Una fiaba dei fratelli Grimm
C’era una ragazza molto pigra che non voleva filare; e per quanto la madre tentasse ogni mezzo per persuaderla della necessità del lavoro, essa non prendeva mai il fuso in mano. La sua mamma era una buona donna e le voleva bene; ma un giorno, persa la pazienza nel vedere la figliuola disoccupata mentre c’era tanta canapa da filare, la prese per un braccio e la picchiò. L’altra si mise a piangere e a gridare così forte che la regina, la quale appunto passava per quella strada, sdraiata nel suo equipaggio, fece fermare i cavalli, smontò di carrozza e entrò a vedere che cosa fosse accaduto e chi mettesse quelle grida. Trovata la ragazza in lacrime, domandò alla donna perchè quella piangesse, ed essa non sapendo subito trovare altra risposta, e non volendo dire la verità che faceva vergogna alla figlia sua, rispose:
— Maestà, l’ho sgridata perchè vuole star sempre al filatoio ed io sono povera e non posso comprarle tanta canapa quanta ce ne occorrerebbe.
— È bene che vi sieno brave figliuole, lavoratrici e buone da casa. Io mi diverto molto a veder filare, e il rumorino che fa la ruota del filatoio mi piace tanto! Trrr… trrr… è un gusto! Se mi voleste dare questa ragazzina la condurrei nel mio castello, dove troverebbe canapa fin che ne volesse e potrebbe filar tanto da levarsene la voglia. – Così parlò la regina.
Alla povera donna questa proposta parve, come ognuno può immaginare, una fortuna piovuta dal cielo; sicchè la ragazza montò nella bella carrozza regale e se ne andò via.
Giunte che furono al castello, la regina condusse la filatrice in tre stanzoni dove era ammontata una canapa finissima che pareva seta:
— Vedi – le disse – questa è tutta per te. Quando l’avrai filata tutta, io ti darò in moglie al mio figlio maggiore. Che tu sia una povera ragazza, non m’importa. La tua operosità è meglio della dote e del corredo.
Figurarsi come si sentì sgomenta quella giovinetta che non aveva mai voluto prendere il fuso in mano! Guardava la canapa, che s’alzava come un monte davanti agli occhi suoi, e diceva fra sè: — Se campassi cent’anni e stessi al filatoio da mattina a sera, non arriverei mai a filarla tutta! – Appena fu sola, scoppiò in un pianto dirotto e per tre giorni non fu buona a muoversi dal posto dove era caduta a sedere, nè di alzare un dito. Le pareva d’essere morta, soffocata da quella montagna di canapa. Quando venne la regina e vide che il filatoio non era stato toccato si meravigliò e ne domandò alla ragazza la ragione. Questa rispose che la scusasse per pietà perchè fin che non si era abituata a star fuori di casa e lontana dalla mamma non poteva far nulla. Parve alla regina assai bello questo sentimento, ma nell’andarsene disse: — Però domani bisogna che tu cominci a filare!
Trovatasi di nuovo sola, non sapeva come fare per metter la canapa sulla canocchia e prepararsi il lavoro per l’indomani, e pensò che fosse meglio affacciarsi alla finestra a prender aria prima di tutto e scacciar l’uggia.
S’affaccia e vede venire in su verso il castello, nella direzione appunto di quella finestra, tre donne. L’una di esse ha il piede destro sproporzionatamente grande e schiacciato come una paletta; l’altra il labbro inferiore
sporgente e grossissimo; la terza, il pollice della mano destra cresciuto a dismisura. Come sono sotto le finestre, si fermano, guardano in su e domandano alla ragazza che cosa ha. Ella racconta la sua pena e da quelle sconosciute ha un’offerta che la consola tutta.
— Vuoi, – le dicono gentilmente – vuoi invitarci alle nozze quando sarai la sposa del principe, chiamarci cugine senza vergognarti e lasciar che ti sediamo accanto al banchetto? Se accetti, noi in poco tempo ti filiamo tutta la canapa.
— Se accetto? – risponde subito la ragazza che non cape in sè dalla gioia – di cuore e subito. Venite pure, entrate e mettetevi al lavoro, se è vero quanto dite.
Entrate le tre strane femmine e data appena un’occhiata al primo stanzone, fanno una breccia sul mucchio della canapa, si mettono a sedere in mezzo e cominciano a lavorare. La prima, quella dal piede largo e schiacciato come una paletta, tira il filo e manda il pedale che mette in moto la ruota: la seconda bagna con la saliva il filo: la terza fa prillare il fuso e batte il dito sul tavolino, perchè ad ogni colpo cada una misura di filato a terra. E quale finissimo filato!
Filavano le tre donne in silenzio senza mai cessare.
Ogni volta che veniva la regina a vedere come progredisse il lavoro, la fanciulla le nascondeva ed essa non finiva dalle lodi alla brava ragazza, che in così poco tempo aveva già ammatassato tanto filo, fino come capelli.
Quando fu vuota la prima stanza, le filatrici andarono nella seconda e poi nell’ultima, dopo di che salutata la ragazza se ne partirono rammentandole la promessa.
— Se la manterrai, sarà la tua fortuna – furono le loro parole nell’uscire.
Come la ragazza ebbe mostrato alla regina le stanze sgombre di canapa e tutti quei bei mucchi di filato meraviglioso, furono subito fatte le nozze, ed il principe si rallegrò molto che gli toccasse in moglie una donna così operosa, di cui fece a tutta la corte elogi sperticati. La fanciulla non s’era dimenticata delle sue salvatrici e, chiestone il permesso al fidanzato, aveva mandato loro un invito per la festa e per il banchetto nuziale.
Infatti comparvero le tre bizzarre femmine tutte agghindate, facendo inchini, la sposa fu loro incontro abbracciandole e chiamandole care cugine e subito lo sposo ebbe su loro lo sguardo curioso e disse alla sposa:
— Cara mia, tu hai per cugine le tre zitellone più buffe che ci sia nel mondo! Da dove sono sbucate fuori? – e rivolto poi ad ognuna di esse le richiese delle strane deformità, ridendosene sotto i baffi.
— Signorina, mi vorreste dire come mai avete questo piede così largo e schiacciato? – diceva alla prima.
— È stato il pedale, è stato il pedale! – rispondeva essa lesta lesta e s’inchinava.
— Signorina, mi direste come mai avete questo labbro così grosso e sporgente? – domandava alla seconda.
— Per bagnare il filo, per bagnare il filo! – l’altra rispondeva lesta lesta e s’inchinava.
— Signorina, potrei sapere come mai avete questo pollice così grande? – chiedeva all’ultima.
— Dal prillare il fuso, dal prillare il fuso! – diceva quella e s’inchinava.
Il principe si spaventò nell’udire come quelle mostruosità fossero conseguenza del lungo filare e corso dalla giovine sposa:
— Bella mia – le disse – non toccar più un filatoio sai! Guardatene bene!
Così la fanciulla pigra fu per sempre liberata dalla grande tortura del filare.