Fiaba dei fratelli Grimm nella versione di Gian Dàuli
C’era una volta una regina ch’era chiamata la Buona, perchè passava tutto il suo tempo ad accudire con gioia alle faccende domestiche; paziente, alacre e volonterosa.
Un giorno, di pieno inverno, che cadeva la neve a larghe falde, questa regina se ne stava a cucire, seduta accanto alla finestra. Il davanzale era coperto di neve e il suo candore, più che mai, risaltava nella cornice d’ebano della finestra. Ad un tratto, la buona regina, mentre guardava le falde di neve scendere come candide piume dal cielo, plumbeo, si punse un dito con l’ago. Tre stille di sangue caddero sulla neve, e la regina ammirando il bel rosso che risaltava sul candido strato, mormorò fra sè:
— Oh! potessi avere una mia bambina che fosse bianca come la neve e avesse un buon sangue vermiglio come questo che ora contrasta col candore della neve, e gli occhi e i capelli neri avesse come l’ebano di questa finestra! Quanto sarebbe bella! E come ne sarei felice!
Non passò molto tempo che infatti venne al mondo una reginella.
Aveva la pelle bianca come neve,
Le gote liscie e rose come mele,
Chiome lucenti aveva come spere,
Folte ricciute e nere.
Questa reginella tanto bella diede una gioia immensa al re e al suo popolo; ma la gioia fu seguita da un grande dolore: la buona regina morì poco dopo… Alla reginella diedero il nome che aveva suggerito la mamma sua morendo, e la chiamarono Biancaneve.
Il re era un uomo spensierato ed aveva poca memoria. Dopo un anno volle avere un nuova regina e sposò una donna bellissima, che era chiamata la Bella, ma che era altera, vanitosa e cattiva. Essa non voleva che alcuna donna fosse più bella di lei. Possedeva uno specchio meraviglioso, uno specchio magico che sapeva parlare. La regina non cessava mai di contemplarvi la propria bellezza continuando a chiedere se vi fosse, nelle sue terre, una più bella di lei. E insistentemente chiedeva:
Amico specchio, fedele specchietto,
Tu levami la pena e parla schietto:
Dimmi se son fra tutte io sola quella
Che nel mondo tu stimi la più bella!
e lo specchio rispondeva:
Regina, mia Regina, son sincero:
Mai vidi più di te bella davvero!
La regina era felice perchè sapeva che lo specchio non poteva mentire.
Ma Biancaneve cresceva ed ogni giorno diventava più bella. A sette anni era radiosa come il più bel giorno di sole. Accanto a lei la bellezza della matrigna sembrava oscurarsi. E un bel giorno, la vanitosa regina, che come al solito interrogava lo specchio fedele, s’ebbe da questo la seguente risposta:
Sincero son : la tua bellezza è grande,
Ma Biancaneve spande
Un incanto gentil di nuova aurora
Che mai non vidi ancora.
La regina a queste parole, aveva impallidito d’ira e d’invidia e da quel giorno le era nato in cuore un odio profondo per la figliastra. E incominciò così a tormentarla di giorno e di notte. Poi l’odio divenne così grande che non potè più.
Chiamò allora un suo fidato guardacaccia e gli disse:
— Condurrai la principessina nel più fitto della foresta e la ucciderai, perchè io non posso più vedermela intorno. E bada, a prova della tua obbedienza, voglio che tu mi porti il suo cuore.
Il guardacaccia ubbidì e condusse via Biancaneve. Ma quando furono lontani lontani, tutti soli nel mezzo del bosco e il guardacaccia sfoderò la sua spada per uccidere la principessina, essa si mise a piangere dirottamente e a supplicarlo di lasciarle la vita.
— Se la regina non mi vuole, ti prometto che non tornerò alla reggia mai più, ma non uccidermi, non uccidermi, ti supplico.
Il povero guardacaccia abbassò la spada e guardata la bambina ch’era tanto bella, preso da grande pietà, rispose:
— Vai piccina, vai, fuggi via subito.
