Fiaba di Hans Christian Andersen
Vivevano in un villaggio due uomini dello stesso nome; tutti e due si chiamavano Cecco; ma l’uno aveva quattro cavalli, l’altro ne aveva uno solo; e così, per distinguerli, la gente chiamava Ceccone l’uomo dei quattro cavalli, e Cecchino l’altro. Sentirete ora quel che avvenne a questi due uomini, perchè la mia è storia proprio vera genuina.
Per tutta la settimana, Cecchino era obbligato ad arare i campi di Ceccone ed a prestargli anche il suo unico cavallo; e Ceccone, in cambio, gli dava a prestito tutti e quattro i suoi cavalli; ma una sola volta per settimana, la domenica. Che gioia! Come schioccava la frusta Cecchino, quel giorno, sopra i suoi cinque cavalli! Poichè, per quel giorno, era come se fossero tutti suoi. Il sole splendeva, le campane suonavano a festa, la gente era tutta vestita con gli abiti buoni, e si avviava alla chiesa, col libro delle preghiere sotto il braccio. Passando, tutti vedevano Cecchino che arava il suo campo, allegro come una pasqua, e schioccava e schioccava la frusta, gridando: «Hop! le mie brave bestie! Hop! Hop!»
«Non ti permetto di parlare a codesto modo,» — disse Ceccone, «perchè uno solo dei cavalli è tuo.»
Ma, quando passava gente, Cecchino dimenticava la proibizione, e gridava: «Hop! le mie brave bestie, hop, hop!»
«Ti ho già detto una volta di non parlare a codesto modo!» — gridò Ceccone: «Se ci ricaschi, ti avverto che darò tale una mazzata sul capo del tuo cavallo, da farlo cader morto; e allora sarà finita una volta per tutte!»
«Non lo dirò mai più di sicuro!» — promise Cecchino.
Ma di lì a poco venne di nuovo a passar gente; e chi lo salutava con un cenno del capo, chi gli gridava: Buon giorno, Cecchino! — ed egli allora non seppe contenere la sua allegria, pensò ch’era una gran bella cosa l’avere cinque cavalli per arare il proprio campo, e schioccò da capo la frusta, gridando: «Hop, le mie brave bestie!»
«Te le darò io, le tue brave bestie!» disse Ceccone: e, preso il maglio, dette una mazzata sul capo dell’unico cavallo di Cecchino; e il cavallo cadde a terra sul momento bell’e morto.
«Povero me! Ora non ne ho più nemmeno uno!» — disse Cecchino, e principiò a piangere.
Poi dopo, scuoiò il cavallo e stese la pelle a seccare all’aria; quando fu bene asciutta, la mise in un sacco, se la caricò sulle spalle e s’incamminò verso la città, per andarla a vendere.
Ma la strada era molto lunga, e per arrivare alla città bisognava passare una grande foresta nera nera. Scoppiò un fortissimo temporale, e Cecchino smarrì la via; prima che l’avesse ritrovata, calò la sera. Oramai era troppo tardi, tanto per ritornare a casa, quanto per arrivare alla città prima di notte.
A pochi passi dalla strada maestra, c’era un grande cascinale. Le imposte erano chiuse, ma lasciavano intravedere però qualche filo di luce.
«Chi sa che non mi diano alloggio per questa notte!» — pensò Cecchino; e andò all’uscio, e picchiò.
La moglie del contadino venne ad aprire; ma quando udì quel che domandava, gli disse di andarsene, che suo marito non c’era, ed ella non prendeva in casa forestieri.
«E allora, mi toccherà passar la notte di fuori!» — disse Cecchino; e la donna gli chiuse l’uscio in faccia.
Lì accanto, c’era un pagliaio; e tra il pagliaio e la cascina un piccolo fienile coperto.
«Lassù starò benissimo,» — disse Cecchino, guardando il tetto: «Ecco un letto come meglio non potrei desiderare. Speriamo che la cicogna non venga giù a mordermi le gambe.» Infatti, una cicogna viva stava ritta sul piccolo tetto, dove aveva fatto il nido.
Cecchino salì dunque sul fienile, proprio su, che toccava il tetto; si sdraiò e si rivoltò, cercando la posizione più comoda. Le imposte della cascina non chiudevano interamente, in alto, il vano delle finestre; e perciò egli poteva vedere benissimo dentro alla stanza. C’era una grande tavola apparecchiata con la sua brava tovaglia, e sopra vitello arrosto, vino, ed un magnifico pesce. La moglie del contadino ed il sagrestano stavano seduti a tavola; e non c’era altri. Essa gli riempiva il bicchiere ed egli piantava il forchettone nel dorso del pesce, ch’era il suo piatto favorito.
