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Il barbiere

Fiaba di Luigi Capuana

C’era una volta un barbiere che faceva la barba alla povera gente. Scorticava le facce con un vecchio rasoio e vi trinciava braciole di quando in quando. E se gli avventori si lamentavano, egli, che era di umore allegro, rispondeva:

– Per un soldino, vi faccio la barba e una braciola; e brontolate? Una braciola costa di più.

Gli avventori ridevano e andavano via contenti, col viso impiastricciato di ragnateli, per stagnare il sangue.

Quando non aveva da fare, prendeva la chitarra e sedeva davanti la bottega, strimpellando e cantando:

– Chi la vuol cruda, chi la vuol cotta

E c’è chi vuole la Reginotta.

Chi la vuol cotta, chi la vuol cruda;

Ma io vorrei…

E si fermava. Gli domandavano:

– Che vorresti?

– Niente, niente, lo so io!

Un giorno, mentr’egli cantava, passò il Re.

– Chi la vuol cotta, chi la vuol cruda;

Ma io vorrei…

– Ebbene? Che vorresti? – domandò il Re.

– Maestà, è inutile ve lo dica; non me la potreste dare neppur voi.

– Voglio saperlo.

– Se ve lo dico, Maestà, vi verrà la voglia come a me.

– Dimmelo.

Chi la vuol cotta, chi la vuol cruda;

Ma io vorrei… tanto di coda!…

Tanto di coda! tanto di coda!

Il Re si mise a ridere.

– Cantala un’altra volta.

Il barbiere cominciò daccapo:

Chi la vuol cruda, chi la vuol cotta,

E c’è chi vuole la Reginotta.

– E tu non vorresti la Reginotta? Preferisci la coda? Sarai servito. Arrestatelo, e conducetelo a palazzo.

Le guardie lo afferrarono, lo legarono ben bene e lo condussero a palazzo.

Il Re ordinò che tagliassero una coda a un cavallo e preparassero un paiolo da struggervi la pece.

– La vuoi? Eccola qui.

E con le proprie mani intinse la base della coda nella pece bollente e l’appiccicò al barbiere nel posto dove stanno le code.

Il barbiere non disse né ahi né bahi, quasi la pece bollente non lo avesse scottato. Anzi, prima di nasconder la coda nei calzoni, si voltò verso il Re, la inarcò e l’agitò, come soglion fare i cavalli quando sono allegri, e si curvò fino a terra:

– Grazie, Maestà!

– No, non devi nasconderla – disse il Re.

Gli fecero un buco nei calzoni, ne cavarono fuori la coda e lo lasciarono andare.

La gente correva dietro al barbiere, ridendo, fischiando, urlando:

– Oh, la coda! Oh, la coda!

Il barbiere se n’andò difilato in bottega, senza neppure voltarsi, scodinzolando.

Quando aveva finito di far la barba agli avventori, prendeva, al solito, la chitarra e si sedeva davanti la bottega, a strimpellare e a cantare:

– Chi la vuol cotta, chi la vuol cruda;

Non tutti gli uomini hanno la coda!

Chi la vuol cruda, chi la vuol cotta,

E ora aspetto…

E si fermava. Gli domandavano:

– Che aspetti?

– Niente, niente; lo so io.

Un giorno, mentre cantava, tornò a passare il Re, giusto appunto quando, egli diceva: E ora aspetto…

– Ebbene? Che aspetti? – domandò il Re.

Il barbiere continuò a strimpellare: trin, trin, trin, trin!

– Che aspetti? Voglio saperlo.

– Aspetto quel che verrà. Trin, trin! Trin, trin!

– Impertinente! Dategli cento nerbate sotto la coda.

Le guardie fecero per afferrare il barbiere; ma questi sparava calci di qua e di là, proprio come un cavallo. Le povere guardie ruzzolavano per terra, urlando:

– Ahi! Ahi!

E un bel calcio lo prese il Re, in una gamba:

– Ahi! Ahi!

Il Re, scornato, dovette tornarsene, zoppicando, a palazzo; e le guardie lo seguirono, zoppicando peggio di lui.

– Maestà, che avete mai fatto? – gli disse un Ministro: – Ora che il barbiere ha la coda, nessuno ce la può con lui.

Il Re pensò:

– Se me n’appiccicassi due io? Diventerei più forte, e lo concerei per il dì delle feste.

Fece tagliare due code ai migliori cavalli della sua scuderia, e da sé, perché la cosa non si risapesse, strusse la pece nel paiolo, ve le intinse alla base e cercò di appiccicarsele nel posto dove stanno le code. La pece bollente scottava. Sua Maestà cominciò a strillare e saltare per la stanza, mandando accidenti al barbiere. Le code non gli si erano appiccicate, e aveva due piaghe nella schiena!

