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Fiabe di Luigi Capuana Fiabe per bambini

La coda fatata

Fiaba di Luigi Capuana

C’era una volta un contadino che aveva cinque figli.

Quando gli nacque il primo, egli disse allegramente: – Per buon augurio, chiamiamolo: Pane!

Venuto il secondo, il contadino stiè a riflettere un momento; poi disse rassegnato:

– Per buon augurio chiamiamolo: Vino!

Un anno dopo, arrivò il terzo. Il contadino stiè a guardarlo un po’; e siccome il bambino era biondo di capelli, disse:

– Si vede che porta il nome con sé; chiamiamolo: Olio!

Il quarto gli nacque con certi capelli così rossi, che il babbo, senza pensarci su, disse:

– Anche questi porta il nome con sé; chiamiamolo: Aceto.

Il giorno che gli nacque il quinto figliuolo, il contadino, ridendo male, esclamò:

– Mi mancava appunto il Companatico!

E il bambino ebbe questo nome.

Così, pochi anni dopo, quando gli morì la moglie, nello strazio del dolore, il povero vedovo non si accorgeva di far ridere la gente, lamentandosi:

– E ora, come faranno senza la mamma Pane, Vino, Olio, Aceto e Companatico?

Nei primi giorni aveva pensato a tutto, ripulendo la casetta, vestendo, lavando, pettinando i bambini, il maggiore dei quali aveva appena dodici anni, preparando il desinare, adoprando per le spese i risparmi messi da parte dalla moglie. Ma ora che questi erano esauriti? Ora che lui non poteva lasciar soli i bambini per andarsene a lavorare?

Arrivò un giorno ch’egli non seppe come sfamare le sue creature. E una mattina, presi per mano i due piccini, cacciandosi avanti gli altri tre, si avviò verso la montagna e li condusse in cima di essa.

I bambini cominciarono a piagnucolare:

Babbo, ho fame!… Babbo, ho fame!…

Dalla disperazione, senza sapere quel che faceva, raccattò cinque sassi neri, quasi rotondi, che erano là, a portata di mano, e li distribuì ai figliuoli:

– Tieni, Pane! Tieni, Vino! Tieni, Olio! Tieni, Aceto! Tieni, Companatico!

E, con grande maraviglia, vide che i bambini li addentavano, li masticavano e li inghiottivano con gusto.

Allora si chinò, prese un sasso anche per sé e l’addentò. Il pezzettino che gli si era sgretolato nella bocca aveva un sapore strano, tra dolciastro ed asprigno. Lo divorò fino all’ultima briciola.

I bambini, stanchi dal viaggio e sazi di quel che avevano mangiato, si erano già sdraiati per terra, facendosi capezzale di un braccio, e avevano preso subito sonno.

Egli si rammentò di averli condotti là col tristo proposito di abbandonarveli e lasciarli morir di fame, poiché non aveva nessun mezzo per sostenerli. Ora, invece, pensava di farsi una provvista di quei sassi miracolosi, portarsela a casa, e venire, di tratto in tratto, a rifornirsi.

Non avendo un sacco, si cavò la camicia, la legò, con un po’ di spago, dalla parte del collo e delle maniche, e cominciò a riempirla, scegliendo i sassi che gli sembravano migliori.

Quando stava per chiuderla e legarla quasi fosse stato un grosso sacco, ecco apparire improvvisamente un vecchio con barba bianca, lunga fino ai ginocchi, che gli si pianta davanti minaccioso:

– Chi ti ha permesso?… Qui il padrone sono io! Vuota quel saccaccio e rimettiti la camicia!

-Abbiate pietà di queste creature!

-Che pietà? Sono morte, pietrificate! Non te ne sei ancora accorto?

Il disgraziato si strappava i capelli, piangeva, inginocchiato davanti ai bambini, tentava di svegliarli, sperando che il vecchio avesse voluto spaventarlo, dicendogli che essi erano diventati di sasso. E li chiamava, dolorosamente, per nome:

– Ah, Pane mio! Ah, Vino mio! Ah, Olio mio! Ah, Aceto mio! Ah, Companatico mio!

