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Fiabe dei fratelli Grimm Fiabe per bambini

Pollicino / Pochettino in giro per il mondo

Una fiaba dei fratelli Grimm

Un sarto aveva un figliuolino il quale era nato tanto piccolo che gli avevano messo nome Pochettino.

Pochettino era piccino ma aveva un coraggio da leone. E se, non ci credete, state a sentire che cosa fece!

Un giorno va dal padre e gli dice:

— Babbo, bisogna che vada in giro per il mondo.

— Bravo – gli risponde il sarto e preso un ago lungo da rammendi vi fa un bottone di ceralacca alla cruna e glielo porge soggiungendo: – Eccoti il brando perchè tu possa difenderti per la via.

Il piccolo sartino volle fare l’ultimo pranzo in famiglia prima di partire e saltarellò per la cucina, fiutando intorno alle pentole per sapere che cosa gli avrebbe cucinato di buono la mamma per l’ultima volta. Per l’appunto la moglie del sarto aveva scodellato allora allora e il piatto stava sul camino. Pochettino balzò sul focolare per mettere il nasino nel piatto, ma avendo allungato troppo il collo fu investito dal vapore della pietanza e, travolto su per il fumaiuolo, spinto fuori. Per un pezzo vagò per aria a cavalcioni del fumo, fin che a poco a poco volò a terra.

Ecco dunque il nostro sartuncolo andarsene solo per il vasto mondo. Dopo aver molto girato di qua e di là si allogò come garzone presso un sarto. Lavorava lavorava, ma gli davano così poco da mangiare che un giorno egli disse alla moglie del principale:

— Sora maestra, se non crescete le porzioni io me ne vado e lascio scritto sul vostro uscio:

«Brodo di pioggia, arrosto di formicola,
Molta insalata che non fa collottola!»

La maestra montò in furie e gridò:

— Cosa pretenderesti, burattino! – e afferrato uno straccio voleva picchiarlo. Ma il nostro sartino si cacciò ratto sotto l’anello da cucire e spingendo fuori il capo mostrava la lingua alla donna. Essa alzò il ditale per acchiappare il biricchino, ma Pochettino saltò in mezzo ad un mucchio di ritagli di stoffe e mentre la maestra li buttava all’aria per ghermirlo, egli si cacciò in una spaccatura della tavola.

— A me, a me signora maestra! – gridava e s’affacciava un poco e quando essa volle colpirlo egli saltò giù nel cassetto. Finalmente la donna lo potè agguantare e con un buffetto lo scacciò di casa.

Il nostro sartuccio si rimise a vagabondare e gira, rigira si trovò nel fitto d’un bosco.

Ivi incontrò una banda di masnadieri, che stavano formando fra loro il progetto di andare a rubare il tesoro del re. Come costoro lo videro, pensarono:

— Un gingillo così piccino, può passare per il buco d’una serratura e servirci meglio d’un grimaldello. Olà! – gridò uno di essi – Gigante Golìa, vuoi venire con noi alla scalata del tesoro? Tu ti ci puoi cacciar in mezzo e buttarci fuori gli scudi dalla finestra.

Pochettino, dopo averci un po’ riflettuto, finì col dire di sì e s’avviò con loro.

Giunti che furono, egli si diede ad osservare la porta per ogni verso per vedere se vi fosse qualche fessura, ed avendone trovata una abbastanza larga per lasciarlo passare, tosto si provò a ficcarvisi dentro. Ma una delle sentinelle che stavano a guardia del palazzo del re disse all’altra:

— Guarda che brutto ragnaccio. Lo voglio spiaccicare col piede.

— Lascialo stare, povera bestia! Non fa male a nessuno – rispose il compagno.

Intanto Pochettino, che si era felicemente introdotto nella stanza del tesoro, aprì piano piano la finestra sotto la quale stavano i ladri e cominciò a buttar loro uno scudo dopo l’altro. Mentre era sul più bello del suo lavoro, udì avvicinarsi il re che veniva a dare un’occhiatina a’ suoi tesori e presto presto si nascose. Il re, accortosi così a occhio che mancavano molti scudi, non poteva capacitarsi come fossero spariti mentre tutte le toppe e i chiavistelli erano intatti. Borbottò un poco e nell’andarsene disse alle sentinelle:

— Fate buona guardia! Qui c’è qualcuno che porta via i quattrini.

Quando Pochettino si fu rimesso all’opera le sentinelle che stavano in orecchio distinsero il tintinnio delle monete che erano smosse. «Drin… drin…» svelte saltarono dentro nella stanza del tesoro per sorprendere il ladro. Ma il sartino più pronto di loro, si rifugiò in un cantuccio e si cuoprì con uno scudo in modo che non potessero vederlo ed intanto si burlava delle guardie, strillando: — Eccomi, eccomi qui! – Le guardie correvano verso il lato da cui si partiva la vocina, ma quando vi giungevano, egli era già saltato in un altro angolo, sotto un’altra moneta e dal nuovo nascondiglio gridava: — Eccomi, son qui. – La burla continuò per un pezzo fin che le guardie stanche di correre invano, se ne andarono, e Pochettino riprese a gettar fuori dalla finestra tutti gli scudi. L’ultimo lo scaraventò lontano con quanta forza aveva, e con un salto da acrobata vi balzò sopra e schizzò con quello via.

