Fiaba di Luigi Capuana
C’era una volta un Re che aveva un unico figlio e lo teneva, come suol dirsi, tra la bambagia.
Finché fu bambino, il Reuccio si sottomise a tutte le eccessive precauzioni, ordinate dal padre perché non si ammalasse, ma quando divenne un bel giovinetto cominciò a seccarsene.
E spalancava tutte le finestre del suo appartamento; e scendeva in giardino a capo scoperto sotto il sole di mezzogiorno; e si slanciava a corsa pei viali, saltando, scalpitando, imitando i nitriti del cavallo e gli abbai del cane, gli urli del lupo, poiché gli avevano detto che i lupi urlassero a quel modo.
Ed ecco i suoi custodi ad affrettarsi a chiudere le finestre. Ed ecco i suoi custodi a mettergli per forza un berretto o un cappello in testa per ripararlo dal sole. Ed ecco i suoi custodi a corrergli dietro, sfiatati, lungo i viali, raggiungerlo, afferrarlo per un braccio e gridargli:
– Ma, Reuccio! … Ma, Reuccio! … Che dirà Sua Maestà?
Sua Maestà ormai non diceva più niente. Il Reuccio era un bel giovanotto alto, robusto, amava di cavalcare, di andare a caccia, di divertirsi coi giovanotti suoi pari.
E accadde che un giorno, a caccia, egli disparve. Le persone del suo seguito lo cercarono dappertutto, e dovettero tornare al palazzo reale recando la triste notizia.
Il Re, disperato dal gran dolore, aveva già ordinato che gli sellassero il suo cavallo, quando il Reuccio giunse, a piedi, sano e salvo.
– Che è stato, Reuccio?
– Niente, Maestà.
Non volle dir altro. Ma aveva un viso strano.
Il Re, che viveva continuamente sotto il terrore di perderlo, non poteva acchetarsi da questa risposta:
– Niente? Con quel viso?
– Niente di male, Maestà. Ho visto la più bella creatura del mondo, ma dice: «Vedermi, si, toccarmi, no!». E se io dovessi sposare, vorrei sposare soltanto lei.
– Chi è? Dove si trova?
– Non lo so. La sua carne è bianca come la neve; e dà un senso di frescura che é una delizia.
– Reuccio, vi siete addormentato in mezzo al bosco e avete sognato.
– Maestà, avevo gli occhi ben aperti. Voglio tornare a rivederla…
Infatti, il giorno dopo, non ostante che il Re prima gli ordinasse e poi lo supplicasse di non andare, il Reuccio volle tornare, solo, nel posto dove gli era apparsa la bianca creatura che, anche in sogno, era venuta a ripetergli: Vedermi si; toccarmi, no! Che significava? Voleva saperlo.
Il Re si era deciso di seguire, non visto, il Reuccio. Gli pareva assurdo quel che questi aveva raccontato. Forse poteva trattarsi di qualche maligno sortilegio con cui si insidiava il suo unico figiiuolo. Prima aveva temuto l’aria, il sole, il movimento; ed ora che esso era venuto su bello e forte temeva sempre qualche disgrazia… Se lo rimproverava spesso:
– Ah! Gli faccio il malaugurio!
Ma la paura di un’improvvisa disgrazia lo teneva in agitazione suo malgrado. Si sentiva già vecchio e non voleva riprender moglie per riavere un erede.
Per ciò quella mattina, appena il Reuccio uscì dai portone del palazzo reale, il Re, travestito da contadino, gli andò dietro, a breve distanza, per non perderlo di vista.
A un punto della strada, s’imbatté in un povero asino cascato malamente sotto il carico:
– Per carità, compare, aiutatemi! Voi dalla testa; io dalla coda!
Poteva lasciare quel vecchio contadino nell’imbarazzo?
E: – Ohè! Su! Ohè! Su! – lui dalla testa e quello dalla coda, finché il povero asino non si rizzò sui quattro piedi.
Ma quando il Re cercò con gli occhi il Reuccio, non lo vide più né vicino, né lontano.
Errò di qua, errò di là; si internò nel bosco dove il Reuccio era sparito il giorno avanti; cercò ancora, chiamò ad alta voce:
– Reuccio! Reuccio! – E non vedendolo, e non ricevendo risposta si avviò per tornare addietro deciso che un’altra volta gli si sarebbe attaccato ai panni, e non lo avrebbe lasciato di un passo. Ma prima ch’egli giungesse a palazzo reale, ecco il Reuccio. Il Re fece tanto di cuore. E, dimenticando il suo travestimento da contadino che lo rendeva irriconoscibile, voleva abbracciare il figlio. Vedendosi sdegnosamente respinto, pensò di divertirsi a spese del Reuccio, per l’equivoco. E contraffacendo la voce, disse:
– La bella creatura bianca e fresca
Un giorno se ne andrà di palo in frasca…
– La conoscete anche voi? – esclamò il Reuccio, stupìto.