Il vecchio scoppiò a ridere! Prese il contadino per le mani, gliele strinse forte ripetendo:

– Grazie! Grazie! Erano cinquanta anni che non potevo più ridere e soffrivo immensamente. Grazie! Grazie!

E rideva, rideva tenendosi i fianchi, con tale gioia negli occhi, che quasi più non pareva il vecchio di prima.

Il contadino, dopo un po’ di sbalordimento, tornava a ripetere:

– Ah, Pane mio! Ah, Vino mio!

 E come pronunziava un nome, il chiamato rizzava la testa, rispondendo:

– Eccomi qua!

Il vecchio, non ancora stanco di ridere, gli disse:

– Grazie di nuovo! Ecco, te li risuscito tutti!

Ma il contadino, anche in mezzo alla grande gioia di vedersi attorno, vivi e allegri, i suoi figli, ebbe una forte stretta al cuore:

– E come farò a sfamarli?

– A questo penserò io – rispose il vecchio. – Tu non puoi immaginare quanto sia grande la mia gratitudine… Figurati! Cinquant’anni senza poter ridere neppure un istante! Per vendetta di un Mago nemico mio! Lasciami ridere, lasciami ridere ancora!

Cominciò a ridere Vino, poi Pane, poi gli altri, senza sapere perché; cominciò a ridere anche il contadino, senza sapere perché neppur lui. E tutti saltavano come il vecchio, pestando i piedi: sembrava che non dovessero finir di ridere mai più! Il vecchio disse:

– Aspettami qui; torno subito.

E sparì.

Padre e figli si erano guardati in viso, stupiti. Più di tutti era stupito il contadino che ormai capiva con chi aveva da fare.

Lo videro ricomparire quasi immediatamente. Aveva in mano una bella coda di cavallo morello, che si muoveva come cosa viva. Si arcuava, sbatteva di qua e di là quasi per scacciare le mosche noiose, si lasciava pendere in giù, dondolandosi lentamente, e non era la mano del vecchio che produceva quei movimenti.

– Ecco il mio regalo. Avrai bisogno di pane? Non dovrai far altro che applicarla dietro la schiena di tuo figlio Pane. Egli si presenterà ai panettieri e dirà: «La “gran Barba bianca” vuole dieci, venti, trenta panini!». Glieli consegneranno senza fiatare… Avrai bisogno di vino? Applicherai la coda alla schiena di tuo figlio Vino. Egli si presenterà ai vinai: «La “gran Barba bianca” vuole due, tre, quattro barili di vino!». Glieli consegneranno senza fiatare… E così di seguito.

– E per i quattrini?

– Questi dovrai guadagnarteli col tuo lavoro. Per vivere, tu e i tuoi figli avrete tutto: pane, vino, olio, aceto, companatico. Per il resto, tu tornerai a zappare, seminare, sarchiare, mietere; ma anche i tuoi figli dovranno apprendere un mestiere. Quando la coda non si applicherà più sul dorso di nessuno, vorrà dire che avrà perduto la sua virtù, e sarà, se mai, per colpa vostra: tienlo a mente. Ah! Ah! Ah!… Pane e Vino!…

Il vecchio ricominciò a ridere, a ridere, ripetendo i nomi dei figli del contadino. E lui e i bambini passandosi da una mano all’altra la bella coda che si divincolava come cosa viva, si diedero a ridere anch’essi, a saltare, a pestare i piedi.

Il corpo del vecchio, intanto, perdeva consistenza, si attenuava, diventava un po’ di nebbia biancastra e spariva nell’aria.

Il contadino, ripresi per mano i due piccini, si cacciò davanti gli altri tre. Pane apriva la marcia reggendo, come una bandiera, la coda di cavallo che si arcuava, sbatteva ai lati, si dondolava pendula, tornava ad arcuarsi; e i quattro fratelli suonavano la marcia e picchiavano in cadenza le mani.

Il contadino volle provar subito la virtù della coda: temeva che il Mago si fosse fatto beffa di lui. Chiamò:

– Pane! Vien qua… voltati.

E gli applicò la coda alla schiena.

La coda cominciò ad agitarsi quasi facesse proprio parte del corpo del ragazzo.

– Va’ dal fornaio qui vicino… Dirai… così e così… Venti panini sfornati di fresco.

