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Fiabe di Luigi Capuana Fiabe per bambini

La padellina

Fiaba di Luigi Capuana

C’era una volta un contadino che aveva una figliuola. Egli andava a giornata; la figliuola filava stoppa o tesseva tela per conto delle vicine: così campavano la vita.

Avvenne una gran siccità: nei campi non nacque un filo di erba; e non ci fu più da lavorare per nessuno dei due. Avevano un gruzzoletto, messo prudentemente da parte nel buon tempo, e per parecchi mesi poterono tirare innanzi, vivendo quasi a pane e acqua. Il padre sospirava pensando all’avvenire; ma la ragazza, gioviale anche nella miseria, canticchiava da mattina a sera, come quand’era al telaio e con la rocca al fianco e lo stomaco pieno. Il padre la rabbrontolava:

– Con che cuore tu canti? Ci rimane da mangiare appena per altri due giorni!

– Quando sarò morta, non canterò più.

Mentre parlavano, comparve su la soglia una donna scarna, allampanata, che pareva il ritratto della fame.

– Fate la carità, buona gente!

– Siamo più miseri di voi – rispose il padre. – Rivolgetevi altrove.

La ragazza invece prese la pagnottella, che doveva essere il suo desinare di quel giorno, e la porse alla vecchia:

– Mangiatela voi per me.

– Grazie, figliuola.

Intascata la pagnottella, la vecchina cavò di sotto lo scialle unto e stracciato una padellina nuova di rame:

– Tieni, figliuola; non ho altro; forse ti servirà.

E andò via.

La ragazza si rimise a canterellare, picchiando con le nocche delle dita su la padellina che dava un bel suono; poi, per chiasso, la posò sul focolare spento e, ridendo, disse al padre:

– Che volete? Una costoletta? Una frittata?

E non aveva ancora finito di parlare, che una fiammata si accese, e la padellina cominciò a friggere, spandendo attorno un odore che avrebbe risuscitato un morto.

– Oh, che miracolo, figliuola mia! Siamo ricchi!

Nella padellina fumavano due costolette da bastare anche per quattro persone; e quando furono cotte, il fuoco si spense da sé. Metà ne mangiarono padre e figlia, metà ne spartirono tra le vicine più povere di loro. L’odore si sentiva per tutta la via.

D’allora in poi, a ogni mezzogiorno, la ragazza metteva la padellina sul focolare spento e domandava al padre:

– Che volete? Una costoletta? Una frittata?

– Una frittata.

E poco dopo la frittata era bell’e cotta da poter bastare fino per otto persone. Parte ne mangiavano padre e figlia, parte ne dividevano tra le vicine più povere di loro. L’odore si sentiva per tutta la via.

La cosa fece senso. Le stesse vicine che ricevevano la carità, cominciarono a ciarlare:

– Come mai padre e figlia, con quella miseria, senza guadagno alcuno, se la scialavano a quel modo?

Le ciarle giunsero fino all’orecchio del Re. Giusto in quei giorni la Regina s’era ammalata con un’inappetenza che non le permetteva di prendere nessun cibo, e i medici non sapevano come rimediarvi. La Regina avrebbe voluto qualcosa da ristorarla col solo odore, e il cuoco si stillava il cervello per contentarla. Ma davanti alle pietanze più squisite, la Regina torceva il capo nauseata:

– Portatele via; mi si rivolta lo stomaco.

Il Re, che aveva sentito parlare del buon odore delle pietanze di quei contadini, disse ai medici:

– Proviamo a far preparare il pranzo della Regina da costoro. Forse, per la stranezza, lo gradirà.

E mandò a chiamare la ragazza.

– Vuoi essere la cuoca della Regina?

– Come piace a Vostra Maestà.

– Vieni ad abitare nel palazzo reale.

– A un patto, Maestà. In cucina, con me, dovrà starci soltanto mio padre.

– Soltanto tuo padre.

Giunta l’ora del desinare, la ragazza si presentò alla Regina:

– Maestà, che volete? Una costoletta? Una frittata?

– Una costoletta.

La ragazza mandò via di cucina tutte le persone ch’erano a servizio del Re, dal cuoco allo sguattero, si chiuse a chiave di dentro insieme col padre, e mise la padellina sul focolare spento:

– Padellina, una costoletta!