– Vedere, non toccare, questa è l’esca. Vedere e non toccare… e tutto passa!
– No, vecchiaccio maligno!
E stava per picchiarlo.
– Reuccio!
Riconobbe il Re al grido, e gli si buttò ai piedi chiedendo perdono.
– Ah, Maestà!… Mi ha detto: «Devo recarmi lontano, verso le alte montagne». Voglio andare a trovarla lassù.
– A che scopo? Non potrà mal essere la futura Regina. Vedermi, si; toccarmi, no! È possibile?
– Mi basta vederla. Se vostra Maestà la vedesse, mi darebbe ragione.
Il Re pensò:
– Questo è sortilegio o pazzia.
E il più vecchio dei Ministri suggerì:
– Bisogna consultare la maga Nana.
La maga Nana abitava nella grotta, a mezza costa di una montagna circondata di boschi. Vi si doveva girare tre volte attorno, chiamando ad alta voce: – Maga buona, Maga bella! – Al terzo giro si scopriva la bocca della grotta e si poteva entrare dalla Maga.
Ed ecco il Re a fare il primo giro attorno ai boschi:
– Maga buona! Maga bella!
Era stanco, non ne poteva più; pure riprese il secondo giro: – Maga buona! Maga bella!
Al terzo giro, il Re si trascinava a stento attorno, ed era così sfinito che invece di chiamare: – Maga buona! Maga bella! gli scappò di bocca:
– Maga Nana! Maga Nana!
E dové tornarsene addietro, senza aver trovato l’entrata della grotta.
Intanto il Reuccio si preparava a partire per le alte montagne dove la Creatura bianca e fresca come la neve era andata a rifugiarsi. Il Re, desolato, non sapeva in che modo impedirlo.
Il più vecchio dei Ministri tornò a suggerire:
– Bisogna consultare la maga Nana!
E il Re intraprese di nuovo il viaggio attorno al boschi, chiamando ad alta voce: Maga buona! Maga bella! – Era già all’ultimo giro, non ne poteva più, e dovette fare proprio un grande sforzo per non gridare anche questa volta: – Maga Nana! Maga Nana!
L’entrata della grotta si aperse, e il Re poté inoltrarsi per l’andito che aveva le pareti luminose, senza candele né lampade, e abbagliavano gli occhi.
La maga Nana era a tavola.
– Ben venuto, Maestà! Sedete, Maestà! Mangiate e bevete, Maestà. Poi parleremo di vostro figlio il Reuccio.
Il Re era stupìto che già la maga Nana sapesse il motivo della sua visita.
A guardarla in viso la Maga sembrava una vecchietta, ma il corpo era di una bambina di sei anni.
Il Re si confondeva a rispondere: Grazie! E guardava sbalordito la tavola apparecchiata. Piatti di oro, bicchieri di oro, bottiglie di oro, posate di oro. Quattro bellissime donzelle portavano in tavola le pietanze, mutavano i piatti e le posate.
La Maga divorava tutto e si versava vino quasi a ogni boccone.
– Mangiate, Maestà! Bevete, Maestà! Poi parleremo di vostro figlio il Reuccio.
E la Maga riprendeva a divorare quasi fossero quelli i suoi primi bocconi. All’ultimo:
– Mangiare e dormire; dormire e mangiare è il meglio che si possa fare. Domani parleremo di vostro figlio il Reuccio.
– Parliamone ora, Maga bella!
– Mangiare e dormire; dormire e mangiare è il meglio che si possa fare! Domani… domani…
E non poté finire. Si era addormentata su la seggiola. Le quattro donzelle la sollevarono tra le braccia e la portarono a letto. Si sentì a poco a poco sopraffare dal sonno anche lui, e la mattina dopo si svegliò in una bella camera, su morbidissimo letto.
– Parliamo del Reuccio, Maga buona!
– Oh, Maestà! Che grazioso anello avete al dito!
– Ecco: è per voi… Parliamo del Reuccio, Maga bella!
– Grazie!… Oh, Maestà! Che ricca collana portate sul petto!
– Ecco: è per voi… Parliamo del Reuccio, Maga buona!
– Grazie! Oh, Maestà! Che magnifica cintura avete ai fianchi!
– Ecco: è per voi… Ma parliamo del Reuccio…
E fu un miracolo che il Re, un po’ seccato, non soggiungesse: Maga Nana! – Si morse la lingua.
La Maga infilò al dito l’anello, mise sul petto la collana, si affibbiò attorno al fianchi la cintura, e cominciò a socchiudere gli occhi, a sbadigliare e stirare le braccia, mugolando sconnesse parole. Il Re attese un po’ prima d’insistere:
– Parliamo del Reuccio, Maga bella! Parliamo del Reuccio, Maga buona!