Pane uscì di casa pavoneggiandosi dello strano ornamento. La gente – ragazzi, uomini, donne – gli andavano dietro maravigliati, in allegria.

– Pane! Pane!… O che sei diventato un cavallino?

Uno gli si avventò, afferrò con le due mani la coda e tirò forte credendo di poter strappargliela; invece ne ricevette una spinta che lo fece ruzzolare per terra quanto era lungo.

Pane entrò dal fornaio e disse:

– La «gran Barba bianca» vuole venti panini sfornati di fresco.

Il fornaio, quasi preso di paura, si affrettò a consegnare i venti panini richiesti. Pane tornò a casa, seguito da una folla di gente che gli diceva:

– Pane! Pane! O che sei diventato un cavallino?

Pane si affacciò su l’uscio e mostrò beffardamente la schiena. La coda era sparita!

E fu la volta del secondo fratello.

– Vino! Vien qua!… Voltati!

E il padre applicò la coda alla schiena, che cominciò ad agitarsi quasi facesse proprio parte del corpo del ragazzo.

– Va’ dal vinaio qui vicino. Dirai… così e così. Un barile del migliore che avete.

Vino uscì di casa, pavoneggiandosi anche lui dello strano ornamento. La gente – ragazzi, uomini, donne – gli andavano dietro maravigliati, in allegria:

– Vino! Vino!… O che sei diventato un cavallino? – Ma nessuno osò di afferrar la coda e tentar di strappargliela.Il ragazzo entrò dal vinaio:

– La «gran Barba bianca» vuole un barile di vino, e del migliore che avete.

Il vinaio, quasi preso di paura, si affrettò a farglielo portare a casa da un garzone.

La gente, in allegria, dietro:

– Vino! Vino! 0 che sei diventato un cavallino?

Vino si affacciò all’uscio e mostrò beffardamente la schiena. La coda era sparita.

Il vero spettacolo fu più tardi, quando la gente vide quel tomboletto di Companatico andare, quasi barcollando, per le vie; pareva che non reggesse il peso della coda. Tutti gli gridavano dietro:

– Bravo, Companatico! O che sei diventato un cavallino anche te?

Il bambino si fermò davanti alla bottega di un salumaio:

– La «glan Babba bianca» vuole: Talame di ogni ppecie, tacio, funghi toRo-aceto… pel dieci persone!

Il salumaio, quasi preso di paura, si affrettava ad affettare salami di ogni specie, a tagliare grossi tòcchi di cacio, a involtare cucchiaiate di funghi, di sotto-aceto, e a consegnarli al bambino.

La gente, in allegria, dietro:

– Bravo, Companatico!… O che sei diventato un cavallino anche te?

Companatico si affacciò all’uscio, e mostrò beffardamente la schiena. La coda era sparita.

I ragazzi crescevano sani e forti, ben nutriti come erano. Pane era già un bel giovanotto, ma pigro, svogliato. Ora gli sapeva fatica fin il dover andare dal fornaio, con la coda appiccicata dietro. La stessa ripugnanza cominciarono a provare Vino e Olio, invanito questi di sentirsi chiamare: il bel biondino!

Il padre, andando a lavorare, non cessava, ogni mattina, di raccomandarsi:

– Ragazzi, pensate ad imparare un mestiere! La cuccagna della coda, un giorno o l’altro, cesserà!

Pane rimaneva impassibile; Vino e Olio alzavano le spalle, ridendo; e stavano a bighellonare da mattina a sera. Per fare le provviste, attendevano il ritorno del padre dalla campagna, perché egli solo aveva la facoltà di appiccicare e spiccicare la coda; e parecchie volte era accaduto ch’essi trovassero già chiuse le botteghe dei gratuiti fornitori.

Solamente Aceto e Companatico si divertivano nell’andare attorno con la bella coda appiccicata alla schiena, e non infastidivano quella gente che li seguiva in allegria, ripetendo ad ognuno di essi:

– Aceto!… Companatico!… O che sei diventato un cavallino anche te? – Erano orgogliosi di trarsi tanta gente dietro, e di mostrare beffardamente la schiena, quando le era stata staccata la coda.