Il guardacaccia pensava che le bestie feroci, delle quali era pieno il bosco, avrebbero ben presto divorato la piccina; ma egualmente si sentiva il cuore più leggero di non essere stato costretto ad ucciderla con la sua spada. Diede la caccia a un animale selvatico, l’uccise e gli strappò il cuore. Lo portò poi alla regina come prova che aveva eseguito il suo ordine. La cattiva regina credendolo il cuore dell’odiata figliastra, lo fece cucinare e lo mangiò avidamente, felice ormai di essere ancora una volta la donna più bella delle sue terre.
Intanto, la povera Biancaneve rimasta sola nell’immensa foresta tremava di paura al più piccolo fruscìo, al più lieve stormire di foglie. Ora camminava lenta lenta guardandosi intorno e trattenendo il respiro: ora si metteva a correre, senza badare nè a sassi, nè a spine, per sfuggire alle bestie feroci. S’accorse, tuttavia, ben presto, che le bestie le passavano accanto senza farle alcun male, e allora riprese coraggio.
Andava, andava, senza saper dove andava e perchè andava, e così passò sette valli e varcò sette monti e alla fine i piedi non la ressero più. Scendeva anche la notte frattanto e lei, poverina, non sapeva dove avrebbe potuto trovar rifugio per dormire. Al momento che stava per cadere a terra sfinita, le apparì dinanzi, come in un miraggio, una bella casettina, piccina piccina.
Dopo un momento di esitazione, Biancaneve entrò nella casetta. Con sua gran meraviglia, nella minuscola casa tutte le cose erano sì, piccole piccole, ma pulite e ordinate. Nel mezzo c’era una tavola apparecchiata per sette persone e intorno alle pareti sette lettini con le lenzuola candide come la neve. Sulla tavola vi era pane, minestra e vino. Biancaneve aveva tanta fame e tanta sete, che decise di mangiare da ogni piatto una cucchiaiata di minestra, di ogni pane un boccone, e da ogni bicchiere di bere un sorso di vino. Pensava che così facendo il danno non sarebbe stato grande, e non avrebbe fatto torto a nessuno.
Dopo aver mangiato, Biancaneve fu presa da un gran sonno e allora pensò di coricarsi in uno di quei candidi lettini. Ma il primo era troppo stretto, il secondo troppo corto, il terzo troppo lungo, il quarto troppo largo, il quinto troppo duro, il sesto troppo basso; il settimo soltanto era quello che andava bene per lei.
Si coricò dunque e si addormentò d’un sonno profondo.
Così Biancaneve dormiva, dormiva,
Sul candido letto di morbide piume,
Sognando cullarsi alla tacita riva
D’un lento e lucente magnifico fiume.
E mentre tranquilla dormiva, dormiva,
Dal cielo la mamma scendeva alla riva.
La casettina, dove aveva trovato rifugio Biancaneve, apparteneva a sette piccoli nani, che dall’alba al tramonto scavavano la montagna vicina in cerca d’oro. Ritornavano sempre alla loro casetta quando già spuntavano le stelle nel cielo.
Ed ecco che anche quella sera arrivano come al solito con le loro zappette sulle spalle, stanchi e affamati. Entrano in casa, accendono i loro sette lumini e subito s’accorgono che vi è stato qualcuno perchè non tutte le cose sono nello stesso ordine in cui le hanno lasciate al mattino partendo.
Il primo nano esclama:
— Chi ha mangiato nel mio piatto?
E il secondo:
— Chi ha mangiato del mio pane?
E il terzo:
— Chi ha mangiato della mia minestra?
E il quarto:
— Chi ha bevuto il mio vino?
E il quinto:
— Chi ha toccato il mio cucchiaio?
E il sesto:
— Chi ha toccato il mio coltello?
E il settimo:
— Chi ha toccato il mio bicchiere?