La Regina all’odore della costoletta fumante nel piatto, si sentì ristorare:

– Benedette le tue mani, ragazza mia!

Mangiò con grand’appetito, come da più settimane non faceva, e in segno della sua gratitudine regalò alla ragazza una collana di brillanti.

– Maestà, questa è collana da Regina, non da contadina mia pari.

– Sei Regina anche te, Regina di tutte le cuoche.

E gliela mise al collo con le proprie mani.

Ogni giorno, a ogni desinare era un nuovo regalo; ora una spilla con un magnifico smeraldo, ora buccole di perle grosse come ova, ora un braccialetto finamente cesellato e tempestato di rubini.

– Maestà, è ornamento da Regina, non da contadina mia pari.

– Sei Regina anche te, Regina di tutte le cuoche.

In corte non si ragionava che di quei mirabili desinari; e i medici erano stupiti che il grave male della Regina fosse già guarito col semplice rimedio o d’una costoletta o d’una frittata, giacché la padellina non dava altro.

Un giorno il Reuccio entrò in camera della Regina che ella aveva appena terminato di mangiare l’ultimo boccone.

– Che buon odore, Maestà.

– Odor di costoletta, Reuccio.

Un altro giorno:

– Che buon odore, Maestà!

– Odor di frittata, Reuccio.

– Sempre le stesse cose, Maestà?

– Sempre; ma ogni volta hanno un sapore diverso.

– E come fa la vostra cuoca?

– Se lo sa lei.

Il Reuccio entrò in grande curiosità, e volle andare in cucina per vederla lavorare.

– In cucina dobbiamo starci soltanto mio padre e io.

– Io sono il Reuccio!

– Reuccio o non Reuccio, ho la parola di Sua Maestà; in cucina dobbiamo starci soltanto mio padre e io.

Il Reuccio, indispettito, afferrò la padellina ch’era lì tutta affumicata e gliela strofinò nella faccia, annerendogliela come quella d’una mora.

Ma da quel giorno in poi, la padellina non frisse più; e il nero del fumo rimase su la faccia della ragazza, quasi fosse stato il color naturale della pelle; né acqua né sapone riuscirono mai a mandarlo via.

La Regina, non potendo più mangiare la solita costoletta o la solita frittata, tornò a peggiorare e si ridusse in fin di vita. Il Re, che l’amava più dei propri occhi, montò in furore, e per poco non fece tagliar la testa al Reuccio. Alle preghiere della Regina, si contentò di scacciarlo dal regno coi soli vestiti che si trovava indosso.

La ragazza, non avendo più nulla da fare nel palazzo reale, tornò a casa col padre, e tutti e due ripresero la vita consueta: egli andava a giornata, ella filava stoppa o tesseva tela per conto delle vicine; ma non cantava più, né si faceva più vedere su la porta, di casa per via della faccia impiastricciata di nero. Aveva vergogna, temeva d’esser schernita, e spesso esclamava:

– Maledetta la padellina e chi me la diè!

– Non dire così, non dire così! – sentì rispondersi un giorno.

A quella voce fioca, fioca, che veniva dal fondo della stanza, la ragazza si voltò, ma non vide nessuno; e, più arrabbiata, ripeté:

– Maledetta la padellina e chi me la diè!

– Non dire così, non dire così!

– Chi siete che parlate? Mi fate paura.

La voce fioca fioca rispose per l’ultima volta lentissimamente:

– Non dire così!

La sera tornato il padre dal lavoro, ella gli raccontò tutto:

– Ho paura di restar sola; fatemi compagnia.

Per quel giorno il padre non andò a lavorare; e poiché la ragazza, dalla paura di quella voce fioca fioca, non aveva il coraggio di ripetere la sua maledizione, il padre, che voleva accertarsi se mai non fosse stato effetto della fantasia alterata della figliuola, esclamò lui:

– Maledetta la padellina e chi ce la diè!

– Ahi!

In risposta aveva ricevuto uno schiaffo.

Disse il padre:

– Andiamo via di questa casa, anzi di questa città. Chi sa che guai ci accadranno, se restiamo ancora qui!

