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La vera storia degli Elfi di Babbo Natale

Fiaba di Alessandra Fella

C’era una volta Babbo Natale… voi direte: ma Babbo Natale c’è ancora!!! Sì… certo… ma io sto parlando di tanto tanto tempo fa!
Dunque dicevamo… c’era una volta Babbo Natale. Egli viveva, insieme a Mamma Natale, in una baita in mezzo ad una radura nascosta in un fitto bosco su su nelle terre dell’estremo nord, in Lapponia.

In realtà chiamarla baita è un po’ riduttivo: la “magione” era infatti composta da un tale numero di stanze più o meno grandi a seconda della loro funzione che per poterla girare tutta erano necessari i pattini a rotelle e per non perdersi erano indispensabili una mappa e una bussola. Essa era infatti composta da: l’appartamento di Babbo e Mamma Natale, lo studio di Babbo Natale con macchina sputa/aspira letterine, il magazzino delle letterine da leggere, i due sotto-magazzini buoni/cattivi, la sala per il riempimento del sacco magico, il laboratorio per la fabbricazione dei giocattoli, il deposito dei materiali -tutti rigorosamente naturali-, la sezione impacchettamento ed infiocchettamento, la grande cucina per la preparazione dei dolci natalizi e la dispensa per la conservazione dei biscotti lasciati dai bambini, la stalla per le renne e il garage per la slitta.

Potete quindi immaginare la dimensione della casa, e quanta fatica dovesse fare la povera Mamma Natale per tenerla pulita, in ordine, e soprattutto efficiente per il periodo natalizio, durante il quale tutto diventava estremamente frenetico.

Se infatti durante la maggior parte dell’anno le giornate scorrevano tranquille seguendo i ritmi della natura, il che lasciava alla donna il tempo di badare a tutto con una certa serenità, durante le feste la situazione diventava incandescente, costringendola a correre avanti e dietro per aiutare il marito a costruire i giochi, fare i pacchetti, preparare i dolci, sistemare la slitta, badare alle renne, il tutto senza trascurare le normali faccende domestiche.

Ovviamente per fare tutto questo un pizzico di magia era indispensabile: nessuno avrebbe potuto creare i doni per tutti i bimbi del mondo nel poco tempo che c’era da quando arrivavano le letterine al giorno della vigilia di Natale. Esisteva infatti un orologio magico che rallentava il tempo all’interno della casa durante tutto il periodo natalizio… ma questa è tutta un’altra storia!

Ma torniamo a noi… Babbo e Mamma Natale avevano più volte cercato qualcuno che li aiutasse in casa: avevano messo annunci sul giornale, distribuito volantini, tentato con il passaparola. E le risposte non erano certo mancate: chi non vorrebbe diventare un aiutante di Babbo Natale? Dapprima c’era stato il maggiordomo inglese un po’ snob, che era andato via perché riteneva che la scarsissima vita sociale dei signori Natale non richiedesse i suoi raffinati servigi. Poi la giovane cameriera francese, che era scappata subito dopo aver visto che la casa era talmente sperduta da non permetterle neppure di poter uscire a fare shopping nei suoi giorni liberi. Poi ancora la governante tedesca, che era tornata sui suoi passi dopo aver fatto notare che non c’erano neppure bambini cui badare. Insomma: vuoi per l’isolamento, vuoi per il freddo, vuoi per l’eccessiva tranquillità, vuoi per la mancanza di una cosa o di un’altra, dopo poco tempo tutti coloro che si erano offerti di aiutarli nella conduzione della casa e nella gestione del Natale erano fuggiti via a gambe levate.

Così, alla fine, Babbo e Mamma Natale erano rimasti soli soletti nella loro grande, immensa casa al centro del loro grande, immenso giardino celato da un grande, immenso e fitto bosco.

E giunse, ancora una volta, il periodo precedente il Natale. Le letterine continuavano ad arrivare, e Babbo e Mamma Natale lavoravano alacremente in modo da riuscire ad approntare tutto per tempo. Alcuni giorni prima della vigilia, Babbo Natale si recò nel magazzino dei materiali per recuperare altra legna per fabbricare gli ultimi giocattoli.

