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Fiabe di Luigi Capuana Fiabe per bambini

La fiorita

Fiaba di Luigi Capuana

C’era una volta un contadino che aveva una moglie più vecchia di lui. Vecchia sarebbe stato niente; era anche brutta assai.

E neppur questo sarebbe stato niente, se quella donna non avesse avuto un caratteraccio che la rendeva insopportabile a tutti, cominciando dal povero marito per finire alle vicine.

Il suo peggior difetto era la contraddizione.

Per esempio: se le vicine, vedendo il cielo nuvoloso, sentendo soffiare un vento diaccio, esclamavano: – Che giornataccia! – lei, per picca, rispondeva: – Ma se è una giornata di paradiso!

E all’inverso, se qualcuno diceva: – Che bella giornata! – lei, immediatamente, ripicchiava: -Giornata d’inferno dovreste dire!

Per farla adirare, certe volte quelle donne, nel meglio del discorso, s’interrompevano, domandando di una cosa:

– È bianca o nera? Noi non sappiamo…

La vecchia mangiava la foglia, e, irritata dallo scherno, prorompeva in una sfilza di male parole che procuravano sonore risate.

Se la prendeva col marito:

– Invece di ridere anche te, dovresti difendermi!

– E tu non cercare col lanternino le occasioni di far ridere la gente! – rispondeva l’altro.

– Ah, se avessi un figliuolo!

– Ha fatto bene di non venire! Ne avrebbe viste di tutti i colori.

– Ah, si? Ha fatto bene di non venire? Ha fatto bene?

Ed erano urli, imprecazioni, strappate di capelli, minacce con le mani contro il figliuolo che non era venuto a rallegrare la loro casa.

Qualcuno le aveva detto:

– Perché non adottate un orfanello?

– Voglio un figlio mio, non di altri.

– Non avete farina? Stacciatela, impastatela, fatene un bel pupo e cuocetelo al forno…

– Al forno cuocerei la lingua vostra, se potessi!

E rientrava in casa, quasi soffocata dalla bile.

Ora, per non questionare con nessuno, se n’era andata in campagna col marito. Pareva che l’aria di campagna le calmasse i nervi. Se ne stava seduta davanti a la porta del casolare, con le mani su i ginocchi, intenta a seguire le operazioni del marito che aveva il campicello attorno; e, in certi momenti, quasi assorta in lontani ricordi, canticchiava un ritornello bambinesco:

– Tri! Tri! Tri!

Il mio grillo fa così!…

Quel giorno il marito era andato in città per fare certe piccole provviste, e lei si era seduta su l’uscio, dalla parte interna, perché fuori piovigginava.

Ed ecco che ella vide venire per la viottola una donna, premurosa di ripararsi dalla pioggia.

Le fece cenno, con una mano, di affrettarsi, e quando se la vide improvvisamente vicina, quasi fosse stata sospinta da un soffio di vento, la invitò ad entrare e le porse una seggiola.

La leggera veste azzurra della bellissima dama sembrava tutta cosparsa di perline iridescenti, e non si capiva se erano tremolanti goccioline di pioggia o rare perlette tessute mirabilmente nella stoffa.

– Mia padrona, comandate, se posso servirvi in qualche cosa… – disse timidamente la vecchia.

– Mi basta il buon cuore, vecchina via! Siete sola?

– Col marito più vecchio di me. Intanto essa pensava:

– Questa dev’essere una Fata! È tanto bella!

– Sì, sono una Fata – disse la dama che le aveva letto nel pensiero. – Ed oggi è una delle giornate nelle quali posso concedere qualunque grazia. Chiedete e otterrete.

– Una fiorita di figliuoli!

La dama si levò da sedere, ed uscì là fuori.

La pioggerella era cessata.

– Ve ne andate, Fata bella?

– Vi preparo la fiorita.

E aggiunse altre parole sottovoce.

Poi fece dei segni colla mano, come per tracciare un piccolo quadrato nel terreno più vicino e vi sparse un pugno di semente.

Parve che il terreno bollisse; le zolle si aprivano, spuntavano foglioline, si rizzavano lentamente steli, quasi scossi da fremiti di vita, e si gonfiavano bocciuoli, si aprivano fiori di ogni forma e colore: rose, garofani, gigli e altri non mai visti.