«Se potessi arrivarne un bocconcino!» — pensava Cecchino, allungando il collo verso la finestra. Dio del cielo! Che magnifica torta vedeva di lassù! Ah, quella era certo una cenetta per qualche festa.
In quella, sentì venire qualcuno a briglia sciolta per la strada maestra. Era il marito della donna, che tornava a casa. Costui era un buon uomo abbastanza, ma aveva una curiosa manìa: non poteva tollerare la vista di un sagrestano. Se gli avveniva d’incontrarne uno, dava nelle furie. Per questo il sagrestano era andato a fare una visitina alla donna, sapendo che il marito era assente; e per questo la buona donna gli aveva messo davanti quel che aveva di meglio. Ma quando lo udirono tornare, si spaventarono, e la donna pregò il sagrestano di cacciarsi dentro ad una cassapanca vuota, che per l’appunto si trovava lì; ed egli fece così, perchè sapeva che il marito non poteva tollerare la vista dei sagrestani. La donna nascose in fretta tutto nel forno, — vino, arrosto e ogni cosa, — perchè il contadino, vedendo quello scialo, non avesse a domandare che cosa significasse.
«Ah, sì?» — sospirò Cecchino dal suo fienile, quando vide riporre tutta quella grazia di Dio.
«C’è gente lassù?» — domandò il contadino; alzò il capo, e scorse Cecchino. «O tu, che fai costassù disteso? Tant’è che tu entri con me in casa.»
E Cecchino gli raccontò come avesse smarrita la via, e chiese asilo per la notte.
«Ma sì, quanto vuoi!» — disse il contadino: «Prima però bisognerà mangiare un boccone.»
La donna fece buon viso a tutti e due; stese la tovaglia su di una lunga tavola, e portò un grande piatto di farinata. Il contadino era affamato e mangiava di buona voglia; ma Cecchino non poteva staccar la mente dal magnifico arrosto, dal pesce e dalla torta, che sapeva nascosti nel forno. Sotto la tavola, a’ suoi piedi, aveva posto il sacco con la pelle del cavallo; — perchè vi ricordate che la portava a vendere in città. Siccome la farinata non gli piaceva, battè co’ piedi il sacco, e la pelle secca ch’era dentro scricchiolò forte.
«O che ci hai tu dentro a codesto sacco?» — domandò il contadino.
«Ci ho un mago,» — rispose Cecchino. «Dice che non dobbiamo mangiare farinata; che ha fatto un incanto al forno, e che ci troveremo vitello arrosto, pesce e torta.»
«Stupenda questa!» — gridò il contadino; aperse subito lo sportello del forno, e trovò tutta la buona roba che sua moglie ci aveva nascosta, e ch’egli credeva chiamata lì dal mago. La donna non osò dir nulla, e mise senz’altro le vivande sulla tavola: e così i due mangiarono l’arrosto, il pesce e la torta. Poi Cecchino calpestò ancora il sacco, e fece scricchiolare la pelle.
«Che dice ora di bello?» — domandò il contadino.
«Dice,» — rispose Cecchino, «che ha fatto venire per noi anche tre bottiglie di vino vecchio, e che sono lì, nell’angolo, dietro il forno.»
La donna fu costretta allora a cavar fuori anche il vino che aveva nascosto; ed il contadino bevette e divenne allegrissimo. Avrebbe avuto una voglia matta di possedere anche lui un mago come quello che Cecchino aveva nel sacco.
«Può egli chiamar qui anche il diavolo?» — domandò il contadino: «Mi piacerebbe vederlo, ora che sono di buon umore!»
«Altro!» — disse Cecchino: «Il mio mago può fare tutto quello che gli domando. Non è vero?» — soggiunse; calpestò la pelle, e quella scricchiolò. — «Ha detto di sì. Ma il diavolo è molto brutto: sarebbe meglio non vederlo.»
«Oh, non ho paura. Di’ un po’: a chi somiglia?»
«A chi somiglia? Tale e quale identico a un sagrestano!»
«Oh, allora,» — fece il contadino: «per brutto, è brutto davvero. Hai da sapere che la vista d’un sagrestano mi manda fuor dei gangheri. Ma non fa nulla; poi che so che è il diavolo, lo sopporterò più facilmente. Son pieno di coraggio ora; ma non bisogna però che mi venga troppo vicino!»