– Maestà… già… ritorno!
Stirò le braccia e le gambe, si mise di nuovo a sbadigliare e aperse gli occhi.
– Fata Neve l’ha chiamato,
Fata Neve l’ha incantato,
Per finire questo giuoco
Ci vorrebbe fata Fuoco.
Il Re si mise le mani ai capelli, piangendo:
– Ah, povero Reuccio!… E come fare?
– Fata Neve è molto lontana, in cima alle montagne, in questo momento. Daremo al Reuccio poche gocce di Sméntica – eccola qui – e per parecchi mesi non si ricorderà più di fata Neve. Intanto ricorreremo a fata Fuoco, quella che vive nel suo palazzo sottoterra.
– Ah, povero Reuccio! E come fare?
– Egli è già pronto per partire. Direte…
E la maga Nana gli spiegò minutamente come doveva comportarsi.
– Dunque, Reuccio, siete deciso?
– Decisissimo, Maestà.
– E non v’importerebbe di non trovarmi vivo al ritorno?
– Che dite mai, Maestà?
– Beviamo, intanto, alla vostra e alla mia salute.
– Volentieri, Maestà.
E il Reuccio vuotò il bicchiere.
Le gocce di Sméntica operarono subito. Il Reuccio, che aveva tanta fretta di mettersi in viaggio, si diè a gironzolare per le stanze canticchiando, con le mani dietro la schiena, guardando attorno quasi cercasse qualcosa che aveva smarrito. Guardava da una finestra il giardino reale tutto verde, tutto fiorito, e domandava:
– Maestà, è arrivata ora la Primavera?… E quando andrà via?
– Fra tre mesi, Reuccio.
– Maestà, poi verrà l’Estate, è vero? E quando andrà via?
– Dopo altri tre mesi, Reuccio. Perché?
– Troppi fiori in Primavera; troppo caldo in Estate.
E tornava a guardare attorno, quasi cercasse qualcosa che aveva smarrito; non sapeva che cosa. Il Re da un lato era contento; dall’altro quella smemorataggine gli ispirava compassione. Il più vecchio dei Ministri disse al Re:
– Maestà, se approfittassimo di questo intervallo di calma per dar moglie al Reuccio? La figlia del Re di Spagna è bellissima, dicono, e in età da marito. Mandiamolo in viaggio a quella Corte; servirà anche per distrarlo.
E il giorno che il padre gliene fece la proposta, il Reuccio rispose con aria indifferente:
– Andiamo a vedere questa bellezza rara!
Partì, accompagnato dal vecchio Ministro, con un gran seguito e molti ricchi doni per la famiglia reale.
Ma quando il Re di Spagna disse al Reuccio:
– Ecco la mia Reginotta! – il Reuccio stette un po’ a guardarla da capo a piedi e, rivolto al vecchio Ministro, esclamò:
– È questa la gran bellezza? Mi sembra una lavandaia!
Figuratevi quel che accadde! La Reginotta svenne; il Re voleva ruzzolar dalle scale l’impertinente Reuccio, e senza l’astuzia del vecchio Ministro che dichiarò il Reuccio improvvisamente ammattito, ne sarebbe nata una guerra.
– Ah, Reuccio! Reuccio! Come vi è passata per la testa…
– Ho detto quel che mi avete suggerito voi…
– Io? Ah, Reuccio!
– Voi o un altro non so; suggerito all’orecchio: «È questa la gran bellezza? Mi sembra una lavandaia!». Non è forse vero?
– Io? Io? Reuccio!
Il vecchio Ministro non sapeva darsene pace.
Il Re capì benissimo chi aveva sussurrato all’orecchio del Reuccio quelle brutte parole: fata Neve certamente.
Ah! il sortilegio durava ancora! Infatti, di tratto in tratto il Reuccio domandava:
– È arrivato l’Autunno, è vero, Maestà?
– Che ve n’importa, Reuccio?
– Niente. Poi, dopo, sopraggiunge l’Inverno, è vero, Maestà?
– Che ve ne importa, Reuccio?
– Non so; mi pare che l’Inverno debba apportarmi una gran gioia.
Il Re si turbò grandemente sentendolo parlare così.
– L’inverno, Reuccio, è la più brutta stagione dell’anno.
Non mise tempo in mezzo. Tornò dalla maga Nana.
– Maga buona! Maga bella! Le gocce di Sméntica non giovano più!
– Sedete, Maestà. Mangiate e bevete. Poi parleremo di vostro figlio il Reuccio. Ah, Maestà! Che bel braccialetto avete al polso!
– Ecco: è per voi… Maga buona!
– Grazie! E quel fermaglio con due stelle diamantate?
