamo a chiamare il fabbro ferraio.
E il fabbro ferraio venne:
– Maestà, che comanda?
– La trottolina del Reuccio dovrebbe parlare; il tornitore l’ha fatta e tu gli hai messo la lingua di ferro; gliel’hai messa male. Se domani non mi riporti la trottolina parlante, guai a te!
Quel furbo rispose:
– È vero, Maestà; io le ho messo la lingua, ma la bocca gliel’ha fatta lui; se la trottolina non parla, è colpa di chi non ha saputo farle bene la bocca.
– Ah! Ve la mandate dall’uno all’altro?… O domani riporterete qui la trottolina parlante, o guai a voi.
Andarono via tutti e due più morti che vivi.
– Ah, poverini noi! Come fare una trottolina che parli davvero?
– Andiamo da un Mago – disse il fabbro ferraio. – Chi sa? Potrà farcela lui.
E andarono subito dal Mago.
Giusto egli aveva per le mani una bambolinuccia che parlava.
– Date qua la trottolina.
V’incollò la bambola sopra, avvolse attorno al picciuolo il laccetto, e fece girare la trottola per prova.
La trottola girava e la bambola parlava:
– Buon giorno, Reuccio! Buona sera, Reuccio!
Il Reuccio, com’ebbe quella trottolina, si mise a saltare dalla gioia.
Il Re fece al tornitore e al fabbro ferraio un magnifico regalo, ed essi ne portarono una buona parte al Mago.
– Tenete tutto per voi; io non voglio nulla.
Il Reuccio passava le giornate facendo girare la trottola. E la trottola:
– Buon giorno, Reuccio! Buona sera, Reuccio!
Alla bambola egli aveva messo nome Trottolina, e non voleva fare il chiasso altro che con lei.
Crebbe, e intanto non cessava mai di giocare a trottola; il Re n’era seccato.
– Non sei più un ragazzo. Ora devi prender moglie.
– Sposerò Trottolina.
Il Re montò sulle furie; prese la trottola e la sbatacchiò sul pavimento. La bambola schizzò da una parte e la trottolina, spaccata in due pezzi, dall’altra.
– Ecco come sposerai Trottolina!
Il Reuccio stette zitto e andò a chiudersi in camera sua. Non voleva più uscirne. Quand’era solo piangeva:
– Ah, Trottolina mia! Non puoi dirmi più: Buon giorno, Reuccio! Buona sera Reuccio!
Si ammalò. Aveva una febbre lenta, dimagrava dimagrava; e i medici non sapevano dire che male fosse.
Il Re e la Regina erano disperati: si vedevano morire lentamente il Reuccio sotto gli occhi, senza potergli dare nessuno aiuto.
Uno dei medici domandò:
– Ha avuto qualche grave dispiacere il Reuccio?
– No.
Il Re e la Regina non potevano mica immaginare che il Reuccio morisse di languore per Trottolina.
Ma il dottore insistette:
– Reuccio, vi hanno dato qualche gran dispiacere?
– Mi hanno rotto Trottolina.
Allora il Re mandò a chiamare il tornitore e il fabbro ferraio:
– Fatemi pel Reuccio un’altra trottola parlante.
– Maestà non sappiamo più farla.
– O domani l’avrò qui, o guai a voi!
Quei due andarono via più morti che vivi.
– Ah, poverini a noi! Chi sa se il Mago ce ne farà un’altra?
E corsero da lui.
– Voi, tornitore, fate la trottola; voi, fabbro ferraio, appiccicatele il picciuolo di ferro ben limato e lisciato, e poi tornate da me.
Il Reuccio così riebbe la trottolina parlante e si mise a farla girare.
La trottola girava, e la bambola parlava:
– Buon giorno, Reuccio! Buona sera, Reuccio!
Ed ora aggiungeva:
– Quando ci sposeremo, Reuccio? Quando ci sposeremo?
Con meraviglia di tutti, trottola e bambola crescevano di giorno in giorno, quasi fossero vivi. Ma Trottolina parlava soltanto quando la trottola girava,
Che potevano fare il Re e la Regina? Visto questo prodigio di Trottolina che cresceva, e purché il Reuccio non tornasse ad ammalarsi, acconsentirono che la sposasse. Tanto era un matrimonio per chiasso.