«Ne domanderò il mio mago,» — disse Cecchino; battè il sacco col piede e poi vi accostò l’orecchio.
«Che dice?»
«Dice che tu puoi aprire, se ti garba, quella cassapanca, che è là nell’angolo; e ci vedrai rannicchiato dentro il diavolo: ma bada di tener ben forte il coperchio, che non t’avesse a guizzar via!»
«Vuoi tu aiutarmi a tenere il coperchio?» — domandò il contadino. E andò alla cassapanca, dove la moglie aveva nascosto il vero sagrestano, che stava lì pieno di spavento. Il contadino sollevò un poco il coperchio, e diede un’occhiata dentro.
«Uh!» — gridò, e balzò indietro: «L’ho visto! Proprio tale e quale il nostro sagrestano! Ah! che orrore!»
Naturalmente, bisognò berci sopra; e stettero lì a bere sino a notte inoltrata.
«Tu hai a vendermi codesto mago,» — disse il contadino: «Domanda quanto vuoi: te ne do sul momento uno staio di quattrini.»
«No, non posso;» — disse Cecchino: «pensa un po’ a quanti usi mi serve il mio mago!»
«Oh, mi piacerebbe tanto di averlo!» — esclamò il contadino; e tanto lo pregò e lo ripregò, che alla fine Cecchino disse:
«Ebbene, sia. Sei stato così cortese con me, ospitandomi per la notte, che voglio contentarti. Avrai il mago per uno staio di quattrini; bada però che lo staio ha da essere colmo.»
«E colmo l’avrai,» — rispose il contadino: «Ma devi portarti via anche la cassapanca. Non me la voglio in casa nemmeno un’ora di più. Non si può mai sapere: potrebbe magari esserci ancora dentro!»
Cecchino diede al contadino il sacco con la pelle secca, e n’ebbe in cambio uno staio di quattrini, e colmo per giunta. E il contadino gli diede pure una grande carriuola per portarsi via i quattrini e la cassapanca.
«Statevi bene!» — disse Cecchino; e se ne andò coi quattrini e con la grande cassapanca, dov’era sempre rinchiuso il sagrestano.
Di là dalla foresta, c’era un fiume profondo. L’acqua scendeva così impetuosa, che sarebbe stato ben difficile risalirne a nuoto la corrente. Sul fiume era costruito un bel ponte nuovo. Nel mezzo del ponte Cecchino si fermò, e disse forte perchè il sagrestano sentisse:
«Che me ne faccio di questa stupida cassapanca? Pesa come se fosse piena di sassi. Perchè dovrei fare tanta fatica a strascinarla? La butterò nel fiume. Se galleggia sino a casa mia, bene; e se va di sotto, poco si perde.»
E afferrò la cassapanca da un lato, e fece mostra di sollevarla per gettarla nel fiume.
«No! aiuto!» — gridò il sagrestano dal di dentro: «Prima, lasciami uscire!»
«Uh!» — esclamò Cecchino, facendo vista d’impaurirsi: «È ancora dentro! Bisogna far presto a buttarlo nel fiume perchè anneghi.»
«Oh, no, no!» — urlò il sagrestano: «Ti darò uno staio intero di quattrini se mi lasci andare.»
«Allora è un altro paio di maniche!» — disse Cecchino; e aperse la cassapanca.
Il sagrestano saltò fuori in fretta e furia, spinse la cassapanca nel fiume, e andò a casa sua, dove Cecchino ricevette uno staio intero di quattrini. Un altro ne aveva ricevuto dal contadino; sicchè ora aveva la carriuola carica di quattrini.
«Ecco che sono ben compensato del mio cavallo!» — disse a se stesso quando fu a casa; e scaricò il danaro, facendone un bel mucchio per terra, nel mezzo della sua camera. — «Come arrabbierà Ceccone, quando saprà quanto ricco son divenuto con un cavallo solo! Ma voglio trovare il modo di farglielo sapere.»
Mandò dunque un ragazzo da Ceccone a domandargli a prestito lo staio.
«Che vuol egli farne?» — si domandò Ceccone incuriosito. E spalmò il fondo dello staio con un po’ di pania, per modo che un tantino di quel che vi si misurava vi avesse a rimanere appiccicato. E così fu; poichè quando riebbe il suo staio, ci trovò nel fondo due o tre monete da cinque lire.