Poi il primo si mise a gridare
— C’è stato qualcuno nel mio letto!
Tutti accorrono al proprio lettuccio e tutti gridano:
— Anche nel mio c’è stato qualcuno!
Il più piccino dei nani è l’ultimo ad arrivare al suo lettuccio. Quale meraviglia! Vi trova Biancaneve che dorme placidamente, bella come un angelo, mentre sogna del grande fiume e della sua buona mamma che scende dal cielo per proteggerla.
Il piccolo nano chiama a bassa voce i compagni e tutti accorrono coi loro lumi e tutti rimangono meravigliati della bella fanciulla addormentata.
Il nano più grande mormora ai compagni:
— Facciamo piano, piano, perchè non si svegli.
Si siedono a tavola, felici e contenti di aver Biancaneve nella loro casetta. Mangiano senza far rumore e poi piano piano se ne vanno a letto camminando sulla punta dei piedi per non svegliarla. Ma il più piccolo nano non sa dove dormire perchè vi è Biancaneve nel suo lettuccio. I compagni propongono allora che esso dorma un’ora nel letto di ciascuno di loro. Così fecero infatti, e la notte passò per tutti tranquilla.
Quando all’alba Biancaneve si svegliò, si fregò gli occhi e si guardò attorno meravigliata. Ma ormai non c’era più vicino a lei nè il grande fiume nè la sua mamma. C’erano invece i sette nani, e Biancaneve prese paura.
Ma i sette nani le furono intorno premurosi e gentili, e Biancaneve riprese coraggio.
— Come ti chiami? Da dove vieni? – chiesero in coro i sette nani.
— Mi chiamo Biancaneve.
— Ma perchè sei qui?… Come ci sei arrivata?
— La regina, mia matrigna, ha ordinato al suo guardacaccia di condurmi nel fitto bosco e di uccidermi. Ma il guardacaccia ebbe pietà di me; non mi uccise e mi abbandonò nel bosco tutta sola. Dopo tanto correre e dopo aver tanto tremato di paura, ho trovato la vostra casetta.
I nani, a questo racconto, si commossero e proposero a Biancaneve di rimanere con loro per tenere ordinata e pulita la loro casettina.
— Sai fare da cucina?
— Sai lavare?
— Sai stirare?
— Sai cucire?
— Sai spazzare?
— Sai fare la calza?
— Sai preparare i letti?
Uno dopo l’altro i sette nanini le rivolsero in fretta queste domanda. E ad ogni domanda Biancaneve rispose:
— Sì, lo so fare.
— Allora se è così – dissero i nani – resta con noi e faremo di tutto perchè tu sia felice.
— Ed io farò del mio meglio – concluse Biancaneve – perchè non abbiate mai a lamentarvi di me.
Ogni mattina i sette nani tornavano ai monti colle loro zappette a cercare l’oro dentro la terra e Biancaneve rimaneva in casa a lavorare.
Ogni sera quando i sette nanini tornavano, trovavano la cena pronta e la loro casetta sempre più bella. Facevano le lodi a Biancaneve e tutti si sentivano l’un dell’altro contenti…
Così Biancaneve felice viveva
In quella casina di quei sette nani,
Spazzava, puliva, lavava e cuciva,
E l’opra continua delle abili mani
Rendeva ogni giorno più bella e giuliva
La vita felice dei suoi sette nani.
Ogni mattina quando i sette nani uscivano dalla loro casettina, non mancavano mai di raccomandare a Biancaneve di non aprire la porta a nessuno e per nessuna ragione.
— Bada – le dicevano – che la tua cattiva matrigna può un giorno o l’altro scoprire che sei ancora viva e cercare ancora di farti del male.
Non s’ingannavano i saggi nanini.
La malvagia regina che chiamavano Bella, dopo aver divorato quello ch’essa credeva fosse il cuore di Biancaneve, s’inorgogliva di essere ormai, senza pericolo di rivalità, la più bella di tutte le sue terre.
