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Fiabe dei fratelli Grimm Fiabe per bambini

La villanella accorta

Una fiaba dei fratelli Grimm

C’era una volta un contadino che non aveva podere. Non possedeva che una casuccia dove viveva con l’unica figliuola.

Disse un giorno, la ragazza al padre:

— Babbo, bisognerebbe andare dal re e pregarlo che ci desse un pezzo di terreno, se no saremo sempre nella miseria.

Come il re ebbe udito che erano tanto poveri, regalò loro un bel tratto di prateria. Essi si misero a vangarla per seminarvi il grano e piantarvi alberi fruttiferi. Lo avevano lavorato quasi tutto, quando vi trovarono un mortaio pieno d’oro.

— Dammi retta, figliuola mia, – disse il contadino – il nostro re è stato tanto buono per noi e ci ha regalato tanta terra, che abbiamo il dovere di portargli questo mortaio.

— No, babbo: rispose la villanella – se gli portiamo il mortaio, il re vorrà anche il pestello. E siccome il pestello non c’è e bisognerebbe comprarlo, è meglio star zitti e chiotti, come nulla fosse stato.

Ma il buon contadino non le dette ascolto. Andò dal re e gli fece dono del mortaio.

— Non avete trovato altro? – domandò il re.

— No, maestà.

— Il pestello non c’era?

— No, maestà.

— Portatemelo! Senza pestello, il mortaio non mi serve.

— Ma se non c’è, abbiamo trovato il mortaio soltanto!

Era lo stesso che parlasse al vento. Il villano fu preso e carcerato. I servi ogni giorno gli portavano acqua e pane, e sempre udivano il prigioniero dire piangendo:

— Se avessi dato retta alla mia figliuola! Se avessi dato retta a lei! Me lo aveva detto!…

Riferirono la cosa al re e soggiunsero che il contadino non voleva nè mangiare, nè bere. Il re ordinò ai suoi servi di condurre il prigioniero al suo cospetto e come lo vide lo interrogò.

— Voglio sapere che cosa vi disse la vostra figliuola.

— Mi disse che non vi portassi il mortaio, perchè se no avreste voluto anche il pestello e quello non c’era! – rispose subito il contadino.

— La sa tanto lunga questa ragazza? Ebbene menatela a palazzo.

Venne la villanella, ed il re le disse:

— Se sei così furba come dicono, devi spiegare l’indovinello che ti darò. Scioglilo ed io ti sposo.

— Dite pure: –rispose la fanciulla – io l’indovinerò.

Riprese il re:

— Torna da me non vestita e non ignuda, non a cavallo e non in carrozza, non per la via e non fuori della via: e se ti riesce, ti fo regina.

Essa andò via e si spogliò del tutto: così non era vestita – poi prese una rete da pesca e se la avvolse addosso così non era ignuda – prese a nolo un asino e gli legò la rete alla coda perchè la trascinasse: così non era nè a cavallo nè in carrozza – e mise l’animale fra i solchi dei carri in maniera che essa soltanto coi pollici de’ piedi toccasse terra: così non era nè sulla via, nè fuori della via.

Come il re la vide arrivare in quel modo, disse che l’enigma era sciolto. Tosto fu liberato il contadino dalla carcere: la sua figliuola divenne regina e fu signora di un gran regno.

Erano trascorsi vari anni quando un giorno il re uscì per la parata. Davanti alla porta del castello reale si erano fermati coi barrocci parecchi contadini che avevano venduto legna de’ loro boschi: alcuni avevano pariglie di manzi, altri di cavalli. Ve n’era fra gli altri uno che aveva tre cavalli e ad uno di questi nacque un poledrino il quale fuggì e andò a mettersi fra due manzi che erano attaccati al barroccio d’un altro contadino.

Appena i due contadini s’incontrarono, cominciarono a litigare, ad imprecare a far fracasso. Il padrone dei manzi diceva che il poledro apparteneva a lui perchè era nato dalle sue bestie e quello dei cavalli sosteneva che era suo perchè nato dalle bestie sue.

