Fiaba di Luigi Capuana
C’era una volta un Re pieno di strani capricci. Era nato con una gamba più corta dell’altra e camminava zoppicando. I cortigiani, per adularlo, fingevano di zoppicare come lui. Quando però andava fuori e vedeva per le vie la gente che camminava diritta, senza arrancare, ne aveva dispetto; e un giorno gli venne il ghiribizzo di ordinare che, pena la testa, i suoi sudditi, uomini e donne, dovessero camminare zoppicando.
Obbedirono. Con re Cianca, come lo chiamavano, non si canzonava; ognuno aveva caro di conservarsi la testa su le spalle! Soltanto una vecchina non se ne diè per inteso; e, quasi lo facesse per dispetto, passava e ripassava diritta e impettita, nonostante gli anni, davanti al palazzo reale.
– Come? – gli diceva la gente. – Non avete paura che vi si tagli la testa?
– Non me ne curo: tagliatene una, me ne rinasce un’altra; sono ben provvista.
Il Re aveva messo le spie, per sapere se c’era qualcuno che non rispettasse il decreto, e quando gli riferirono la risposta della vecchia, montò in furore:
– Conducetemela qui, legata mani e piedi!
– Tu dunque, vecchiaccia, non vuoi zoppicare? – le disse.
– No, Maestà; ho buone gambe, grazie al cielo.
– Ed è vero che hai risposto: Tagliata una testa, me ne rinasce un’altra?
– Sì, Maestà. Sono ben provvista.
– Lo vedremo, vecchiaccia!
Fece chiamare il carnefice, con la scure arrotata di fresco. La vecchia non si turbò. Senza che gliel’ordinassero, s’inginocchiò davanti al ceppo, vi posò la testa e attese il colpo. Il carnefice alzò la scure, ma rimase con le braccia in aria, come pietrificato.
– Maestà, non posso. C’è qualcuno che mi trattiene!
Il Re diventò più furibondo:
– Prendete una corda, ungetela di sapone e fate un nodo scorsoio attorno al collo di costei!
I Ministri mandarono a comprare una corda nuova, resistente, la unsero di sapone con le loro mani, per entrar meglio nelle grazie del Re. Fecero, con le loro mani, il nodo scorsoio attorno al collo della vecchia, e poi, due da un capo della corda e due dall’altro, cominciarono a tirare con tutta la forza che avevano, puntando i piedi sul pavimento, ma il nodo scorsoio non stringeva. E tira, tira, tira, la corda si spezzò; e tutti e quattro, due di qua, due di là, caddero rovescioni a gambe per aria,malconci che stentarono a rizzarsi: – Ahi! Ahi!
Il Re, per un momento, ebbe una gran voglia di ridere, ma vedendo che rideva anche la vecchia, diventò ancora più furibondo.
– Costei è una Strega! – urlò. – Legna! Legna da farle un bel falò attorno, e arrostirla come si merita!
Tutta la gente di Corte scese giù nella legnaia del palazzo, e ognuno tornò su carico di legna quanto più poteva, per entrar meglio nelle grazie del Re: chi ceppi, chi ramaglie, chi fascine.
Quando tutto fu disposto attorno alla vecchia che stava a guardare quasi non si trattasse di lei, il Re stesso accese il fuoco che divampò lestamente. Se non che le fiamme, invece di avvolgere la vecchia, si rovesciarono fuori all’intorno violentissime, investirono parecchi cortigiani e fin un lembo del manto reale ne fu lambito e bruciacchiato.
Il Re era sbalordito. La legna si era consumata e la vecchia, rimasta incolume, aveva su le labbra un risolino che ora più non indispettiva Sua Maestà, ma le metteva paura.
– Chi siete? Una Strega o una Fata?
– Sono una Fata!
Il Re allibì.
– Scusate! Scusate! Che posso fare per voi? – domandò alla vecchia.
– Niente!
Diventò una meravigliosa forma di luce che abbagliava, e, tutt’a un tratto, sparì.
Il Re, quasi per ammenda di quel che aveva fatto, mandò fuori un altro decreto:
– Da oggi in poi, nessuno più finga di zoppicare nel regno!
Ma la gente aveva contratto l’abitudine di zoppicare che il Re fu costretto a far bandire:
– Zoppichi pure chi vuole!