– Fiorita inutile per me! – esclamò la vecchia.

– Provate e vedrete!

– Che cosa devo provare?

La risposta non venne. La bella Fata era sparita!

Furiosa, non sapendo con chi sfogarsi, la vecchia si slanciò per strappare quei fiori che sembravano un’irrisione, ma si sentì  palpare le mani da delicate invisibili manine, e le parve di udir sussurrare da ogni fiore: – Mammina! Mammina!

Si arrestò impaurita e commossa, e poi, con voce tremante, disse:

– Venite, dunque, figliuoli!

E, tutt’a un tratto, si vide circondata da quasi un centinaio di bambini e bambine, vestiti coi colori dei fiori dai quali erano usciti, su per giù della stessa età, dai sette ai dieò anni, freschi, rosei, impazienti, che la tiravano per la veste da tutte le parti:

– Mammina! Mammina!

– Troppa grazia, Fata bella! – esclamò la vecchia, aprendo desolatamente le braccia.

Pensava:

– E come sfamerò tutte queste bocche? E dove potrò ricoverarli questi figliuoli?

Infatti, essi la guardavano con cert’aria che pareva dicesse:

– Mammina, abbiamo fame!

Quando il marito tornò, fu stupìto di vedere tutti quei bambini che lo chiamavano: – Babbo! Babbo!

– Che è questa novità? – domandò alla moglie.

– Sono figliuoli nostri; ce li ha regalati una Fata. Bel regalo! – soggiunse. – Io ne volevo uno solo, e questi sono più di cento! Dove li faremo dormire? Come potremo sfamarli?

– Chi ce li ha regalati non farà le cose a mezzo. Vedrai. Giacché si tratta di una Fata…

I bambini saltavano festosamente attorno:

– Babbo! Babbino, non ci mandare via!

Egli si sentì intenerire. Ne accarezzò, ne baciò parecchi, mentre sua moglie ripeteva:

– Disgraziati! Moriranno di fame e di freddo. Sarebbe meglio che quella stupida Fata venisse a riprenderseli. Fossero almeno grandi! Ne faremmo tanti contadini capaci di guadagnarsi da vivere…

Non aveva finito di parlare, che nel terreno attorno si rizzavano tante bianche casettine da poter comodamente accogliere tutte quelle creature.

La vecchia non ne sembrava sorpresa; ma il buon uomo stentava a credere al suoi occhi.

– Che bellezza! – esclamò girando lo sguardo attonito verso dov’erano sorte le casette.

E intanto pensava:

– Ma è possibile che una Fata si sia mossa a pietà di una Stregaccia come mia moglie? Ci dev’essere un gran mistero!

I bambini presi per mano si avviarono a due a due verso le casette. Ridevano tra di loro e pareva che li guidasse davvero una Fata, poiché giunti che furono davanti alle porte delle casette dissero:

– Questa è mia! Questa è mia!

E quando i contadini dei dintorni appresero dalla bocca del buon vecchio i fatti proprio come egli aveva sentito narrare dalla moglie, e poi veduti coi suoi occhi, anche essi ripeterono:

– Ci dev’essere un gran mistero!

L’indomani, allorché i bambini dissero ai vecchi che avevano tanta fame, quei due non seppero rispondere niente.

Ma, dopo un istante di riflessione, rivolta al marito disse:

– Per sfamarli oggi, lascia fare a me!

Si ricordò di un vicino che aveva un vasto frutteto. Mele, pere, prugne, uva; gli si infradiciavano sulle piante. Non le godeva lui, né permetteva che le godessero gli altri, per cattiveria più che per avarizia.

Si sentì come afferrata di peso e portata via in alto; e i figliuoli con le braccia aperte e le gambe riunite e tese, le volavano dietro allegramente, da sembrare uno sciame:

– Mammina! Mammina!

E quando furono nel frutteto di quel tale, chi si arrampicava a un melo, chi a un pero, chi allungava le mani ai grossi grappoli di uva bionda e di uva nera del pergolato; e, in pochi minuti, non rimaneva sulle piante né una pera, né una mela, né un grappolo d’uva, niente!

Si sentì nuovamente come afferrata di peso, portata via per aria verso il casolare; e i figliuoli, con le braccia aperte e le gambe riunite e tese, le volavano dietro allegramente, da sembrare uno sciame:

– Mammina! Mammina!