La contesa fu portata davanti il re il quale dichiarò che il poledro apparteneva a quel contadino che lo aveva trovato fra la sua pariglia: sicchè rimase al padrone dei manzi, mentre era di quell’altro.

Il suo padrone se ne andò piangendo e lamentandosi. Venne però a sapere come la regina fosse di buon cuore col popolo perchè nata da contadini anch’essa, e risolvè di presentarsi a lei per supplicarla di intromettersi con savie parole ed ottenergli che il poledrino gli fosse restituito.

— Sì: – disse la regina – se mi promettete di non lo palesare, vi darò un consiglio.

Il contadino le dètte promessa di tener il segreto.

— Domattina presto, – riprese la regina – quando il re esce per la rivista, mettetevi in mezzo alla strada, proprio sul suo passaggio, prendete una bella rete da pesca e fate le viste di pescare, tirando su la rete e scuotendola come se fosse piena di pesce – e suggerì al contadino anche la risposta che avrebbe dovuto dare al re quando questi lo avesse interrogato.

Infatti, il brav’uomo, il giorno di poi, si mette in mezzo alla via e pesca all’asciutto. Passa il re e vedutolo manda la staffetta a domandare cosa faccia quello scemo. Risponde il contadino:

— Pesco.

— Ma non vedete che non c’è acqua! – e il contadino di rimando:

— Se a due manzi possono nascere puledri, anch’io posso far buona pesca sulla strada maestra.

La staffetta torna dal re e riferisce il dialogo. Il re si fa venire innanzi quell’arrogante e vuol sapere chi gli ha suggerito quel brutto scherzo e la risposta: il contadino giura e rigiura che l’idea è sua e che nessuno gli ha dato consigli. Ma il re lo fa prendere e bastonare e torturare fin che il malcapitato non confessa che ha fatto e detto tutto ciò per consiglio della regina.

Tornato il re al castello, dice tutto sdegnato alla moglie:

— Perchè m’hai ingannato? perchè sei stata falsa e cattiva? Va’! il tuo tempo è finito: torna là fra i contadini, nella tua catapecchia! – e le dà permesso di scegliere e portar seco la miglior cosa, la più cara che abbia.

— Sta bene; me n’andrò – risponde la regina.

Ma poi si dà a far moine al marito, lo bacia e gli dice che non debbono lasciarsi così.

— Beviamo insieme per l’ultima volta – soggiunge – e ciò rimanga ad entrambi ricordo del tempo che abbiamo vissuto insieme.

Dopo, fa portare anfore e coppe ed abilmente empiendo i calici, mesce un sonnifero potente nella bevanda che offre al marito e di cui egli trangugia larghi sorsi: essa nell’invitarlo a bere, accosta appena le labbra alla coppa.

Il re non tarda a cadere in un sonno profondo e quando la regina vede che non v’ha pericolo che si svegli, chiama i servi, lo fa avvolgere entro un lino bianco e adagiare nella carrozzella, poi gli si siede a fianco e guidando ella stessa lo trasporta seco in campagna a casa.

Come vi furono arrivati, lo mise a letto e aspettò che si svegliasse. Il re dormì un giorno ed una notte senza mai aprire un occhio. Svegliato alla mattina, si guardò intorno, non capì dove si fosse, chiamò i servi e non vide nessuno.

Quando egli ebbe chiamato ben bene, sempre invano, venne la moglie al suo letto e gli disse:

— Caro signor re, mi avete detto che potevo portarmi dietro ciò che avevo di meglio e di più caro? Ebbene, io non ho nulla che mi sia più caro di te e t’ho portato via.

A lui vennero le lacrime agli occhi e non potè proferir parola, chè la commozione gliele teneva strozzate in gola.

— Cara compagna mia, – disse quand’ebbe ripreso fiato – siamo stati insieme felici tanti anni e non ci dobbiamo lasciare fin che abbiamo vita.

Tornò infatti con la sposa al castello; fece ribenedire, la loro nuova unione e non è difficile che sieno ancora al mondo, grassi e freschi tutti e due da fare invidia a noi.

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