Una fiaba dei fratelli Grimm
Una volta avvenne che ad un uomo morisse la moglie e ad una donna il marito. Entrambi avevano una figlia. Le due fanciulle erano in relazione, andavano a spasso assieme e talvolta la figliuola del vedovo faceva visita alla madre dell’amica. Un giorno questa disse alla ragazza:
— Se tuo padre mi volesse sposare, tu saresti più fortunata poichè a te darei ogni mattina latte per lavarti e vino da bere, mentre la figliuola mia non dovrebbe aver che acqua per lavarsi e per bere.
La fanciulla riferì al babbo il discorso della donna, ed egli perplesso la interrogò.
—Il matrimonio per taluni è un piacere, ma per molti un tormento! – diceva e non sapeva cosa che risolvere. Finalmente si sfilò uno stivale e porgendolo alla ragazza, soggiunse: – Prendilo! Vedi, nella suola c’è un buchino, lo devi portare in soffitta e attaccarlo a quel grosso arpione che è conficcato nel muro, poi empirlo d’acqua. Se lo stivale la regge, riprenderò moglie: se versa, rimango come sono e vorrà dire che è destino così.
La ragazza fece quanto il padre le aveva detto, e siccome l’acqua fece restringere il buchino nel cuoio, lo stivale s’empì fino all’orlo. Essa ridiscese e disse al padre l’esito del tentativo. Egli volle salire in soffitta ad accertarsi da sè del fatto; poi visto che non v’era scampo, si recò dalla vedova, la chiese in isposa e furono celebrate le nozze.
L’indomani, quando le ragazze si alzarono, la figlia del marito trovò pronto il latte per lavarsi e il vino per bere, mentre quella della moglie non trovò che acqua. L’altra mattina davanti alla porta di ognuna stavano recipienti d’acqua per lavarsi e per bere. La mattina dipoi, all’uscio della figliuola del vedovo stava acqua per bere ed acqua per lavarsi, alla porta dell’altra ragazza, latte per lavarsi, vino per bere: e così fu anche per il seguito. Poi venne l’odio della matrigna verso la figliastra; poi l’accordo tra madre e figlia contro di essa e le gelosie poichè questa era brutta e sgarbata: l’altra bella e gentile.
La vita divenne per lei ogni giorno più dura, e le due non le risparmiavano asprezze, dispetti e tormenti.
Una volta – era d’inverno: il suolo per il gelo si era indurito come la pietra: monti e valli erano ricoperti di neve – la donna fece un vestito di carta, chiamò la figliastra e le disse così:
— Su, presto, infilati questo vestito e va’ nel bosco a cogliermi tante fravole fin che non me n’hai ripieno un cestino. Ne ho tanta voglia!
— Ma… – rispose esitando la ragazza – come posso fare?… le fravole non ci sono d’inverno, e la neve ha coperto ogni cosa! E poi… Dio mio, con un vestito di carta… i pruni me lo strapperebbero… il vento ghiaccio ci soffia attraverso ed oggi fa un freddo che mozza il fiato!
— Sentite questa pettegola quante osservazioni ha da farmi! – disse tutta stizzosa la matrigna e soggiunse: – Esci subito di qui e non ardire di ricomparirmi davanti senza il canestrino delle fravole! Tieni: questo te lo puoi prendere con te per mangiarlo nella giornata, – e le dètte un seccherello di pane. Intanto fra sè diceva: «Va’, va’, bella mia, va’ là fuori tesoro, chè presto o il freddo o la fame ti sistemeranno ed io non t’avrò più davanti agli occhi!»
La povera fanciulla fu obbediente; indossò il vestito di carta, prese il cestino ed uscì. Fuori, per ogni lato non si vedeva che neve quant’era lunga e quanto era larga la campagna e non faceva capolino neppure un filino di erba. Quando si fu inoltrata nel bosco scorse una piccola casetta e tre omini vi stavano affacciati guardando. Li salutò con bel garbo e timidetta bussò alla loro porta. Essi le dissero graziosamente: «Avanti!» la fecero entrare perchè si ripossase e potesse fare la sua merenda, stando seduta accanto alla stufa. Poi, come essa mangiava, le dissero:
— Ci fai assaggiare la tua colazione? – ed essa:
— Volontieri! – e spezzato il seccherello ne dètte via la metà. Cominciarono, di poi, ad interrogarla perchè non capivano cosa volesse fare d’inverno nel bosco; con quel vestitino di foglio.