Esultante andò a rimirarsi allo specchio magico, interrogandolo;
Amico specchio, fedele specchietto
Tu levami la pena e parla schietto:
Dimmi se son fra tutte io sola, quella
Che nel mondo tu stimi la più bella!
Rispose lo specchio:
O gentile regina,
Di bellezza splendente!
A te ognora s’inchina,
Ammirata la gente.
Ma dirti non è vano
Che lontano lontano
Di un colle sulla vetta
C’è una linda casetta.
L’abitan sette nani
Ed è piena d’arcani…
Là dentro, o mia regina,
C’è una principessina
Che ha nome Biancaneve, ed è, ahimè
Le mille volte più bella di te.
A queste parole la malvagia regina ebbe un gran colpo al cuore. Sapeva che lo specchio non diceva bugie ed era perciò certa che il guardacaccia l’aveva ingannata e che l’odiata figliastra era ancora in vita. Montò su tutte le furie e si fece indicare dallo specchio la strada per giungere alla casetta dei sette nani. Poi si mise a pensare come avrebbe potuto sopprimere Biancaneve e rimanere per sempre la più bella donna del suo regno. Pensò tutto un giorno e tutta una notte e all’alba si truccò il viso da vecchia, si vestì da povera venditrice ambulante e, resa così irriconoscibile, uscì da una porta segreta della reggia e raggiunse il bosco.
Camminò per ore e ore, passò sette valli e varcò sette monti e alla fine arrivò alla casetta solitaria dei sette nanini.
Sotto le finestrelle della piccola casa si mise a gridare con voce roca:
— Mercerie, mercerie! Chi compra le mie belle mercerie?
Biancaneve, incuriosita, si affacciò alla finestrella.
— Buon giorno, buona donna, – disse. – Cosa vendi di bello?
— Pettini magnifici, nastri di seta e di velluto, fasce e cinture di tutti i colori – rispose la merciaia, mostrando a Biancaneve una cintura di seta ricamata d’oro e d’argento.
Biancaneve battè le mani per la meraviglia e pensò che sarebbe stata felice di possedere una cintura tanto bella. Esitò un poco ricordando la raccomandazione dei sette nani, di non aprire la porta a nessuno, ma poi, considerando che si trattava di una povera vecchia merciaia, curva per gli anni e stanca di fatica, aprì la porta.
Entrata in casa, la cattiva regina le vendette la cintura e con voce suadente gli disse:
— Lascia, mia bella piccina, che ti aiuti ad affibbiarla. Da te sola non lo potresti mai fare.
Biancaneve non sospettò di nulla; volse le spalle alla supposta merciaia e questa afferrati i capi della cintura, gliela strinse alla vita con tanta forza rabbiosa che la povera Biancaneve cadde per terra priva di sensi.
— Finalmente, – gridò la regina soddisfatta – avrai finito di essere la più bella! – E assicuratasi che la cintura non si potesse più slacciare, s’affrettò a lasciare la casetta.
La sera, quando i sette nanini tornarono a casa per la cena, trovarono Biancaneve distesa per terra, pallida e senza respiro. Si spaventarono credendola morta. La sollevarono con ogni cura da terra e la trasportarono sul più vicino dei sette lettucci. Uno dei nani s’accorse della nuova cintura di seta, ricamata d’oro e d’argento che Biancaneve aveva in vita, e notò pure ch’essa era troppo stretta. Non riuscendo a slacciarla, i piccoli nani tagliarono la cintura e subito dopo tornò un po’ di colore alle gote della fanciulla che riprese a respirare lentamente. Con gran gioia dei sette nanini, Biancaneve non tardò a ritornare in sè e riaprire gli occhi.
Appena la bella principessina potè parlare, raccontò quello che le era accaduto.
— Quella che tu hai creduto – disse uno dei nani – una povera merciaia ambulante, altro non era che la tua matrigna, la malvagia regina invidiosa della tua bellezza.