«Che faccenda è questa?» — gridò Ceccone; e via difilato da Cecchino: «Di dove t’è venuto tanto danaro ?»
«Oh, è quel che ho ricavato dalla pelle del mio cavallo. L’ho venduta ieri a sera.»
«Si può dir ben pagata!» — esclamò Ceccone; e corse a casa in fretta e furia; prese un maglio, e giù sul capo di tutti e quattro i suoi cavalli. Poi li scuoiò, fece seccare al vento le pelli, e le portò a vendere in città.
«Pelli! pelli! chi compra pelli?» — gridava per le strade.
Calzolai e conciapelli accorrevano, e gliene domandavano il prezzo.
«Uno staio di quattrini ciascuna!» — rispondeva Ceccone.
«Sei matto?» — esclamavano quelli: «O che credi che i quattrini noi li abbiamo a staia?!»
«Pelli, pelli!» — gridava da capo; ed a chi gli domandava quanto le faceva l’una: «Uno staio di quattrini!» — rispondeva, invariabilmente.
«Vuol burlarsi di noi!» — gridarono tutti. E i calzolai con gli spaghi, i conciapelli coi grembiali, incominciarono a batter Ceccone con quanto fiato avevano.
«Ah, pelli, pelli, eh?!» — e gli facevano il verso: «Te la conceremo noi la tua pelle, e per le feste, sin che ne spicci il rosso! Fuori dalla città, fuori per il tuo meglio!» Ceccone non se lo fece dir due volte, e via a gambe, più presto che potè; perchè mai in vita sua gli era toccata una sferzata a quel modo.
«Bene, bene,» — disse, quando fu a casa: «Cecchino me l’ha da pagare, questa; me la pagherà con la vita.»
Intanto, a Cecchino era morta la nonna. Essa era stata molto severa, molto dura con lui; ma, ciò non ostante, egli aveva provato grandissimo dolore per questa perdita; e aveva preso la povera morta e l’aveva portata nel proprio lettuccio, caldo caldo, per vedere se a volte mai non gli riuscisse di farla tornare in vita. E là voleva che rimanesse tutta la notte, mentr’egli si sarebbe messo in un angolo, e avrebbe dormito su una sedia, come aveva già fatto tante volte. Mentre era là seduto, la porta si aperse ed entrò Ceccone con la sua ascia. Ceccone sapeva bene dov’era il letto di Cecchino; andò diritto a quello, e colpì la vecchia nonna al capo, credendo che fosse Cecchino.
«Ecco!» — diss’egli: «Così non ti farai mai più beffe di me!» E tornò a casa.
«Quell’uomo lì ha cattivo cuore,» — disse Cecchino: «Quello lì credeva di farmi la pelle. Fortuna che la povera nonna era già morta! Se no, l’ammazzava.»
Mise alla nonna il vestito delle domeniche, tolse a prestito dal vicino un cavallo, lo attaccò ad una vettura, ci mise a sedere dentro la vecchia per modo che non avesse a cadere, e via per il bosco. Quando levò il sole, erano davanti ad una locanda; Cecchino fermò la vettura, e discese per rinfrescarsi.
L’oste era ricco a palate, ed era anche un buon uomo, ma furioso, violento, tutto fuoco, come se ci avesse dentro pepe e tabacco.
«Buon giorno!» — disse a Cecchino: «Vi siete messo in ghingheri di buon mattino, oggi!»
«Sì,» — rispose Cecchino: «Vado in città con la mia vecchia nonna; è rimasta fuori in vettura, non posso farla entrare. Volete portarle un bicchiere di sidro? Ma bisogna che alziate la voce, perchè è un po’ dura d’orecchio.»
«Sarete servito!» — disse l’oste. Riempì un grande bicchiere di sidro e andò a portarlo alla vecchia che era seduta, ritta per bene nella vettura.
«Mi manda vostro figlio con questo bicchiere di sidro,» — disse forte l’oste. Ma la vecchia non rispose sillaba, e non si mosse. — «Avete capito!» — gridò l’oste con quanta voce aveva in gola: «Vostro figlio mi manda; vostro figlio! con questo bicchiere di sidro!»
E glielo urlò un’altra volta, ancora più forte; ma poi che quella si ostinava a non udire, alla fine si arrabbiò e le gettò in faccia il bicchiere: così che il sidro le gocciolava dal naso ed essa cadde giù dal sedile, perchè era stata messa su ritta, ma non legata.
«Olà!» — gridò Cecchino, uscendo di corsa dalla locanda e prendendo l’oste per il petto: «Che hai tu fatto? Guarda che po’ po’ di buco ha in fronte!»