– Anch’esso è per voi… Maga bella! Ma parliamo del Reuccio!
– Grazie! Che bello smeraldo avete al dito!
– È vostro, Maga buona! Maga bella!… Ma parliamo…
– Vado e torno!
Socchiuse gli occhi, sbadigliò, stirò le braccia, borbottando sconnesse parole, e si addormentò come l’altra volta.
Stiè un pezzo così. Quando si svegliò sembrava molto stanca.
– Sono andata lontano, per amor vostro, Maestà, dai miei grandi Maestri. Fata Neve sta per arrivare. Bisogna ricorrere a fata Fuoco, la sua forte nemica. Vi conduco io. Venite.
La maga Nana andava lesta; pareva che non posasse i piedi al suolo. Il Re stentava a seguirla. Che non avrebbe fatto, povero padre, pur di salvare il Reuccio?
– Vi avverto, Maestà: bisogna accennare a fata Neve senza punto nominarla. Ed ora, sprofondiamoci sotterra.
Da principio, buio fitto. Non si sapeva dove mettere i piedi. Poi, una luce fioca, che aumentava fino a un chiarore di luna piena; e poi… Le mura, le volte del lungo andito brulicavano come di fiamma e, in fondo, i gradini della scala che conduceva giù negli appartamenti, sembravano di fiamma viva, ed erano più solidi del marmo.
Il Re, che, da principio, aveva avuto paura di rimanere carbonizzato, visto che quelle fiamme avevano maravigliosa ma innocua apparenza, s’inoltrò con animo lieto fino al vasto salone.
Fata Fuoco sembrava la vibrante lingua di una splendida fiamma, con su una bellissima testa di donna attorno a cui si agitavano lunghi capelli d’oro come aureola irrequieta.
– Fata Fuoco! Fata Fuoco! Voi sola potete salvare mio figlio il Reuccio!
– Chi lo minaccia?
– Un pericolo ignoto… ma certo! – disse la maga Nana.
– D’uomo… o di nonna?
– Chi sa chi sa? – rispose il Re. -Vedermi, sì, dice, toccarmi, no!
La fiamma del corpo di fata Fuoco si contorse, si oscurò, l’aureola dei capelli cessò di vibrare, e davanti al Re apparve una vecchina vestita di un umile abito cinericcio, coi bianchi capelli raccolti attorno alle tempie, con lo sguardo sereno e la bocca sorridente.
Usciti all’aria aperta, fata Fuoco disse al Re:
– Maestà, afferratevi forte a un lembo della mia veste. Dobbiamo volare due giorni e due notti per giungere in tempo. Voi, Maga, non ne avete bisogno. Addio, Maga!
Il Re si sentì portar via leggero come una piuma. Vola! Vola! Vola! Due giorni e due notti!
– Ahimè! – sospirò la Fata. – Forse arriviamo troppo tardi!
Volteggiarono per l’aria piccoli e varii fiocchi di neve. Il Re si guardò bene di nominare quell’altra Fata!
Salendo le scale del palazzo reale, fata Fuoco si era trasfigurata in bellissima giovane, riccamente vestita, ornata di preziosi gioielli.
– Reuccio! Reuccio! – disse il Re. – Ecco la bellezza in persona!
Il Reuccio era affacciato alla finestra. Guardava, estasiato, i piccoli fiocchi di neve che volteggiavano per l’aria; e, lontana, lontana, tra le nuvole rosee, vedeva, quasi ombra bianca e trasparente, colei che gli era tornata nella mente e nel cuore, e che egli stava per credere perduta per sempre.
– Reuccio! Reuccio!… Ecco la bellezza in persona!
Il Reuccio si voltò, la guardò da capo a piedi, e sprezzantemente rispose:
Questa la bellezza in persona? Mi sembra una lavandaia!
E tornò a festeggiare con gli occhi i fiocchi di neve che ora volteggiavano più fitti per l’aria, e l’ombra bianca e trasparente che si avvicinava, trasportata lievemente dal vento.
Fata Fuoco era sparita. Il Re, mezzo svenuto dall’ambascia, piangeva in un angolo della stanza.
– Eccola! Eccola!
Il Reuccio capì in quel momento che la sua vita andava a confondersi, a perdersi nel divino fantasma bianco: – Vedermi, sì; toccarmi, no!
Sembravano parole di minaccia, di condanna, ed eran state per lui dolce ammonimento di un bel sogno.
Infatti, la mattina dopo, quando trovarono il cadavere del Reuccio sotto un soffice strato di neve – e pareva serenamente addormentato – il vecchio Ministro esclamò:
– Sorride ancora al suo sogno!
Fiaba di neve, fiaba di fuoco,
Se non vi spiace, fatele luogo.
Fiaba di fuoco, fiaba di neve,
Chi ben comprende cara la tiene.