Chi sa come avrebbe sbraitato il vicino, accorgendosi di quel saccheggio del suo frutteto?… Invece, la mattina dopo, ella lo vide arrivare tranquillo, sorridente.

– Sapete? Mi era stato detto che voi e i vostri figliuoli avevate massacrato il mio frutteto. Sono corso a vedere… e ho trovato ogni cosa a posto, uva, pere, mele, tutte più fresche di prima! Per far dispetto ai maligni, ve n’ho portato un paniere.

I bambini e le bambine erano accorsi, battendo le mani; e due di essi, preso ü paniere per il manico, cominciarono a vuotarlo.

Vuota, vuota, vuota… Le pere, le mele, l’uva si ammonticchiavano in terra; e più ne uscivano e più ce n’erano. Rigurgitavano; pareva che il paniere avesse fretta di vuotarsi da sé e non riuscisse a finire.

Quell’uomo guardava meravigliato e atterrito.

– Grazie! – disse la vecchia.

Quasi avesse ordinato: Basta!

Il vicino prese il paniere e andò via di corsa, voltandosi più volte indietro; temeva di essere inseguito.

Raccontò il fatto a un amico… E così, di bocca in bocca, la notizia, ingrandita, esagerata, era giunta all’orecchio del Re.

Il Re era uno che non credeva niente, se non vedeva coi suoi occhi, se non toccava con le proprie mani. Si travestì e accompagnato da due Ministri, travestiti anch’essi, andò a trovare la vecchia.

In quel momento ella si bisticciava col marito appunto per via di quei figliuoli.

– Di che vi lamentate? – gli diceva. – Non vi costano niente; anzi, essi pensano pure a sfamarci, me e voi!

Si presentò in questo punto il Re. La vecchia gli si rivolse con tanto di bocca:

– Che volete? Che cercate? Noi non dobbiamo render conto dei fatti nostri a nessuno!

– Badate come pariate!

– Parlo come mi pare e piace!

– Questi è Sua Maestà il Re… – disse uno dei Ministri.

– Già… Il Re ha occhi, naso, bocca, mani e piedi pari a me! Dice che chi lo vede muore…

– Chi vi ha dato a intendere queste sciocchezze? Sua Maestà il Re eccola qui!

– Allora… tanto piacere! – rispose la vecchia rabbonita e impaurita. – Che comanda Vostra Maestà?

– Mi prendo i vostri figliuoli e ne faccio dei soldati; mi prendo le vostre figliuole e ne faccio delle vivandiere.

– Sono ancora ragazzine e ragazzi…

– Chiamateli e vedremo.

Invece, con gran stupore della vecchia, si presentarono tanti bei giovanotti, alti, robusti, tante belle ragazze vigorose, capaci di sostenere ogni fatica. I giovanotti si schierarono da una parte, le ragazze dall’altra, e il Re li guardò con vivissima soddisfazione.

Doveva dichiarare la guerra a una vicina tribù di selvaggi, che scannavano i prigionieri, li squartava, li rosolava appena, e se li mangiava. Faceva la stessa cosa coi disgraziati che capitavano colà, lusingati di guadagnare qualche cosa col commercio del bestiame.

Ultimamente quei selvaggi avevano sorpreso un Ministro del Re in una partita di caccia. Era stata una gran festa. Mentre le membra di esso venivano arrostite, i selvaggi intrecciavano danze attorno al fuoco, accompagnate da urli di gioia…

Il Re, deciso di sterminarli, radunò tutti i suoi soldati, e alla testa di questi mise i giovani della «Fiorita», come li chiamavano, e che erano impazienti di combattere.

I selvaggi si erano rifugiati su le aspre montagne del loro territorio tutto rocce e boscaglie.

Pareva che si fossero fatti dei nidi lassù, e si difendevano ruzzolando grossi massi… Ma i giovani della «Fiorita» si arrampicavano su per l’.erta come tanti scoiattoli; e quanti selvaggi afferravano per i piedi, tanti ne scaraventavano giù a fragellarsi su le rocce sporgenti.