— Ti avevamo pur raccomandato – disse un altro dei nani – di non aprire la porta a nessuno. Ma tu non hai voluto ascoltarci, e così potevi morire.
— Un’altra volta, – disse un altro nano – sii più giudiziosa e segui i consigli di noi che ti vogliamo bene!
Intanto la regina era tornata alla reggia e s’era subito messa a interrogare lo specchio:
Amico specchio, fedele specchietto
Tu levami la pena e parla schietto:
Dimmi se son fra tutte io sola, quella
Che nel mondo tu stimi la più bella!
Rispose lo specchio
O gentile regina,
Di bellezza splendente!
A te ognora s’inchina,
Ammirata la gente.
Ma dirti non è vano
Che lontano lontano
Di un colle sulla vetta
C’è una linda casetta.
L’abitan sette nani
Ed è piena d’arcani…
Là dentro, o mia regina,
C’è una principessina
Che ha nome Biancaneve, ed è, ahimè,
Le mille volte più bella di te.
— Oh! – esclamò la regina furiosa – neppure questa volta l’odiata Biancaneve è morta!
Tutto il sangue le affluì alla testa, si mise a smaniare di rabbia e a cercare un altro mezzo per uccidere la figliastra.
Questa volta immaginò di avvelenare un bel pettine di madreperla e di offrirlo, con una stratagemma, alla figliastra.
Si truccò nuovamente come una povera donna, ma ben diversamente della prima volta, e si mise in cammino, giurando in cuor suo di riuscire questa volta a liberarsi della figliastra.
Passò sette valli, varcò sette monti e giunta che fu alla porta dei piccoli nani, bussò gridando:
— Collane, pettini, spille, per le ragazze belle! Chi compra la mia merce? Chi compra la mia merce?
Biancaneve s’affacciò alla finestrella e disse alla donna:
— Mi rincresce, non posso comprar nulla.
— La mia merce è bella e costa poco.
— Non devo aprire la porta a nessuno!
— Guarda quant’è bello questo pettine! – E la falsa merciaia mostrò a Biancaneve il pettine di madreperla.
Biancaneve non aveva mai visto un pettine tanto bello e finì per lasciarsi convincere ad aprire la porta. Conclusa la vendita, la venditrice disse:
— Lascia che per la prima volta t’insegni a pettinarti io con questo pettine.
E l’ingenua Biancaneve che non poteva adattarsi a pensar male di nessuno, la lasciò fare.
E allora la trista matrigna, incominciò a pettinarla con tale violenza che la ferì brutalmente al capo col pettine avvelenato. E la povera Biancaneve cadde a terra svenuta.
— Questa volta sei servita a dovere! – gridò la cattiva regina. – Non sarai più tu la più bella!
E fuggì via.
Per fortuna i piccoli nani tornarono quel giorno a casa prima del solito. Appena videro Biancaneve stesa per terra, pensarono subito ad un nuovo tranello della matrigna. Trovarono il pettine, glielo tolsero e a poco a poco Biancaneve tornò in vita e raccontò quanto le era accaduto.
Più che mai i piccoli nani l’ammonirono, mettendola in guardia contro nuove insidie e perfidie della matrigna che certamente non avrebbero tardato a verificarsi, e questa volta si fecero solennemente promettere da Biancaneve che non avrebbe mai più aperta la porta per nessuna ragione al mondo a chicchesia.
La regina intanto era tornata alla reggia e si era ancora una volta seduta davanti allo specchio, rivolgendogli la solita interrogazione:
Amico specchio, fedele specchietto
Tu levami la pena e parla schietto:
Dimmi se son fra tutte io sola, quella
Che nel mondo tu stimi la più bella!
Ma anche questa volta lo specchio rispose:
O gentile regina,
Di bellezza splendente!
A te ognora s’inchina,
Ammirata la gente.
Ma dirti non è vano
Che lontano lontano
Di un colle sulla vetta
C’è una linda casetta.