— Ah! – rispose ella mettendo un sospirone lungo – devo per forza portare a casa questo canestro pieno di fragole. M’hanno detto che se non ne trovassi, non facessi inutilmente la strada, chè non mi vogliono più rivedere.
Come ebbe finito di rosicare il pezzetto di pan secco, gli ominini le dettero una granata e le dissero:
— Fa’ il piacere di spazzar via la neve davanti la nostra porta!
Ella, senza esitare, si mise tosto a quella faccenda. Gli ominini, intanto, sottovoce tenevano consiglio.
— Cosa regaleremo a questa brava ragazza in ricompensa d’aver spartito il suo seccherello con noi e d’avere obbedito al nostro comando?
— Io – prese a dire il primo – farò che diventi più bella ogni giorno.
Disse il secondo:
— Io farò che ad ogni parola che pronunzia le cada di bocca una moneta d’oro.
Ed il terzo:
— Io farò che venga un re, il quale la sposi e se la meni via.
La ragazza non appena ebbe smosso la neve, vide sotto quel candore occhieggiare tante belle fragole color sanguigno, grosse e mature. Lesta le colse e se ne empì il canestrello e ringraziati i buoni ominini, stese loro la mano e corse a casa a portare alla matrigna i frutti che desiderava.
Arrivata a casa disse: «Buonasera» e subito le cadde di bocca una moneta d’oro. Poi si dètte a raccontare quello che le era accaduto, e giù le monete le piovevano in grembo e sul pavimento. In un momento la stanza ne fu piena.
— Che scialo, che pretesa d’ambiziosa seminare così il denaro per la terra! – disse la sorellastra per l’invidia che la rodeva dentro e pensò: «Anch’io voglio andare nel bosco a cercare le fragole»; e piu tardi confidò il suo pensiero alla mamma.
— No, figliuola mia: – rispose l’altra – col freddo che fa mi moriresti gelata!
Ma quella non le dètte pace fin che non le ebbe cucito una bella pelliccia e non se la fu messa addosso e non si vide sulla via, col canestrino pieno di buona roba per la merenda.
Quando fu davanti alla casina dei nani, dove essi stavano come l’altra volta affacciati alla finestra, essa, da quella sgarbatona che era, senza bussare, senza voltarsi a salutarli, spinse l’uscio ed entrò. Si sedè comoda, comoda, accanto al fuoco col fare di padrona, come avrebbe potuto in casa sua, sciorinò sulla panca il pane imburrato e le paste dolci di cui la mamma l’aveva provvista, e si mise a mangiare.
— Non ci offri nulla? – gridarono tosto gli ominini. – Facci assaggiare almeno qualche bocconcino!
— Sarebbe bella che ne dessi a voi altri quando non basta neppure a me! – rispose la brutta ragazza con una scrollata di spalle.
Tacquero essi e come videro che ella aveva finito di far merenda, le dettero la granata dicendole che facesse il piacere di spazzar via la neve davanti alla porta di casa.
Ma essa con cattiva maniera rispose:
— Se volete veder pulito, spazzate da voi dove vi pare e dove più vi accomoda. Non sono mica la vostra serva, sapete! – e vedendo che i nani non le facevano regali indispettita volse le spalle ed uscì.
Intanto i nani si consigliarono.
— Cosa diamo a questa brutta villana che ha tanto cattivo cuore da portare a tutti invidia e cerca ogni mezzo per far dispetto e dispiacere alla gente?
Disse il primo:
— Io farò che ogni giorno diventi più brutta che mai.
Il secondo soggiunse:
— Io farò che ad ogni parola le salti fuori di bocca un rospo:
Concluse il terzo:
— Io voglio che incontri una mala morte.
La ragazza ebbe un bel cercare e farsi gonfiare le mani nella neve! Non trovò neppure una fravola e tornò a casa con la faccia oscura e la rabbia alla gola.
Appena aprì la bocca e cominciò il brutto racconto delle vicende che le erano capitate in quella gita senza fortuna, lesto un rospo le saltò fuori di bocca. Quanto più parlava, più i rospi schizzavano via e si mettevano a ballare per la stanza, facendo a tutti ribrezzo.
La madre giurò in cuor suo di vendicarsi sulla figliastra, di cui tutt’i giorni la bellezza aumentava.
Pensa, pensa, le parve di aver trovato un buon espediente per levarla di mezzo. Mise al fuoco un gran paiuolo e vi scottò una quantità di filato; poi, così bollente, lo cacciò sulle spalle alla figliastra, quindi le dètte una mazza e ordinò che andasse fino al fiume che era tutta una lastra di ghiaccio, con l’arnese vi facesse un’apertura e giù, sbattesse ben bene il filato nell’acqua.