Quel giorno il barbiere si mise a cantare un’altra canzonetta:

– E una, e due, e tre,

Vuol la coda come me!

Con le code ci vuol fortuna,

Ne vuol due e non n’ha una.

La gente si domandava:

– Chi ne vuol due e non ne ha una?

– E una, e due, e tre,

Lo so io e lo sa il Re.

La gente scrollava il capo:

– Il barbiere è ammattito.

Il Re intanto schizzava foco e fiamme contro di lui; ma doveva frenarsi. Chi ce la poteva con quel demonio da che aveva la coda? E cercava un’occasione, per fargliele pagare tutte a una volta.

Uno dei Ministri gli suggerì:

– Maestà, costui non è del paese; è piovuto non si sa di dove; cacciatelo via.

– Come si fa a cacciarlo?

– Nessuno gli dia pane, acqua e foco, pena la vita: dovrà andarsene coi suoi piedi, se non vuol morire di fame, di sete e di freddo.

– Ben pensata!

E il Re fece il decreto:

– Pena la vita, nessuno dia pane, acqua e foco al barbiere.

Il barbiere chiuse la bottega, e con la chitarra a tracolla, andò a presentarsi al Re:.

– Me ne vado fuori del regno, giacché Vostra Maestà vuole così. Solamente, chiedo una grazia.

– Che grazia?

– Per l’ultima volta, vorrei cantare una canzonetta al cospetto di Vostra Maestà e di tutta la corte..

– Ti sia concesso.

Il barbiere accordò la chitarra e si mise a cantare:

– Chi la vuol cotta, chi la vuol cruda;

Non tutti gli uomini hanno la coda!

Chi la vuol cruda, chi la vuol cotta,

E ora aspetto… la Reginotta!

La Reginotta! La Reginotta!

– Levati di torno, mascalzone!

Il barbiere voltò le spalle a Sua Maestà, inarcò; agitò la coda, come fanno i cavalli quando sono allegri, si curvò fino a terra, e andò via.

– Pioggia davanti, e vento di dietro!

Il Re trasse un sospirone quando lo vide partito. E, per un pezzo, del barbiere non si seppe nuova né buona né cattiva. Il Re aveva una figliuola e voleva maritarla.

– Chi vuoi sposare, figliuola mia? Il Reuccio di Francia? Il Reuccio di Spagna? Il Reuccio di Portogallo? Ti hanno chiesto tutti e tre, e attendono la tua risposta.

– Chi debbo sposar io, deve dirlo radichetta.

– E chi mai è cotesta radichetta?

– Eccola qui.

La Reginotta cavò di tasca una radichetta scura, bitorzoluta.

– Quando avrò vicino chi dovrà essere il mio sposo, la radichetta germoglierà. Me l’ha data una Fata. Dice: Se sposi un altro, guai a te!

– Regalo d’una Fata, non può essere cosa cattiva – pensò il Re.

E invitò i tre Reucci per vedere chi di loro avrebbe,avuto la virtù di far germogliare la radichetta.

Arrivò primo il Reuccio di Francia. Presuntuoso, superbo, disse:

– Vedrete, Reginotta; la faccio fiorire di botto. Cavatela fuori.

La radichetta, scura e bitorzoluta essa era, scura e bitorzoluta rimase.

Egli volle toccarla, strofinarla; gli pareva impossibile che il Reuccio di Francia non l’avesse fatta fiorire alla prima. Ma più la toccava, e più scura e bitorzoluta diventava.

– L’avete fatto a posta, per onta! Maestà, me la pagherete! E andò via, senza salutare nessuno, minaccioso.

Arrivò, secondo, il Reuccio di Spagna, cerimonioso, pieno di gentilezze:

– Vi piacerebbe, Reginotta, se la bella sorte toccasse a me?

– Mi piacerebbe.

E cavò di tasca la radichetta. Scura e bitorzoluta essa era, scura e bitorzoluta rimase.

Il Reuccio la toccava, la strofinava delicatamente, mortificato che un Reuccio di Spagna non fosse riuscito a farla fiorire. Ma più la toccava e strofinava, e più scura e bitorzoluta diventava.

– L’avete fatto a posta, per onta! Maestà, me la pagherete!

E andò via impettito e gonfio, senza salutare nessuno.

Arrivò, ultimo, il Reuccio di Portogallo. Si era ringalluzzito, sentendo che gli altri due avevano fatto fiasco. E si presentò senza dir nulla, con un sorrisetto di soddisfazione sulle labbra, aspettando che la Reginotta cavasse fuori la radichetta. Gli pareva che già dovesse cavarla di tasca bell’e fiorita.

Scura e bitorzoluta essa era, e scura e bitorzoluta rimase.