L’abitan sette nani
Ed è piena d’arcani…
Là dentro, o mia regina,
C’è una principessina
Che ha nome Biancaneve, ed è, ahimè,
Le mille volte più bella di te.
Alla spietata risposta che non mutava ancora, furente d’odio, d’ira e di desiderio di vendetta, la regina gridò
— Biancaneve dovrà ad ogni costo perire!
S’appartò in una sua stanza segreta, ove nessuno ci poteva entrare e con fine arte e grande pazienza infiltrò un potente veleno in una magnifica mela. Di fuori il frutto era rosso, fresco, sì che faceva venire l’acquolina in bocca al solo guardarlo, ma bastava mangiarne un pezzettino per morire avvelenati.
La regina si travestì da contadina, tingendosi i capelli e truccandosi il volto in modo da poter trarre chiunque in inganno. Riempì un cestino di mele, pose tra esse la mela avvelenata, e per la terza volta entrò nel bosco. Passò sette valli, varcò sette monti, e giunse alla casa piccolina dei sette nani.
Appena Biancaneve udì bussare alla porta, non seppe resistere alla curiosità di vedere chi era. Scorse la contadina col cestino delle mele e le disse:
— Non posso aprire. Me l’hanno proibito i sette nanini.
— Se non puoi aprire, pazienza! Venderò ad altri le mie mele; ma tu sei tanto bella che te ne voglio regalare una.
— No, grazie! Non posso accettare nulla!
La regina capì che Biancaneve era stata messa in guardia per bene contro ogni insidia, e fingendo di scherzare disse:
— Credi forse che le mie mele siano avvelenate? Guarda! Ora ne taglio una a metà.
Tirò fuori,un piccolo coltello e tagliò la mela in due.
— Ecco – diss’ella – la metà più bella è per te, la metà più brutta è per me! – Così dicendo ella porse a Biancaneve la parte ch’era rossa e conteneva il veleno e si mise a mangiare l’altra parte bianca ch’era senza veleno.
Biancaneve che desiderava tanto di mangiarselo anche lei un bel pezzo di quella mela, rassicurata da quell’atto, porse la mano dalla finestra e prese la metà che le veniva offerta con tanta cortesia. Ma al primo boccone, si rovesciò sul davanzale della finestra… Biancaneve era morta.
— Questa volta – esclamò la regina esultante – non ti sapranno destare neppure i tuoi sette nani! – E fuggì. Giunta alla reggia corse allo specchio e chiese
Amico specchio, fedele specchietto
Tu levami la pena e parla schietto:
Dimmi se son fra tutte io sola, quella
Che nel mondo tu stimi la più bella!
Rispose allora lo specchio:
Regina, mia Regina, son sincero
Mai vidi più di te bella davvero.
La regina mandò un gran respiro di sollievo. Finalmente la sua rivale era morta ed essa poteva primeggiare per la sua bellezza su tutte le donne delle sue terre.
Quando i sette nanini tornarono a casa, trovarono Biancaneve morta. Pieni di dolore la sollevarono da terra, la trasportarono sul lettuccio più vicino e cercarono se mai avesse qualche ferita. Nulla! Nulla! La spruzzarono con l’acqua fresca, la bagnarono col vino, ma tutto fu vano… La loro amata Biancaneve era veramente morta.
Costruirono allora una piccola bara, ve la deposero dentro e rimasero per tre giorni e per tre notti a vegliarla senza mai cessare di piangere.
Ma bisognava pure alla fine seppellirla… Senonchè la povera morta non pareva morta: le sue guance erano fresche e rosee e tutto il suo volto aveva una bellezza luminosa e viva.
— Non possiamo seppellirla nell’oscura terra – disse il primo nano. E gli altri, nani, in coro, gli diedero ragione.
Tennero allora consiglio e alla fine decisero di non seppellirla nella terra e di sostituire il coperchio di abete della bara con uno di cristallo, così da poter sempre ammirare la cara morta.