I ladri lo colmarono di elogi. — Tu sei un grand’eroe! – gli dicevano. – Vuoi diventare il nostro capitano? – Ma Pochettino li ringraziò e disse che preferiva continuare a girare per vedere ancora un po’ il mondo. Si venne poi a far le parti del bottino: e Pochettino bisognò che si contentasse di un centesimo, chè di più non poteva portare. Rimise la sua spada a tracolla, si congedò dai masnadieri e si rimise la via tra le gambe.

Pellegrinando di qua e di là, lavorò presso diversi padroni, ma nessuno di essi gli andava a genio. Finalmente entrò come facchino in un albergo. Ivi le donne di servizio non lo potevano soffrire perchè senza che esse lo scorgessero, vedeva tutto ciò che quelle armeggiavano di nascosto e le denunziava ai padroni, riferendo quanto avevano portato via dai vassoi ed in cantina a proprio vantaggio.

— Aspetta – dissero un giorno – te lo faremo scontare il danno che ci hai fatto! – e si misero d’accordo per fargli un brutto tiro. Quando più tardi una di esse che stava falciando l’erba nel giardino vide Pochettino che si arrampicava sugli steli e vi saltava fra mezzo, lesta lo acchiappò col fascio, legò tutto dentro un panno e buttò il fieno alle mucche. Fra queste ve n’era una grossa e nera che se lo ingoiò senza sentirlo, nè masticarlo. Come fu nello stomaco della bestia, vi si trovò a disagio perchè era tutto buio e non c’era lucerne e appena vennero a mungere la sua mucca, si diede a gridare:

«Tira, tira di buona lena
Fin che la secchia non sia piena!»

ma col rumore che facevano i garzoni nella stalla egli non fu udito. Ad un tratto entrò il padrone e ordinò che fosse ammazzata la mucca nera l’indomani. Pochettino ebbe paura e si rimise a gridare con quanto fiato aveva: — Prima lasciatemi uscire! Ci sono io qua dentro! – Il padrone riconosceva la voce ma non capiva da dove venisse. — Dove sei? – badava a domandare. E il piccino: — In quella nera! – ma l’uomo non intese cosa volesse dire e se, ne andò.

Il giorno dopo la bestia fu macellata. Fortunatamente nel colpire, nello sventrare l’animale, nessun istrumento lese Pochettino; ma gli toccò andare fra la carne da salsicce. Venne il norcino e quando egli si mise al lavoro lo scricciolo gridava: — Piano, piano, non pestate troppo fondo! Ci son io. – Però il rumore dei coltelli cuopriva quella vocina che non era udita.

Il povero Pochettino era in grande disperazione. Ma la disperazione dà alle gambe, ed egli saltava con tanta agilità fra le lame che non ne fu neppure sfiorato e ne uscì salvo senza una scalfittura. Solamente bisognò che rimanesse dentro il sacco e si lasciasse impastare in una salsiccia di sangue. Il suo quartiere era un poco angusto e il peggio fu quando la salsiccia fu appesa nel camino per essere affumicata. Il sartorello si annoiava a morte dentro e il tempo non gli passava mai. Finalmente, venne l’inverno: la salsiccia fu staccata per essere messa in tavola in onore di un ospite. Quando la signora ostessa diede di pugno al coltello per affettarla egli dovè fare molta ginnastica per non sporgere il capo e salvare il collo. Poi colto il destro, sbucò fuori e saltò via.

In quella casa dove aveva tanto sofferto il povero Pochettino non voleva restare e si rimise tosto in viaggio. Ma la sua libertà non durò a lungo. Nell’aperta campagna, gli passò d’accanto una volpe che era sopra pensiero e senza volere aprì la bocca e l’agguantò.

— Ahi! Madonna volpe – gridò il sartino – ve ne siete accorta che m’avete in gola? Mi potreste lasciare andare!

— È vero – riprese la bestia. – di questo stuzzicadenti non so che farmi! Purchè tu mi prometta quante bestie sono nel pollaio di tuo padre, ti rimetto fuori.

— Te le regalo con tutto il cuore. I polli hanno da essere tuoi, te lo giuro.

Fatto questo patto, la volpe gli rese la libertà e lo portò addosso fino a casa. Come il sarto rivide il suo figliuolino, dette volentieri alla volpe quanti polli aveva.

— Sai babbo – disse Pochettino, quando fu pagato il debito della bestia – per colpa mia hai dovuto dar via tutte le galline: ma in compenso t’ho portato de’ bei danari – e porse al padre il centesimo che aveva guadagnato in tutto il tempo della lunga assenza.

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