«Ah, che disgrazia, che disgrazia!» — gridava l’oste, torcendosi le mani: «E tutto per questo maledetto caratteraccio! Caro il mio Cecchino, ti darò uno staio di quattrini, e farò alla tua nonna un funerale, che nemmeno fosse la mia; ma non lo dire a nessuno, non mi rovinare. Se no, mi taglieranno la testa, e sarebbe tale una seccatura…»
Così, Cecchino ricevette ancora un altro staio di quattrini, e l’oste fece alla nonna un funerale, che nemmeno fosse stata la sua. E quando Cecchino fu tornato a casa, subito mandò il ragazzo da Ceccone, a domandare a prestito lo staio.
«Che faccenda è questa?» — disse Ceccone: «O non l’ho ammazzato? Voglio andare da me e vederci chiaro.» E andò egli stesso da Cecchino con lo staio.
«Ma come? Di dove t’è venuto tutto codesto danaro?» — domandò; e spalancò tanto d’occhi alla vista del mucchio. «Tu hai ucciso la mia nonna e non me;» — rispose Cecchino: «ed io sono andato e l’ho venduta, e me n’hanno dato uno staio pieno di quattrini.»
«Non si può dire che non sia pagata bene!» — disse Ceccone; corse a casa, e con una mazzata sul capo, uccise la sua nonna. Poi la mise in una carrozza, e andò in città, dal farmacista, e gli domandò se voleva comprare un morto.
«Chi è? e come l’hai avuto?» — domandò il farmacista.
«È la mia nonna;» — rispose Ceccone: «l’ho ammazzata per averne uno staio di quattrini.»
«Dio ci salvi tutti!» — gridò il farmacista: «Ma tu sei matto? Non dire di queste cose, o ti taglieranno la testa!» E gli spiegò per bene quale azionaccia avesse commessa, e quanto malvagio egli fosse, e come dovesse esser punito. E Ceccone prese tanta paura, che scappò dalla farmacia, balzò a cassetto, frustò i cavalli, e via di galoppo a casa. E il farmacista e la gente, credendolo matto, lo lasciarono andare dove gli pareva.
«Me l’hai da pagare!» — esclamò Ceccone quando fu sulla strada maestra: «Sì, con la vita me l’hai da pagare, caro Cecchino!» E appena a casa, prese il sacco più grande che potè trovare, andò da Cecchino, e gli disse: «Me l’hai fatta un’altra volta! Prima, ho ammazzato i miei cavalli; poi, la mia nonna; e tutto per colpa tua. Ma hai finito, ora, di farti beffe di me!» E afferrò Cecchino a mezzo il corpo, lo ficcò nel sacco, se lo caricò sulle spalle, e poi gli gridò: — «Ora ti porto al fiume e ti affogo!»
Ma per arrivare al fiume, la via era lunga, e Cecchino pesava. Passarono dinanzi alla chiesa: l’organo suonava e la gente cantava così bene!… Ceccone depose il sacco, con dentro Cecchino, alla porta della chiesa, e pensò che sarebbe buona cosa fermarsi, prima d’andare oltre, ad ascoltare i vespri; tanto, Cecchino non poteva scappare, tutta la gente era in chiesa, e così anche Ceccone entrò.
«Ah, povero me!» — sospirava Cecchino nel sacco; e si voltava e si rivoltava; ma era impossibile sciogliere la corda. In quella, passò di lì un vecchio pastore, coi capelli bianchi come la neve, il quale guidava una mandria di buoi e di vacche. Gli animali urtarono il sacco, che si rovesciò.
«Ah, povero me!» — sospirò Cecchino: «Così giovane e dover andare diritto in Paradiso!»
«Ed io, poveretto,» — disse il pastore, «che son tanto vecchio, e ancora non ci posso andare!»
«Apri subito il sacco,» — gridò Cecchino: «ficcati dentro in vece mia, e andrai in Paradiso difilato.»
«Con tutto il cuore!» — disse il pastore; e slegò la bocca del sacco, da cui Cecchino saltò subito fuori.
«E tu guardami le vacche,» — disse il pastore; e si ficcò nel sacco; e Cecchino legò la bocca per bene, e andò via con la mandria.
Poco dopo, Ceccone uscì di chiesa; si caricò di nuovo il sacco sulle spalle, ma gli parve divenuto più leggero; perchè il vecchio pastore pesava appena la metà di Cecchino.