Quando il nuovo coperchio fu pronto, vi scrissero sopra, a lettere d’oro:
BIANCANEVE, figlia di Re.
Ciò fatto, i sette nanini trasportarono la bara sulla vetta del monte e uno di loro rimase a vegliarla. Il giorno dopo un altro nano prese il posto del primo, e così per turno continuarono a vegliarla.
Con grande meraviglia dei nani, incominciarono ad arrivare alla vetta del monte le bestie della foresta. Guardarono nella bara Biancaneve che pareva dormisse, chinavano la testa e si lamentavano e piangevano alla loro maniera.
La prima ad arrivare alla bara di Biancaneve fu una civetta. Poi arrivò un merlo, poi un corvo, poi una colomba, e poi lepri e caprioli ed uccelli ed animali d’ogni specie, persino lupi ed orsi, ed una volpe con una grande coda.
Biancaneve rimase lungo tempo lassù sulla montagna nella piccola bara dal coperchio di cristallo, e sempre pareva che dormisse, e sempre continuava ad essere come la mamma sua l’aveva desiderata: bianca come la neve, vermiglia come il sangue, e nera di chiome come l’ebano… E sempre i piccoli nani a turno e gli animali della foresta salivano a vegliarla.
Avvenne che un giorno, il figlio di un re, che tutti chiamavano il Principe Azzurro, venisse a caccia nel bosco e chiedesse per una notte ospitalità alla casettina dei sette nani. La mattina dopo, i sette nani condussero il Principe Azzurro sul monte ad onorare di una sua visita la bara di Biancaneve.
Il Principe Azzurro stupito, ammirò la bella dormente sotto il cristallo, lesse con meraviglia la scritta:
BIANCANEVE, figlia di Re.
Rimase lungo tempo a guardarla e poi supplicò i nani di dargli la preziosa bara perchè desiderava trasportarla al castello del re suo padre.
— Chiedetemi per ciò – disse il Principe Azzurro ai sette nani – qualunque somma e l’avrete.
— Noi non la daremo a nessuno, neppure per tutto l’oro del mondo! risposero i nanini, risolutamente.
— Allora – riprese il Principe Azzurro – io vi supplico di regalarmela… Voi non potrete mai immaginare quanto amore io senta nel mio cuore per questa bellissima fanciulla morta! Non comprendete che io non potrò più vivere senza avere a me vicina Biancaneve, figlia di re?… La terrò in grande onore come la cosa più preziosa e più cara!
Tanto disse e supplicò il bel Principe Azzurro che alla fine i nanini, commossi, gli donarono la bara.
Ma prima, che i suoi servi si caricassero la bara sulle spalle, l’innamorato principe ordinò che sollevassero il coperchio. Sollevato che l’ebbero, il principe si chinò a baciare le labbra di Biancaneve.
— Oh, perchè sei morta, tu, la creatura più bella che io abbia mai vista? – mormorò il principe, dopo che l’ebbe baciata.
Dalla bocca socchiusa di Biancaneve uscì il pezzettino di mela avvelenata ch’essa aveva mangiato e subito dopo aprì gli occhi e si guardò intorno trasognata.
— Dove sono? Dove mi hanno messa? Che hanno fatto di me? – esclamò con spavento.
— Sii tranquilla, Biancaneve! – le disse il Principe Azzurro, che, nel vederla aprire gli occhi, s’era inginocchiato, tremante, accanto alla bara, e non voleva credere a tanta fortuna… – Non temere di nulla! Sei con chi ti ama più di ogni altra cosa al mondo e che ti ha cara più della propria vita!
— Chi sei tu, o signore?
— Sono il Principe Azzurro.
— Il Principe Azzurro! – ripetè Biancaneve forzandosi di porsi a sedere nella bara.
Poi scorse i nanini e il suo volto s’illuminò di gioia.
— Oh, i miei cari nani, i miei buoni nani! – esclamò.
Il principe e i nani l’aiutarono ad uscire dalla bara.