Fanno per aprire la porta e non possono smuovere il paletto della toppa; fanno per aprire la finestra e chiamare aiuto, e il lucchetto della finestra è più duro del paletto.

– Ah, poverini a noi! Come faremo?

Quel giorno, per caso, avevano da mangiare. Il giorno dopo però cominciarono a provar la fame. Erano come murati in casa e non potevano nemmeno gridare al soccorso!

– Ah, poverini a noi! Morremo di fame.

La padellina stava appesa a un chiodo, pulita e luccicante qual era rimasta dal momento che il Reuccio l’aveva strofinata su la faccia della ragazza. La ragazza la guardava in cagnesco, con gli occhi pieni di lagrime, e si sentiva gorgogliare in gola: Maledetta la padellina e chi me la diè!

La vide smuoversi e la sentì risonare come quando la prima volta ella vi aveva picchiato su con le nocche delle dita. La staccò dal chiodo, la posò sul focolare spento, e disse al padre:

– Che volete? Una costoletta? Una frittata?

Non avea finito di parlare, che una fiammata si accese, e la padellina cominciò a friggere, spandendo attorno un odore che avrebbe risuscitato un morto. Padre e figlia, a una voce, esclamarono:

– Benedetta la padellina e chi ce la diè!

Corsero alla porta, ma il paletto non si poteva smuovere; corsero alla finestra, ma il lucchetto era più duro del paletto. Intanto il buon odore delle pietanze si sentiva dalla via.

Il Re, saputa la cosa, mandò subito per la ragazza.

– Aprite, vi vuole Sua Maestà.

– Non possiamo aprire; aprite voi.

Il Re manda i magnani per forzare la serratura o sfondare la porta; i magnani tentano, ritentano, ma inutilmente. Manda allora i muratori per fare un gran buco nel muro; ma i picconi dei muratori si spuntano, il muro par fatto di bronzo.

La Regina agonizzava. Il Re avrebbe dato la metà del regno pur di vederla risanare con le costolette e le frittate della padellina miracolosa. Che fare con quella serratura, con quella porta e con quel muro che resistevano a tutto?

Un giorno finalmente la Regina chiude gli occhi e rimane immobile: la credono morta, e si leva un gran pianto per tutto il palazzo reale. Il Re, dalla disperazione e dal dolore, si strappava i capelli.

A un tratto la Regina riapre gli occhi e dice:

– Ho fatto un sogno. Mi pareva d’essere stata portata dietro la porta di quella casa, e che il solo odore delle pietanze m’avesse risanata. Maestà, voglio provare se il sogno è veritiero.

I servitori presero il letto come una barella e portarono la Regina dietro la porta che non poteva aprirsi.

– Regina delle cuoche, fammi sentire almeno l’odore delle tue pietanze, Regina!

Non rispose nessuno, e non si sentì odore di sorta.

– Regina delle cuoche, fammi sentire almeno l’odore delle tue pietanze, Regina!

Non rispose nessuno, e non si sentì alcun odore.

Il Re, quasi piangendo, gridò:

– Regina delle cuoche, se fai sentire l’odore delle tue pietanze, sarai Regina per davvero.

– Maestà – disse Un Ministro – che cosa vi è scappato di bocca! Parola di Re non va indietro.

– E non andrà! Partano cento corrieri e vadano in cerca del Reuccio.

– E se il Reuccio non vorrà sposarla?

– L’adotterò per figliuola, e sarà Reginotta.

Si sentì subito un odore delizioso che si sparse per tutta la via. La Regina annusava e rinasceva da morte a vita. Annusavano il Re, i Ministri, il séguito di corte, la folla pigiata nella via attorno al letto della Regina, e tutti si sentivano riempire lo stomaco, quasi avessero desinato lautamente.

Per parecchie settimane, nessuno pensò a fare spesa e ad accendere un fornello. Aspettavano che la Regina fosse portata col letto dietro la porta di quella casa, e appena l’odore delle pietanze cominciava a spandersi, si vedevano mille e mille nasi per aria annusare avidamente, e da lì a poco scoppiavano dei grand’Ah! di soddisfazione, come dopo un desinare copioso.