Pei primi giorni passò. Il Reuccio faceva girare la trottola, e Trottolina parlava. La trottola girava per dei quarti d’ora, senza fermarsi; correva di qua e di là, e il Reuccio le correva dietro:
– Fermati, Trottolina!
Trottolina si fermava, ma allora non parlava più. Girando girando, sembrava proprio viva. Fermata, era una bambola di legno e niente altro.
Gli venne a noia. La buttò in un angolo della camera e non la cercò più.
La notte, sentiva un lamento:
– Ah, Reuccio, Reuccio, come m’hai abbandonata!
Saltava da letto, credendo che Trottolina fosse già diventata persona viva: andava a guardarla; niente. Trottolina era tuttora di legno e stava appoggiata contro il muro in quell’angolo dove l’aveva buttata.
Ogni notte però quel lamento:
– Ah, Reuccio, Reuccio, come m’hai abbandonata!
Il Reuccio non poteva più dormire. Ordinò che gliela levassero di camera e la portassero in cantina. Non valse.
Tutte le notti, dalla cantina sentiva fino in camera sua quel lamentio.
– Non vuoi chetarti? Aspetta: ti concio io!
Scese in cantina con un’accetta, per fare in pezzi trottola e Trottolina; ma alla vista di lei, che era così bella e graziosa, sentì intenerirsi il cuore.
Era cresciuta tanto che pareva una bella ragazza di diciotto anni; e ora, per far girare la trottola ci voleva molta forza. Non si trattava più d’una trottolina, ma d’un trottolone, e invece d’un laccetto, occorreva proprio una fune.
I genitori del Reuccio erano morti; il Re era lui. Mancava la Regina; e i Ministri gli dissero:
– Maestà, il matrimonio con Trottolina non regge: sposate una donna vera.
Il Re si lasciò persuadere e risolvette di sposare la Reginotta di Spagna.
Il giorno delle nozze, la Reginotta di Spagna si sentì male tutt’a un tratto e in poco d’ora morì.
Il Re se n’accorò. La notte, il solito lamentìo:
– Ah, Reuccio, Reuccio, come m’hai abbandonata!
– Non sono più Reuccio. Aspetta: ti concio io!
Scese in cantina, prese delle fascine, le messe torno torno alla trottola e a Trottolina e vi appiccò il fuoco. Una vampata; ma la trottola in fiamme cominciò a girare a girare, mettendo fuoco a ogni cosa. Saliva le scale, correva per tutte le stanze del palazzo reale, e dove passava attaccava il fuoco. In un attimo il palazzo fu in fiamme.
La trottola girava e Trottolina parlava:
– Buon giorno, Maestà! Buona notte, Maestà!
Il Re le correva dietro, tentando di spegnere le fiamme:
– Fermati, Trottolina!
Ma si bruciacchiava le mani inutilmente: Trottolina non si fermava; e sembrava lo canzonasse col suo:
– Buon giorno, Maestà! Buona notte, Maestà!
Attorno al palazzo c’era una gran folla, accorsa per spegnere l’incendio. Chi attingeva acqua, chi portava le secchie, chi le vuotava; fatica sprecata: più acqua buttavano e più le fiamme prendevano forza; salivano fino al cielo. Dal gran fumo non ci si vedeva. E tutti piangevano il Re che doveva essere carbonizzato a quell’ora, insieme coi Ministri e le persone di corte.
Quando fu giorno, invece che si vide? Nel luogo del palazzo reale c’era un magnifico giardino, e più in là un altro palazzo reale, al cui confronto quello bruciato sarebbe parso una bicocca.
E pei viali del giardino il Re e Trottolina, diventata persona viva, di carne e d’ossa, che presi per mano passeggiavano come se nulla fosse stato. Trottolina diceva scherzando al Re:
– Buon giorno, Maestà! Buona notte, Maestà!
Ma non girava più; non aveva più la trottola sotto i piedi.
Ora che Trottolina non era di legno, il Re la sposò per davvero.
E furono marito e moglie;
A loro il frutto, e a noi le foglie.