E quando vedeva passare davanti al palazzo reale qualcuno che arrancava come lui, non sapeva indovinare se lo facesse a posta o se realmente ciampicasse; e nel suo interno si rodeva.
A poco a poco divenne malinconico e scontroso. Voleva restar solo; non riceveva neppure i Ministri, che per ciò facevano a modo loro, e ne facevano di tutti i colori. Si aggirava, ciampicando, per le vaste sale del palazzo.
Ma dunque non c’era un dottore, un Mago nel suo regno da ridurgli la gamba corta uguale all’altra?Venne un dottore, e gli disse:
– Maestà, io potrei accorciarvi quella più lunga. Val quasi lo stesso.
Che! Che! Sarebbe diventato un nachero, più ridicolo che non fosse ora. O allungare la corta o niente!
Venne un Mago, vecchio, canuto, con un barbone fino ai piedi.
– Maestà, questo è un unguento capace di allungarvi la gamba più corta. Bisogna ungerla con esso e strofinarla forte forte fino a quando sentirete un dolore acuto che vi farà gridare dallo spasimo. Dovete aver pazienza. Una volta al giorno, non più. Ne prenderete quanto un cece, lo spalmerete nel cavo della mano e, via, a strofinare forte forte. Facendo così, dopo un anno, un mese e un giorno, sarete guarito. Non dovete però aver fretta; sarebbe peggio.
– Vi pagherò, dunque, dopo guarito.
– Maestà, quest’unguento, se non è pagato prima, non opra.
– E se non oprerà anche pagato?
– Maestà, qui c’è la mia testa! ….
Il Re cominciò sùbito la cura. Ogni sera, prima di andare a letto, apriva lo scatolino dell’unguento, ne prendeva quanto un cece, lo spalmava nel cavo della mano e poi, strofina, strofina, strofina, fino a che non sopravveniva l’insopportabile dolore che lo faceva urlare dallo spasimo.
Dopo due mesi di medicatura, il Re si accorse che quel vecchione di Mago non lo aveva ingannato: la gamba corta cominciava sensibilmente ad allungarsi.
Doveva proprio attendere che si compisse il tempo stabilito da quello? Se invece di una al giorno facesse due, tre strofinazioni, non guarirebbe più presto? Il Mago lo aveva ammonito che sarebbe peggio; ma era, certamente, un’astuzia, per accreditare di più la sua medicina.
E il Re, esitato un po’, decise di farsi, tre, quattro, cinque strofinazioni al giorno, non curandosi dell’atroce dolore che provava ad ognuna di esse. E così, strofina, strofina, strofina, egli vedeva allungarsi la gamba a vista d’occhio. Se non che, quando, raggiunta la giusta misura dell’altra, avrebbe dovuto fermarsi, essa continuò, per una settimana, a crescere per conto suo: e il Re si trovò cianca all’incontrario; invece di ciampicare da destra, ora ciampicava da sinistra. Fortuna che quella maledetta gamba si fosse arrestata di crescere!
Mandò corrieri per tutto il regno, in cerca del Mago. Nessuno sapeva dove abitasse: chi diceva in cima a una montagna, chi in una grotta sotterranea. Finalmente lo trovarono in mezzo a un bosco, intento a raccogliere erbacce selvatiche.
– Dite al Re che io non c’entro più. Si rivolga a fata Luce.
Udita la risposta, il Re capì che si trattava di una vendetta della vecchia che aveva detto:
– Sono una Fata!
Dove rintracciarla? Pensò di rifare il decreto:
– Pena la testa, tutti i sudditi, uomini e donne, devono camminare zoppicando!
Forse la Fata sarebbe ricomparsa sotto sembianze di vecchia; questa volta, però, l’avrebbe invitata a Corte, e le avrebbe reso tutti gli onori possibili.
Ma la vecchia che si era rifiutata di zoppicare non comparve; e i sudditi cominciarono a stancarsi dei ghiribizzi di Re Cianca.
Così, un giorno, tutti di accordo, rifiutarono di imitarlo. Il Re montò sulle furie. Se la prese coi Ministri:
– A questo modo mi fate rispettare?
E, spingendoli per le spalle, li cacciò via.
Uno di essi, il più anziano, ebbe allora il coraggio di rispondergli:
– Maestà, è rispettato chi rispetta; e voi non rispettate nessuno! Per questo, Cianca siete e Cianca resterete!…
Stretta la foglia, larga la via,
dite la vostra, che ho detto la mia!