– L’avete fatto a posta, per onta! Maestà, me la pagherete!

E andò via, anche lui, senza salutare nessuno.

I Re di Francia, di Spagna e di Portogallo fecero lega tra loro e intimarono la guerra al povero Re, che non c’entrava per niente.

Alle prime battaglie, gliele sonarono bene.

Stavano tre contro uno, che non era neppure molto forte. Il Re dovette scappare a cavallo per salvare la vita.

– Ah, se fosse qui il barbiere! – esclamò.

– Maestà, era al portone di palazzo; veniva per farsi soldato. Le guardie gli hanno impedito di entrare; è andato via.

– Che disgrazia! E tutto questo per una radica maledetta! Dammela qua; voglio buttarla via.

La Reginotta la cavò di tasca e gliela porse piangendo:

– Maestà, voi buttate via la mia fortuna.

– Butterei via anche te, in questo momento!

Il Re era su tutte le furie. Aperse la finestra e scagliò fuori la radichetta con la maggior forza che poté.

– Ora, di nuovo alla guerra! Fate marciare l’esercito. Sellate il mio cavallo subito subito. Questa volta vinceremo.

Gli pareva che, buttando via la radichetta, si fosse già levato il malaugurio di dosso.

Entrò tutt’a un tratto il Ministro:

– Maestà! Maestà! La radichetta è fiorita! È cascata in testa a uno che passava per caso sotto la finestra. Appena la raccolse, gli fiorì in mano. Questo è buon segno.

– Chi sarà? Fatelo venire. Sarà un Re, certamente.

Che Re! Era il barbiere, quello dalla coda, che veniva avanti facendo inchini, con la chitarra a tracolla e la radichetta fiorita in mano.

E prima che il Re, sbalordito, possa dirgli una parola, egli si mette a suonare e a cantare:

– Chi la vuol cotta, chi la vuol cruda;

Non tutti gli uomini hanno la coda!

Chi la vuol cruda, chi la vuol cotta,

Ora mi spetta la Reginotta.

Se non son Reuccio, sono Principe, e posso imparentarmi col Re. E vi farò vedere che prodezze può far fare la coda.

Al Re non parve vero. Lo mise a capo dell’esercito, e fu un taglia, taglia. Con la coda all’aria, e la chitarra afferrata a due mani pel manico – non volle altr’arma – il barbiere, cioè il Principe, fece prodezze da non dirsi. I tre Re scapparono a precipizio, lasciando mezz’esercito morto sul campo.

E quando l’esercito vittorioso fece ritorno, a capo d’esso c’era il barbiere, cioè il Principe, con la coda all’aria e la chitarra al fianco, che andava sonando e cantando:

– Chi la vuol cruda, chi la vuol cotta,

Ora mi spetta la Reginotta.

Alla Reginotta però quell’uomo con la coda non andava; le faceva schifo e paura insieme, e non voleva per nulla sposarlo; ma non diceva il perché.

Figuratevi la rabbia di Sua Maestà, che aveva tanto sofferto appunto per lei e per la sua radichetta.

– E perché non vuoi sposarlo? È nobile, è giovane.

– Perché ha la coda.

– Non è nulla – disse il Principe. – Me la faccio tagliare.

Non c’era verso né di tagliarla, né di strapparla; e il palazzo reale pareva un inferno, col Re che urlava contro la Reginotta, col Principe che strepitava e cantava da mattina a sera: – Chi la vuol cruda, chi la vuol cotta; ora mi spetta la Reginotta -; con la Reginotta che piangeva notte e giorno, e intisichiva dal dispiacere di quello sposo con la coda.

Si presentò una vecchina; voleva parlare con la Reginotta.

– Mi riconosci?

– Non vi ho mai vista!

– Mi riconosci?

S’era trasfigurata. Pareva un sole.

– La mia buona Fata! Quella della radichetta!

E le si gettò ai piedi supplicandola:

– Per pietà, buona Fata; salvatemi voi. Il Principe con la coda non lo voglio! Meglio morta.

– Non t’angustiare. Ripareremo.

Le disse quel che doveva fare e sparì.

La Reginotta, tutta contenta, andò di là, dove erano il Re e lo sposo.

– Maestà, prendete in mano la radichetta germogliata. Voi appiccicaste la coda e voi dovete farla sparire.

Infatti di mano in mano che il Re strappava le foglie della radichetta, la coda del principe si accorciava, si accorciava. Strappata l’ultima fogliolina, la coda sparì interamente; non se ne vedeva neppure il segno.

La Reginotta e il Principe si sposarono, e vissero fino alla vecchiezza, con gran numero di figli attorno.

Stretta la foglia sia, larga la via,

Dite la vostra, ché ho detto la mia.

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