Fu una vera strage! Il Re e tutti gli altri soldati erano stati a guardare e ad ammirare, battendo le mani ogni volta che qualcuno dei nemici faceva dei rivoltoloni per aria. Nessuno dei giovani della «Fiorita» era stato colpito, e, alla fine, essi si schierarono lieti e sorridenti davanti al Re, senza mostrare la minima stanchezza.

Le vivandiere avevano preparato il rancio, e tutti, anche il Re, si misero a mangiare.

Poi i capi dei giovani si presentarono a Sua Maestà ed espressero il desiderio di tornare a casa.

– Che vi manca da me?

– Niente. La casa ci chiama…

Il Re, con una scusa o con un’altra, indugiava a licenziarli; ma quando si accorse che di giorno in giorno quella fresca gioventù s’intristiva, disse:

– Domani andrete via!

E partirono, con le braccia aperte, con le gambe riunite e tese; sembravano uno sciame che volasse.

La vecchia era seduta su la porta e pensava appunto al figliuoli partiti per la guerra. Sentì un confuso rumore lontano, alzò la testa, tese l’orecchio. Si capiva, sì e no, il ritornello che ella soleva cantare:

Tri, tri, tri!

Il mio grillo fa così!

Lo sciame annunziava a quel modo il suo arrivo:

– Mammina! Mammina!

Arrivava però in mal punto. In casa non c’era niente da poterli sfamare; e lei, mortificata, irritata, li accoglieva malamente:

– Giusto oggi! Giusto oggi!

– Mammina, mammina, non vi angustiate. Vi daremo incomodo per poco.

La vecchia fu scossa da questa risposta:

– Perché dite così?

– Il perché lo saprete domani…

La vecchia rimase!

Intanto quei giovani si toglievano dalle spalle un sacco che portavano appeso a tracolla, ne cavavano fuori grosse pagnotte, fette di formaggio, frutta e ne offrivano alla vecchia prima di mettersi a mangiare. Essi mangiavano allegramente, e ogni tanto s’interrompevano per cantare:

– Tri! Tri! Tri!

Il mio grillo fa così…

Come se tutto questo fosse stato un’offesa per la vecchia! Cominciò, al suo solito, a sbraitare:

– Che possiate avere gli stranguglioni! State zitti! State zitti! Neppure in quei momenti riusciva a frenarsi!

E quando quelli replicarono:

– Mammina, mammina, non vi angustiate! Vi daremo incomodo per poco! – la vecchia tornò a domandare:

– Perché dite così?

– Il perché lo saprete domani!

Né sospettò di niente vedendo che alcuni giovani cominciarono a strappare le erbacce cresciute nel posto dov’era stata «La Fiorita», altri a rimuovere con le mani la terra e le ragazze, con piccole anfore, ad annaffiare soltanto quello spazio, quasi lo preparassero per seminarvi qualcosa.

Durante la nottata, la vecchia non chiuse occhi pensando a quel «perché» che avrebbe appreso domani. Voleva sapere dal marito:

– Che cosa sarà?

– Qualche malanno procuratoci dalla tua cattiva maniera.

– E l’asino che ti è morto l’ho ammazzato io?

– Chi sa che non sia morto di stenti per insufficienza di biada! Hai voluto governarlo sempre tu!

– Me la son mangiata io, dunque, la biada?

– L’asino no, certamente!…

Dopo breve pausa, lei ripigliava:

– Che cosa sarà? Che cosa sarà?

Il marito e i giovani erano andati a fare un po’ di legna nel bosco vicino. La vecchia, brontolando per abitudine, si era seduta su lo scalino della porta con i gomiti appoggiati su le ginocchia e la faccia sorretta dalle mani.

Ed ecco, in fondo alla viottola, spuntare qualcosa che straluccicava e non si distingueva se fosse animale o cristiano. Se la vide arrivare davanti, quasi spinta da un soffio di vento. Stava per esclamare:

  – Ben venuta, Fata bella!…

Ma si arrestò accorgendosi che la Fata aveva il viso deturpato da larghe macchie nella pelle.

– Che vi è accaduto, Fata…

E non osò di dir bella, vedendola ridotta a quel modo.

– Questo – soggiunse la Fata – è il nostro castigo quando facciamo, sbadatamente, del bene alle persone che non se lo meritano. E voi siete diventata più scontrosa di prima!

– Tutti l’avete con me! E voi con tutti!