«Com’è alleggerito ora! Certo, è perchè sono entrato in chiesa a pregare.»
Andò diritto al fiume, ch’era largo e profondo, gettò nell’acqua il sacco col vecchie pastore, e credendo fosse Cecchino, gli gridò dietro: «Rimanti costà. Ora non ti farai mai più beffe di me!»
E andò verso casa; ma, giunto ad un crocicchio, incontrò Cecchino, che parava le sue bestie.
«Che affare è questo?» — gridò Ceccone: «O non ti ho affogato?»
«Sì,» — rispose Cecchino; «mi hai gettato nel fiume che non sarà nemmeno mezz’ora.»
«Ma dove hai pescato tutte codeste vacche?» — domandò Ceccone.
«Sono vacche di fiume,» — rispose Cecchino. «Ora ti racconterò tutto per bene. Grazie, intanto, per avermi affogato. Oramai sono alla vetta dell’albero: son divenuto proprio ricco. Ma che spavento ho avuto, quando stavo legato nel sacco ed ho sentito fischiarmi l’aria negli orecchi, nel momento che mi hai gettato dal ponte nell’acqua fredda! Andai diritto in fondo, ma non mi feci male, perchè laggiù ci cresce un’erba alta, folta e soffice ch’è un piacere, ed io andai a cadere su quella. E subito il sacco fu aperto, ed una bella giovinetta, con una veste candida come la neve ed una ghirlandetta verde in capo, mi prese per mano, e mi disse: — Ah, sei venuto, Cecchino? Eccoti alcune mucche, per cominciare. A un miglio di qui, per la strada del fiume, ce n’è tutta una mandria che ti voglio regalare. — E allora vidi che il letto del fiume formava una bella strada maestra per la gente del mare. Per quella strada camminavano, e per quella passavano i carri, che venivano direttamente dal mare, per andare al paese dove il fiume nasce. È tutto pieno di fiori, laggiù, e dell’erba più fresca; i pesci che nuotano nell’acqua mi rasentavano gli orecchi, come fanno quassù gli uccelli che volano per l’aria. Tu vedessi che bella razza di gente! e che belle mucche pascolano nei fossi e lungo le siepi!»
«Ma perchè sei risalito così subito?» — domandò Ceccone: «Io non me ne sarei venuto così in fretta, da che laggiù è tanto bello!»
«Ah,» — rispose Cecchino: «in questo, anzi, ho avuto furberia. Sai che la principessa del fiume mi disse: — A un miglio di qui, sulla strada — e naturalmente, intendeva sul letto del fiume, perchè per altra strada essa non può andare… — a un miglio di qui troverai tutta una mandria, che ti voglio donare. — Ma io so le svolte che fa il fiume, ora in qua, ora in là; e un miglio di strada è lungo. No, pensai tra me: si può fare molto più presto, uscendo dal fiume, traversando i campi, e tornando al fiume dall’altra parte. A questo modo, risparmio quasi mezzo miglio di strada, ed ho le mie vacche molto prima.»
«Eh, tu sei nato fortunato!» — disse Ceccone. «Credi che darebbero anche a me due o tre vacche di fiume, se andassi giù, in fondo all’acqua?»
«Credo di sì,» — rispose Cecchino: «ma non ti posso portare in un sacco al fiume: sei troppo peso. Se però ci vuoi venire a piedi, e se entri da te nel sacco, ti ci butterò con tutto il piacere.»
«Grazie!» — disse Ceccone: «Ma se quando sono laggiù non mi dànno le vacche di fiume, puoi star sicuro di buscarle.»
«Oh, non essere così cattivo!»
E andarono insieme al fiume. Le bestie, che avevano gran sete, vedendo l’acqua, si diedero a correre a tutto spiano per discendere a bere.
«Che furia, eh? — disse Cecchino: «Non vedon l’ora di tornare in fondo.»
«Sì, ma prima aiutami;» — disse Ceccone: «se no, bada, ti picchio!»
E si ficcò in un grande sacco ch’era sul dorso di una delle vacche.
«Mettici una pietra; se no, ho paura di non affondare,» — disse Ceccone.
«Anche questo si può fare,» — rispose Cecchino; e mise una grossa pietra dentro al sacco: ne legò stretta la bocca, e gli diede uno spintone. Pumf! Ceccone cadde nell’acqua, e calò subito a fondo.
«Ho paura che non le trovi, le vacche di fiume!» — disse Cecchino; e andò a casa con la sua mandria.