Appena vi entrò, però, si rese conto che questa era ormai terminata, e che se non voleva rischiare di deludere qualche bambino l’unica soluzione era uscire nel bosco alla ricerca di un po’ di materia prima. Dopo essersi intabarrato nel più pesante dei suoi cappotti ed essersi caricato una capiente gerla sulla schiena, spalancò la porta di casa pronto ad avviarsi nella neve. Un vento gelido lo investì facendolo rabbrividire ed egli restò fermo sulla soglia ad osservare il paesaggio di fronte a lui: nonostante fosse giorno, il cielo era così cupo e carico di nuvoloni neri da non far passare neppure un timido raggio di sole, e sulla candida distesa che lo separava dal limitare della foresta si attorcigliavano leggeri mulinelli di fiocchi di neve sollevati da turbinose folate. Mamma Natale, che lo aveva accompagnato all’ingresso per salutarlo, si avvolse ancora di più nel suo scialle.

“Sei proprio sicuro di voler andare?”
“Devo! Anche se questo tempo non promette nulla di buono!”
“Cerca di fare in fretta… non farmi stare in pensiero, mi raccomando!”

Babbo Natale partì dunque per la sua missione: si addentrò tra gli alberi ed iniziò a raccogliere rami caduti, cortecce profumate, piccoli sassi dalle forme particolari, foglie secche, pigne nascoste sotto la spessa coltre bianca. Soddisfatto, decise di tornare verso casa. Mentre arrancava faticosamente tra la neve, però, il vento iniziò a farsi più intenso, freddo e rabbioso: per un po’ Babbo Natale proseguì ostinatamente per la sua strada, ma ad un certo punto le folate si fecero talmente forti e sferzanti da costringerlo ad una pausa.

Avvistata una piccola grotta riparata, vi si rifugiò in attesa che la situazione si calmasse un po’. Mentre aspettava paziente chiuso nell’angusto antro, però, un potente boato sovrastò il rumore del vento facendo tremare la terra stessa. Babbo Natale sobbalzò, si accostò all’ingresso della grotta, e restò in attesa. Dapprima sembrò calare un silenzio quasi irreale, come se ogni cosa, nel bosco, si fosse congelata; poi, lentamente, timidamente, la vita sembrò tornare alla normalità. Babbo Natale decise che era ora di riprendere la strada di casa: richiuse la giacca, raccolse la gerla, si calcò il berretto sulla testa e uscì dal suo rifugio. Proprio in quell’istante, però, gli parve di udire, in lontananza, una fievole voce: “Aiuto! Aiuto! Aiutatemi, vi prego!!!”

Babbo Natale restò in ascolto e, non appena udì di nuovo quel richiamo, seguì il suono per cercare di scoprire da dove provenisse. Grande fu la sua meraviglia quando si rese conto che a gridare, con quanto fiato avesse in gola, era stato un piccolo elfo che era rimasto incastrato sotto un ramo caduto da un albero. Immediatamente Babbo Natale lo aiutò: sollevò il pezzo di legno, aiutò la piccola creatura ad alzarsi e gli offrì un bicchiere di tè bollente che aveva portato nella sua fiaschetta perché si riscaldasse.

L’elfo bevve avidamente, poi si aggrappò al braccio dell’uomo guardandolo con aria supplichevole: “Ti prego… devi aiutarmi! “
“Aiutarti? In che modo?”
“I miei amici… sono rimasti sepolti sotto la neve… devi aiutarmi a tirarli fuori!”
“Va bene… portami da loro… e raccontami cosa è successo!”
“Io e i miei compagni viviamo in un piccolo villaggio ai confini del bosco, a ridosso di una montagna. Avevamo scelto quel luogo perché pensavamo di poter essere al riparo sia dalla curiosità degli uomini che dalle intemperie dell’inverno. Purtroppo, però, la tempesta di oggi è stata più forte di quanto ci aspettassimo: impauriti, tutti si sono rifugiati nella grande sala comune, la più solida del villaggio. Ed è stata la loro fortuna, perché ad un tratto una terribile valanga ha investito le case distruggendole tutte. Io mi sono salvato solo perché sono un esploratore, ed ero stato mandato sulla cima della montagna a controllare la situazione. Ero in volo sul mio gufo quando ho visto la neve abbattersi su di loro: sono sceso subito sperando di poterli aiutare, ma sono caduto io stesso. Il resto lo sai…”