La vecchia, dimenticando in quel momento che parlava con una Fata, le voltò le spalle, e rientrò in casa, sbatacchiandole l’uscio in faccia.

La Fata si mise a ridere, e cominciò a chiamare forte: – Rose, garofani, gigli! Gigli, garofani, rose!

Si udì come un gran fruscio di ali e il grido confuso:

– Tri! Tri! Tri!

Il mio grillo fa così!…

E, in un batter di occhio, arrivava lo sciame dei giovani della «Fiorita» e si schierava rispettosamente davanti alla Fata. Ora ripeteva per lei l’affettuoso nome:

– Mammina! Mammina!

La vecchia, spinta dalla curiosità, si era affacciata alla finestra. E che vide?

Vide che le ragazze spiccavano un salto nell’aiuola e pareva vi affondassero i piedi e i loro corpi si assottigliavano, dividendosi in rami, in foglie, sbocciando in bellissime rose, bianche, gialle, cremisine, tremolanti su gli steli.

E vide i giovani che saltavano, uno dietro all’altro, e pareva che affondassero anch’essi i piedi nell’aiuola e che i loro corpi, assottigliandosi, si rizzassero in alti steli, sbocciando in garofani di tutte le tinte, in candidi gigli, finché nell’aiuola quadrata non si formò di nuovo «La Fiorita»…

La vecchia aveva guardato con terrore quella distruzione di vite, e quando l’ultimo giovane stava per spiccare il salto, ella esclamò:

– No! No! Almeno uno! Almeno uno! No! No!

Ma non aveva finito di gridare, che quegli era già diventato un magnifico garofano bianco.

La vecchia scese giù, per buttarsi ai piedi della Fata, e invocava:

– Almeno uno, Fata bella! Almeno uno!

La Fata aveva ripreso la straordinaria bellezza del viso, ma restava là, immobile, impassibile, mentre la vecchia, in ginocchio, la supplicava tentando di brancicarle disperatamente la veste. Questa però le sfuggiva tra le dita come fatta di nebbia azzurrognola, le spariva davanti agli occhi, quasi assorbita dall’aria.

– Ah, Fata bella!…

Ma essa si era già dileguata senza lasciar traccia.

Per un momento, la vecchia si lusingò che, accarezzando i fiori, si sarebbe sentita, come la prima volta, palpare le mani da tante delicate manine, e che, se non tutti, parecchi, o almeno uno avrebbe ripreso la forma umana, maschio o femmina non le importava.

Ma quando vide che i fiori rimanevano… fiori, fu presa da grande rabbia e si precipitò su di essi per strapparli e sterminarli senza pietà.

Al tocco delle sue mani, però, i fiori, subitamente intristiti, piegavano il capo, raggrinzivano le foglie, i petali e, quasi arsi da interna fiamma, cascavano su le zolle, ridotti in bianca cenere… E fu l’unico segno che restasse della maravigliosa «Fiorita»!

La vecchia si mise a piangere – non aveva mai pianto in vita sua. – Oh! Si era pentita troppo tardi!

Accade sempre così alla gente cattiva…

Seduta su la soglia della porta, invocava da mattina a sera, inutilmente:

– Fata bella! Fata bella!

E piangeva a dirotto.

Ora le era tornata alla memoria la promessa della Fata nel primo giorno del portento della «Fiorita», promessa dalla vecchia allora non ben compresa e subito dimenticata:

– Da questa giovinezza verrà fuori una nuova razza saggia e forte che non muoverà mai guerra ad altre razze, e si chiamerà appunto «La Fiorita».

– E ora… e ora… – rimpiangeva – per colpa mia! Ah, Fata bella!… Ah, Fata bella!…

Pare che la Fata sia andata a spargere altrove la sua miracolosa semente. E dev’essere vero perché le Fate possono fare questi ed altri prodigi…

Dalla vecchia non si fece più vedere, mai più; e costei da lì a poco morì di crepacuore, gorgogliando:

– Tri! Tri! Tri!

Il mio grillo fa così!

E le vicine e il marito della vecchia si domandavano:

-Chi sa che cosa intendeva dire con quel suo bizzarro ritornello?

Esse non l’hanno saputo mai. Ma il gran «mago Ciancanella», che lo sa, è venuto a dirmi il significato del bizzarro ritornello, ed io ve lo farò sapere un’altra volta…

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