— Scendiamo il monte! – propose il Principe Azzurro, d’improvviso impaziente. – Voglio condurti, o Biancaneve, al castello del re, mio padre, e farti mia sposa.
— O, mio Principe Azzurro! – esclamò confusa Biancaneve – Tua sposa?
I sette nanini danzarono per la gioia e i servi del principe s’abbracciavano tra loro tanto erano contenti dell’inaspettata felicità del loro signore…
Biancaneve scese il monte al braccio del Principe Azzurro.
I sette nanini offrirono per cena tutto quello che avevano nella loro casetta e fu la provvista di vino quella che sofferse di più.
Quando ebbero finito di mangiare e di bere era già notte.
— Dormite questa notte nella nostra casetta – proposero i nani.
— Vorrei partire subito! – disse il Principe Azzurro. – E guardando con trepida tenerezza Biancaneve soggiunse: – Hai tu paura o mio amore, di attraversare il bosco di notte?
— Con te, o mio Principe Azzurro, – rispose Biancaneve, più che mai confusa – non avrò mai paura di nulla!
— Allora partiamo! – esclamò, esultante, il principe.
Uscirono tutti dalla casetta.
Il cielo era pieno di stelle.
— Vieni! Sali in groppa al mio destriero! – disse il Principe Azzurro a Biancaneve.
E Biancaneve, salutati i suoi nanini, salì agile in sella accanto al suo principe.
Cavalcarono insieme tutta la notte per valli e per monti, e all’alba giunsero al castello del padre del Principe Azzurro.
Fu subito fissato il giorno delle nozze e in grande lietezza si prepararono le feste.
Alle nozze furono invitati i signori di tutte le terre d’intorno e primi di tutti i sette nanini della casetta sul monte. Fu invitata anche la regina, la Bella, la cattiva matrigna di Biancaneve. Quand’essa, ignara d’ogni cosa, adorna d’una magnifica veste di broccato d’oro, con al collo i suoi preziosi gioielli, si mirò felice allo specchio, e sicura di sè domandò:
Amico specchio, fedele specchietto
Tu levami la pena e parla schietto:
Dimmi se son fra tutte io sola, quella
Che nel mondo tu stimi la più bella.
Lo specchio rispose
O gemile Regina
Di bellezza splendente.
A te, è vero, s’inchina
Ammirata la gente.
Ma vi è ora, o Regina,
Una principessina
Che va a nozze d’amore
Col Principe del cuore,
E ch’è davvero, ahimè,
Le mille volte più bella di te!
A queste parole la regina fu presa da inesplicabile angoscia. Non voleva più andare alle nozze; ma alla fine la curiosità e l’invidia la spinsero a voler vedere la sconosciuta rivale. Giunta al castello del re, padre del Principe Azzurro, fu fatta entrare nella sala della festa e subito riconobbe nella sposa Biancaneve. Rimase sbalordita, e non potè più nè fare un gesto nè pronunciare una parola. Ma a lei avevano già pensato quelli del castello. Le furono subito portate delle pianelle di ferro rovente, e i servi la costrinsero a calzarle, e cavalieri vennero che l’obbligarono a danzare.
Piangeva e danzava la cattiva matrigna; urlava per lo spasimo, ma doveva danzare…
Danzò più di un’ora fra spasimi atroci e alla fine cadde a terra, morta.
E Biancaneve scordò la cattiva
Matrigna indegna, con lei sì crudele
Visse felice rendendo più viva
La gioia al principe sposo fedele.
E ogni anno si recava
Una volta a trovare
I suoi nani e portava
A loro in dono, cose belle e rare.
E i sette nani ogni volta contenti
Cantavano in coro le lodi seguenti:
«Biancaneve è la nostra reginetta.
Evviva Biancaneve la perfetta!
La madre era la Buona,
La matrigna la Bella;
Ma Biancaneve, quale buona stella
È la nostra regina Bella-Buona!»