Babbo Natale e l’elfo raggiunsero quindi il luogo dove sorgeva il villaggio: tutto ciò che si vedeva, però, era il gigantesco cumulo di neve che aveva travolto e sotterrato ogni cosa. Senza perdersi d’animo, Babbo Natale si tolse la gerla dalla schiena, si rimboccò le maniche e iniziò a scavare. E scavò, scavò, scavò, dapprima aiutato solo dal piccolo elfo, poi affiancato anche dagli animali della foresta. Scavò giorno e notte, senza mai fermarsi e senza mai stancarsi. E, alla fine, la piccola costruzione della sala comune comparve, macchia scura in tutto quel bianco sconfinato. Miracolo! Tutti gli elfi erano salvi e, uno alla volta, uscirono dalla casetta per andare ad abbracciare e ringraziare l’uomo e gli animali che li avevano soccorsi. Babbo Natale era esausto, ma felice. E fu solo in quel momento, riconquistata finalmente la tranquillità, che si rese conto di quanto tempo fosse passato, e che ormai era già arrivata la vigilia di Natale.

“Oh, povero me! Non ce la farò mai a terminare il mio lavoro! Questo sarà un Natale davvero triste per alcuni bambini!”
A quelle parole, gli elfi si resero finalmente conto che non era un uomo qualsiasi quello che li aveva aiutati, ma Babbo Natale in persona.
“Tu ci hai salvato la vita… saremo felici e orgogliosi di fare per te tutto ciò che è in nostro potere!”

Fu così che una piccola carovana partì alla volta di casa Natale: Babbo in testa, seguito da tutti gli elfi che, strada facendo, raccolsero tante piccole cose che sarebbero potute essere utili per la realizzazione dei giocattoli. Quando finalmente giunsero a destinazione, trovarono ad attenderli Mamma Natale semisvenuta per la preoccupazione. Ma le bastò vedere il marito sano e salvo per riprendersi all’istante e tornare scattante, arzilla ed efficiente: mentre infatti Babbo Natale iniziava ad organizzare il lavoro della giornata, lei aveva già preparato latte caldo e biscotti per tutti. La giornata procedette frenetica: chi costruiva i giochi, chi li dipingeva, chi impacchettava i regali, chi scriveva i bigliettini con i nomi dei bimbi, chi preparava il sacco magico. Altri, poi, ebbero il compito di preparare le renne, strigliarle, adornarle di nastri e campanelli e far fare loro qualche prova di volo perché si sgranchissero le zampe. Alcuni, infine, si impegnarono a controllare la slitta, lucidarla e prepararla per il volo.

Quando scese la notte, e l’ultimo regalo fu infilato nel sacco, Babbo Natale guardò felice e commosso i suoi aiutanti: “Grazie… senza di voi non sarei mai riuscito a finire tutto per tempo!”
Quindi, salutato da tutti gli elfi festanti, partì per il lungo viaggio che lo avrebbe portato da un capo all’altro del mondo.

Le piccole creature, sfinite, lasciarono che Mamma Natale le rifocillasse e trovasse loro un posto nella casa in cui passare la notte. E di posto, in quella casa, ce n’era davvero parecchio!
La mattina dopo, quando finalmente Babbo Natale rientrò, si ritrovarono tutti quanti nella grande cucina per fare un’abbondante e gioiosa colazione e scambiarsi gli auguri. Subito dopo, gli elfi si prepararono ad andare via.

“Adesso per noi sarà dura: dovremo trovare un altro posto, altrettanto sicuro e riparato, in cui vivere, e cercare di sistemarci alla meglio mentre ricostruiamo il nostro villaggio.”
Babbo e Mamma Natale si guardarono negli occhi… e non ebbero bisogno di parole: “Perché non restate qui? Abbiamo un giardino talmente grande che avrete tutto lo spazio che volete per costruire le vostre case. E, mentre queste ancora non saranno pronte, potrete stare qui in casa con noi!”

Gli elfi si consultarono tra di loro per qualche istante, poi: “Accettiamo, ma solo ad una condizione: da oggi in poi vorremmo potervi aiutare sia nei lavori di tutti i giorni, sia nell’organizzazione del Natale!”

E fu così che Mamma Natale ebbe finalmente qualcuno che la aiutasse in casa… e Babbo Natale dei validi e solerti collaboratori che tutt’ora lo aiutano a rendere il Natale di ogni bimbo ancora più perfetto!

2 risposte su “La vera storia degli Elfi di Babbo Natale”

Questa favola ha accompagnato me e mia figlia dall’infanzia fino al poco fa. Ora ha 12 anni ma resta in noi il favoloso ricordo e l’emozione delle nostre buonanotte insieme .

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