I corrieri reali eran partiti subito alla ricerca del Reuccio, ma le settimane passavano, nessuno di essi tornava, e l’odore intanto veniva meno di giorno in giorno con gran terrore del Re e della Regina che non era ancora ristabilita in salute. La gente, preso gusto a quel genere di desinare così buono e che non costava niente, malediva quegli stupidi corrieri incapaci di trovare il Reuccio.

Una mattina, inaspettatamente, ecco uno dei corrieri e poi un altro e poi un altro, scalmanati, sfiniti.

– Avete trovato il Reuccio?

– Non l’abbiamo trovato.

Due giorni dopo, ecco l’ultimo più scalmanato e più sfinito degli altri.

– Hai trovato il Reuccio?

– No, ma ho trovato chi sa dov’è. È un pastore che guarda le pecore laggiù laggiù. Disse: Indovinami prima quest’indovinello e poi saprai dov’è il Reuccio. Non l’ho indovinato e non me l’ha detto.

Che indovinello?

– Non ero nato per fare il pastore,

Eppur dovevo smugnere e tosare.

– Bestia! È lui! – gridò il Ministro che di smugnere e di tosare se n’intendeva assai. – Conducimi dov’egli si trova.

E partì insieme col corriere.

Infatti era proprio lui. Ne aveva viste e patite tante, fino a essersi ridotto a fare il guardiano di pecore, che non gli pareva vero tornare Reuccio, anche a patto di sposare la Regina delle cuoche.

Appena arrivato, andò a picchiare alla porta che non si poteva aprire.

– Sono il Reuccio.

Invece della porta si aperse la finestra, e comparve la ragazza con la faccia nera e la padellina in mano; la padellina era affumicata.

– Questa è la mia dote.

Chi mi vuole per mogliera

Dee farsi la faccia nera.

E se nera non se la fa,

D’onde viene se n’andrà.

Il Reuccio esitava; gli sapeva male doversi impiastricciare di fumo al cospetto di tanta gente radunatasi alla notizia dell’arrivo di lui. Poi si strinse nelle spalle, prese la padellina e, chiusi gli occhi, se la strofinò su la faccia, tingendosi peggio di un moro. E mentre la sua anneriva, quella della ragazza ridiventava bianca come la cera.

– Ora potete entrare.

Infatti la porta si spalancò da sé, e il Reuccio trovò su la soglia la ragazza vestita come una Regina, con la collana, lo spillone, gli orecchini e i braccialetti regalatile quando faceva la cuoca; sembrava una Regina nata, tanto era bella e dignitosa.

Il popolo applaudiva:

– Viva la Reginotta! Viva il Reuccio!

E nello stesso tempo rideva, vedendo costui tutto impiastricciato a quel modo; ma rise per poco. La ragazza prese il grembiule, lo passò su la faccia del Reuccio, e in men che non si dice gliela ripulì.

Prima che si sposassero, la Regina era già bell’e guarita. Le feste delle nozze durarono un mese intero.

– E della padellina che ne faremo? – disse il Reuccio.

– Facciasi un bando: Chi ha una padellina, venga a sfregarla con questa; friggerà da sé egualmente.

Figuriamoci che cuccagna! Pareva tutti i giorni un festino.

La gente si dava bel tempo, e all’ora del desinare mettevano le padelline sui fornelli spenti:

– Padellina, una costoletta! Padellina, una frittata!

E tutte le padelline friggevano; la gente mangiava a ufo. Frittate e costolette avevano ogni volta un sapore diverso. Ma, purtroppo, chi non lavora non è mai contento. Cominciarono a brontolare.

– Sempre costolette! Sempre frittate!

La Fata che aveva regalato la padellina portentosa alla ragazza, in premio della carità da lei fatta; si sdegnò di quell’ingratitudine, e un bel giorno, anzi un brutto giorno, prese di nuovo le sembianze di vecchietta e si presentò alla Reginotta.

– Sono quella della padellina. Brontolano: Sempre costolette! Sempre frittate! Ecco qui un’altra padellina, che frigge diversamente. Strofinino le loro con questa e vedranno che miracolo.

Corsero tutti, strofinarono, e si trovarono canzonati.

Le padelline friggevano, sì, ma le pietanze erano più amare del veleno, e non si potevano mangiare. E per colpa di costoro non c’è più al mondo padelline che friggano da sé.

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