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Fiabe di Gian Dàuli Fiabe per bambini

La fanciulla virtuosa

Fiaba di Gian Dàuli

C’era una volta una bella fanciulla che sin dalla più tenera età era rimasta senza il babbo e la mamma, e siccome oltre che bella era anche buona, assennata e virtuosa, fu presa e allevata come una vera figlia da una vecchietta che in fondo al villaggio abitava una casettina dove campava la vita col ricavato del filare, tessere e cucire.

Nella casetta non c’era da scialare ma neppure c’era la miseria: si tirava avanti alla bell’e meglio. Senonchè, un bel mattino, e proprio il giorno, in cui la fanciulla compiva i quindici anni, la vecchia si mise a letto assalita dalla febbre, e nei giorni seguenti andò peggiorando tanto che, vedendo avvicinarsi l’ultima sua ora, chiamò vicino a sè la sua figlia adottiva e le disse:

— Fanciulla mia, quando io non ci sarò più, ricordati di essere sempre buona e virtuosa, come lo sei stata finora. Io ti lascio questa mia casetta: non è una reggia, ma almeno puoi ripararti dalle intemperie; e ti lascio anche il mio fuso, il mio telaio e il mio ago; con essi potrai lavorare e guadagnarti il pane… Ricordati sempre di essere timorata di Dio e sarai certamente felice. – E detto questo, chiuse gli occhi e si addormentò per sempre.

Da quel giorno la povera fanciulla rimase sola sola; ma seguendo consigli della sua buona mamma adottiva, lavorava da mattina a sera, e appena aveva terminato un lavoro, ecco presentarsi immediatamente un compratore che la pagava profumatamente, cosicchè alla fanciulla, oltre il vivere comodamente e senza alcuna privazione, restava di che fare l’elemosina ai poveri.

Intanto bisogna sapere che il Reuccio, in quei tempi, andava in giro in cerca di una sposa che facesse proprio al caso suo; e siccome l’etichetta di corte gli impediva di sposare una ragazza povera, e lui una ricca non la voleva, cercava una fanciulla che nello stesso tempo fosse la più povera e la più ricca.

Quando capitò finalmente nel villaggio dove abitava la nostra cara orfanella, il Reuccio domandò quale fosse la ragazza più ricca e qual la più povera del paese. Gli indicarono allora le due abitazioni.

In quel momento la ragazza più ricca se ne stava adornata di splendide vesti, sdegnosa e superba, davanti la porta di casa sua, e quando il Reuccio le fu vicino si alzò e gli fece un grande inchino accompagnato a un sorriso lusinghiero. Ma quando il Reuccio giunse alla casetta in fondo al villaggio dove abitava la ragazza più povera, quella che noi ben conosciamo, la trovò che lavorava al telaio. Egli ammirato, fermò il cavallo e la guardò attraverso la finestra. Vedendo quell’ombra lei alzò la testa, ma scorgendo il bel cavaliere che la guardava, l’abbassò subito e continuò a lavorare, nè l’alzò più finchè quegli non se ne fu andato. Allora non potè più stare ferma e corse alla finestra e seguì con gli occhi il caracollare del Reuccio finchè lo perdette di vista.

Poi rientrò, prese il fuso e riprese a filare. E filando cantava:

Fuso, fusetto, fusettino mio
conduci presto al cuore mio
colui che mi consoli
nei giorni lunghi e soli…

Aveva appena finito di dire la strofa che il fuso le sfuggì di mano e per la finestra scappò contento, saltellando e dipanando un filo d’oro. E tanto corse e corse da raggiungere il Reuccio il quale a vederselo davanti disse:

— Questo fuso vuol certamente indicarmi la mia strada. Bisogna che lo segua! – e, voltato il cavallo, si diede a seguire il filo d’oro…

Intanto la fanciulla, rimasta priva del fuso, sedette al telaio e cominciò a far andare la spola. E anche questa volta lavorando cantava:

Spola, spoletta, spolettina mia
conduci lesta lesta all’alma mia
colui che mi consoli
nei giorni lunghi e soli…

Non aveva ancora finito di cantare così, che la spola le sfuggì di mano e corse davanti la porta, dove, vai e vieni, vieni e vai, cominciò a tessere un meraviglioso tappeto che l’uguale non si era ancora visto a questo mondo.

La fanciulla allora, per non rimanere in ozio, prese l’ago e cominciò a cucire. E anche ora, mentre cuciva, cantava:

Ago, aghettino, agile e fino
portami presto a lui vicino
che mi consoli
nei giorni soli.

Non aveva ancora finito di dire così che pure l’ago le sfuggì di mano, e girando e rigirando di qua e di là per la stanza, in men che non si dica coprì pareti, tavoli, sedie, mobili e finestre di tende, tappeti e coperte: una vera meraviglia. E quando tutto fu pronto, eccoti, preceduto dal fuso, fermarsi davanti la porta il Reuccio che, sceso di sella, entrò nella stanza e piegando cavallerescamente un ginocchio a terra, davanti alla fanciulla che conservava i suoi umili panni, le disse:

— Tu sei proprio la più ricca e la più povera ragazza del mio regno, e sei colei che sarà la mia sposa!

Così dicendo le diede un bacio, poi la fece salire in groppa al suo bel cavallo e raggiunse a spron battuto il palazzo reale dove il giorno dopo, tra una pompa mai vista, si celebrarono le nozze…

Ma la fanciulla, anche ora che era una Regina autentica, non dimenticava mai la spola, il fuso e l’ago, e li mostrava a tutti come le più preziose ricchezze della donna e della casa…

Fuso ago e spola
m’hanno portato
il Re adorato
che mi consola!

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