Non passava giorno che il padre non ripetesse specialmente ai tre figli più adulti:

– Ragazzi, pensate a imparare un mestiere! La cuccagna della coda, un giorno o l’altro, cesserà. Ed io sono stanco di lavorare! Sento mancarmi le forze.

Pane rimaneva impassibile. Vino e Olio alzavano le spalle, e continuavano a bighellonare da mattina a sera!

E arrivò il giorno che la coda si appiccicava a stento alle reni di Pane: era cattivo prognostico. Pane ne fu scosso, e disse:

– Babbo, voglio fare il contadino come voi; è il più bel mestiere del mondo. Arare, seminare, zappare, mietere, trebbiare… Il pane per tutti voglio guadagnarlo io, ma non con la coda!

– Sii benedetto, Pane mio!

E venne la volta di Vino: la coda gli si appiccicava a stento alle reni; era cattivo prognostico. Vino ne fu scosso e disse:

– Babbo, voglio fare il mestiere che si addice al mio nome. È un mestiere comodo: con un barile di vino se ne possono fare due e anche due e mezzo!

– Chi inganna si trova ingannato; ricordalo, figlio mio!

Ora, fin Aceto si vergognava di uscir di casa con la coda appiccicata alla schiena per andare a far le provviste.

Companatico, no. Era un giovinetto, e quando si sentiva la coda appiccicata alla schiena, chi sa? forse credeva davvero di essere un cavallino; e mentre ora soltanto i ragazzi gli correvano dietro, egli prendeva la via più lunga per arrivare dai salumaio, e inarcava la coda, se la faceva sbattere sui fianchi, se la lasciava pendere giù, e tornava a rizzarla, proprio come un vispo cavallino! E i monelli allegri, con urla e fischi:

– Eh, Companatico… Sei un asino… o un cavallino? Nitrisci o raglia per prova!

E Companatico agitando la coda, rispondeva:

– Io sono il cavallino e voialtri gli asini: ragliate!

Tornava a casa come in trionfo, carico di tante buone cose; e si affacciava sull’uscio, mostrando beffardamente la schiena; la coda era sparita!

Qualche mese dopo, il padre, invecchiato dall’eccessivo lavoro, radunò attorno a sé i cinque figliuoli, e disse:

– Dobbiamo andar a ringraziare il nostro benefattore e riportargli la coda.

E una mattina fu vista una piccola processione con Pane alla testa che recava, alta come una bandiera, la magnifica coda di cavallo, e il vecchio contadino dietro contento di vedere i suoi figli che già potevano guadagnarsi da vivere ognuno col proprio mestiere. La coda sembrava presa da nuovi impeti di vitalità; non stava ferma un minuto e scoteva fin le braccia di Pane che stentavano a tenerla ferma.

Una gran folla si era radunata, specialmente di ragazzi:

– Dove andate? Possiamo venire anche noi? La portate al cimitero la vostra coda, ora che non vi serve più?

E i più arditi cantavano dietro il corteo:

– Coda bella, coda rara,

Vai sotterra senza bara!

Senza bara vai sotterra,

Coda rara, coda bella!

E fingevano di piangere: – Ahi! Ahi!

In un attimo, la coda sfuggì dalle mani di Pane, e cominciò a dare sferzate sui viso degli impertinenti, sferzate alle reni, sferzate dappertutto, sbaragliando piccoli e grandi. Se non che, all’ultimo, cerca qua, cerca là, la bella coda cavallina era scomparsa; e quando padre e figliuoli vollero rimettersi in istrada per andare a ringraziare il vecchio dalla gran Barba bianca, non ne trovarono più la traccia fra le intricate piante del bosco.

La gente, ora fatta più curiosa, gli domandava spesso:

– Compare, com’è andato l’affare della coda?

E il contadino lo raccontava per filo e per segno, concludendo ogni volta:

– Chi fa bene, anche senza volerlo, n’è sempre compensato!

La gente stava a sentire, ma rimaneva incredula:

– Chi sa com’è andata davvero?

E c’è di quelli che, anche oggi, sentendo raccontare la fiaba della coda, ripetono increduli:

– Chi sa com’è andata davvero?

– C’è chi vede e chi non vede

C’è chi crede e chi non crede;

Fiaba nuova e fiaba vecchia,

Una pulce nell’orecchia!

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