Essa, come di solito, obbedì. Mentre se ne stava coi piedi sul ghiaccio a fare la rude faccenda, passò lungo il fiume un equipaggio magnifico nel quale sedeva un re. Questi, ordinato di fermare i cavalli, domandò alla bellissima figliuola chi essa si fosse e perchè si affaticasse a quel modo.
— Sono una ragazza povera e infelice! M’hanno comandato di sciacquare questo filato.
Il re ne sentì compassione e vedendola così bella le disse:
— Verresti con me?
— Magari!
Andar via col re per lei significava fuggire dalla matrigna e dalla sorellastra: voleva dire vivere ed aver pace. Salì, dunque, nel cocchio rilucente e si sedè al fianco del re. Appena essi giunsero al castello, furono celebrate le nozze senza por tempo in mezzo, chè le cose buone è bene farle subito o niente.
Al volgere di un anno, alla regina nacque un bambino e la felicità era al colmo. Ma la matrigna a cui, col tempo, tutte queste novelle erano arrivate all’orecchio, pensò di andare dalla regina colla figliuola. Vi andarono infatti facendo le viste di recarvisi in visita e tornar via. Invece, appena il re fu uscito dalla camera da letto dove la giovane sposa giaceva col reuccio e le tre donne rimasero sole, le due perfide afferrarono insieme per la testa e pei piedi la giacente e la gettarono fuor dalla finestra, nel fiume che sotto scorreva. Fatto ciò, la brutta ragazza entrò nel letto della regina e la vecchia le tirò su le lenzuola fin sopra la testa.
Come il re tornò al castello e venne subito a salutar la moglie, la suocera col dito sulla bocca gli fe’ cenno di star zitto, dicendo che la regina era in gran sudore e che non bisognava eccitarla col farla parlare, ma lasciarla quieta.
Egli non ebbe sospetti e tornò via. L’indomani s’avvicinò e le parlò e provò una strana meraviglia nel vedere come le saltassero fuori dalla bocca tanti rospi mentre prima ne uscivano monete d’oro. Volto alla vecchia le manifestò il suo stupore e quella rispose che era effetto della malattia ma che presto, cessato il sudore, questo sintomo sarebbe scomparso.
Però, alla sera, lo sguattero in cucina vide un’anatrina venir nuotando giù per il canaletto dell’acquaio.
Dissi l’anatra:
«Dolce mio re, dove sei?
Dormi oppur vegli con lei?»
e come il giovanotto non rispondeva, essa tornò a domandare:
«Gli ospiti cosa fanno?»
ed egli:
«Tranquilli dormiranno»
e la bestiola ancora:
«Che fa il mio bel bambino?»
ed egli:
«Dorme nel suo lettino».
Detto ciò, l’anatra, riassumendo le forme della bella regina che le malvage donne avevano fatto annegare, salì su, si accostò al reuccio, gli dètte il latte, sprimacciò i guanciali della culla, rincalzò le copertine e ripresa la forma di anatra, tornò via, nuotando nell’acqua corrente che passava per l’acquaio della cucina.
Così fece per due sere. Alla terza disse allo sguattero:
— Va’ a dir subito al re che prenda la sua spada e la passi tre volte sopra di me, mentre sono qui nell’acqua.
Lo sguattero corse a riferire al padrone quanto l’anatra gli aveva ordinato, ed egli venne senza indugio a fare sul fantasma lo scongiuro. Mentre librava per la terza volta la spada sulla bestia, riapparve fresca e florida la vera sposa.
Il re provò una gran gioia; ma tenne la regina nascosta nella propria camera fino alla domenica nella quale si doveva battezzare il principino. Come il principino fu battezzato, il re disse:
— Che castigo merita colui che toglie una creatura umana dal letto e la getta nel fiume?
La vecchia di cui era finito il potere e non poteva intendere che si trattasse di lei e della figliuola, non esitò a rispondere
— Merita d’esser chiuso in una botte nella quale all’interno sieno stati conficcati tanti chiodi acuminati e taglienti e d’esser rotolato giù dal monte nell’acqua.
— Va bene: – rispose il re – tu hai pronunziato la tua condanna. La botte fu tosto preparata: le due malvagie femmine vi furono messe dentro: e quando il coperchio vi fu ben solidamente inchiodato, la botte rotolò giù dal poggio e fece un tonfo sonoro, scomparendo nel fondo del fiume