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Pendolino

Fiaba di Luigi Capuana

C’era una volta un Re che diceva:

– Io sono l’uomo più disgraziato del mondo!

– Che vi manca, Maestà?

– Niente. Ho quel che non vorrei!

– Che cosa, Maestà?

A questa domanda il Re non dava mai risposta. Scrollava il capo, si sentiva venire le lacrime agli occhi e andava a chiudersi in certe stanze del palazzo reale dove a nessuno era permesso di entrare.

Tutti però sapevano che là dentro c’era il Reuccio, ma Ministri e cortigiani non avevano mai potuto penetrare il mistero di quella reclusione. Eran passati dieci anni dalla morte della Regina. Finché lei fu in vita, si diceva che, per superbia, non volesse far vedere il suo figliuolo a nessuno. Quando lei morì e il Re continuò a tener nascosto il Reuccio in quelle impenetrabili stanze del palazzo reale, cominciarono a correre attorno tante brutte voci.

– Sapete? Il Reuccio ha la testa di un serpente.

– Ma che! Non ha braccia né gambe, ma una coda da pesce.

– Ma che! Gli manca la parola; abbaia come un cane!

– Lo so io quel che ha: è mezzo uomo e mezzo uccello!

Non era vero niente.

Bel ragazzo, bianco di carnagione, biondo di capelli, con occhi azzurri di grande dolcezza, il Reuccio, un giorno, tutt’a un tratto, appena aveva cominciato a staccarsi, era stato colpito da una strana malattia. Non poteva star fermo: con la testa e col busto doveva andare e venire come un pendolo, regolarmente, incessantemente; e se il Re, impietosito, tentava di impedirglielo, stringendolo tra le braccia, veniva spinto, con forza, a far lo stesso va e vieni, da averne il capogiro. Per poco non sembrava di udire il tic-tac, tic-tac di un vero pendolo in movimento.

Per fortuna, il Reuccio non soffriva. Parlava, scherzava, rideva pur dimenandosi regolarmente, incessantemente da diritta a manca, da manca a diritta, ma faceva male a chi lo guardava, e il Re specialmente non poteva assistere a lungo a quel triste spettacolo.

Aveva chiesto segreti consulti a medici, a maghi, a stregoni. I medici non avevano capito nulla: una malattia come quella non si era mai vista.

I maghi avevano risposto:

– Qui c’è un terribile incanto, ma noi non ci possiamo a disfarlo.

Due stregoni avevano promesso:

– Maestà, questo è niente. Ve lo consegneremo guarito in due mesi.

E per due mesi si erano insediati nel palazzo reale, mangiando, bevendo da gran signori, uscendo di notte alla ricerca – dicevano – di certe erbe, di certe radici che poi non si trovavano mai, chiedendo quattrini ora per questo, ora per quello dei tanti intrugli prescritti. E, dopo due mesi, erano spariti lasciando il Reuccio nello stesso stato di prima: tic-tac, tic-tac, da diritta a manca, da manca a diritta.

Per questo la Regina gli aveva messo nome Pendolino, e il Re continuava a chiamarlo così.

Nessuno osava di domandare al Re:

– E il Reuccio, Maestà?

Ora, dovete sapere che nel giardino reale c’era una pianta di rosa unica al mondo, che faceva una rosa all’anno, meravigliosa di colore e di profumo. Era il fiore prediletto della Regina, e il Re, dopo la morte di lei, non l’aveva mai colta. La Regina, morendo, gli aveva detto:

– La darete soltanto a chi verrà a chiederla in carità.

Ma finora nessuno era venuto, e ogni anno la bellissima rosa si sfogliava e seccava su la pianta.

Una mattina, il Re stava per salire in carrozza davanti al palazzo reale, quando si presentò una vecchia, curva e cenciosa, che si mise a piagnucolare:

– Maestà, grazia! Maestà, grazia!

– Che volete, buona donna?

– La rosa rara del vostro giardino… Per carità, Sacra Corona!

Il Re si rammentò della raccomandazione della Regina in punto di morte, tornò addietro e andò a cogliere di sua mano la rosa apertasi il giorno avanti.

Il Re ebbe un abbagliamento; gli parve che quella vecchina rugosa, con pochi capelli grigi, con quei vestiti stinti e a sbrendoli, si fosse improvvisamente trasfigurata in una bellissima giovane, fresca, sorridente, con folta chioma di oro… Fu un istante. Il Re si strofinò gli occhi e vide di nuovo la vecchina, curva e cenciosa, che tentava di baciargli, per ringraziamento, la mano.

E quale non fu la sua sorpresa, il giorno appresso, trovandola nella stanza del Reuccio! Il Re ne sentì gran dispetto.

– Chi vi ha fatto entrare qui?

– Nessuno, sono entrata da me.

– Qualcuno ha dovuto aprirvi l’uscio.

– Non occorreva. Io entro ed esco pei buchi delle serrature e anche a traverso i muri.

– Siete una Strega o una Fata?

– Strega che scioglie e lega,

Fata che sta celata,

Fata che scioglie e lega,

Strega che sta celata!

E la vecchina diè in un vivace scoppio di risa.

Il Re si credette beffato e fece atto di prenderla per le spalle e cacciarla via. Ma si accorse che la vecchina teneva un dito puntato su lo stomaco del Reuccio e che questi, secondo la pressione, si agitava più o meno fortemente da diritta a manca, da manca a diritta, e qualche volta stava fermo.

– Strega o Fata che siete, se guarite il Reuccio vi darò tanto oro quanto pesa.

– Ve ne posso regalare tre volte tanto, Maestà!

– Perdonatemi, Strega o Fata che siete. Ditemi almeno questo: che male è questo?

– È male di incantagione. L’incanto è qui dentro: una specie di cipollina. La tocco col dito, ma per tirarla fuori ci vuol la freccia di Freccia-Frecciaio, temprata al rovaio, ché al mondo non c’è il paio, di Freccia-Frecciaio.

– E dov’è la freccia…

– …di Freccia-Frecciaio, temprata al rovaio, ché al mondo non c’è il paio?

– Sì, dov’è?

– Fate un bando, Maestà. Appena si saprà che qualcuno ha bisogno della freccia di Freccia-Frecciaio, temprata al rovaio…

– Sì, lo so – la interruppe il Re – ché al mondo non c’è il paio…

– Ebbene, giacché lo sapete, mandatelo a chiamare.

E la vecchina diè in un altro più vivace scoppio di risa. Intanto essa aveva tolto il dito dallo stomaco del Reuccio e questi aveva ripreso il suo movimento di pendolo, da diritta a manca, da manca a diritta, tic-tac, tic-tac!

Il Re si voltò e fece appena in tempo da vedere che la vecchina andava via pel buco della serratura.

– Maestà – pregò il Reuccio. – Fate subito il bando per la freccia di Freccia-Frecciaio…

– …temprata al rovaio, ché al mondo non c’è il paio, di Freccia Frecciaio…

Il Re non avea potuto trattenersi di ripetere la filastrocca della vecchina, Strega o Fata che fosse.

E da lì a pochi giorni, uscivano dal palazzo reale, a cavallo di cavalli bardati riccamente, i banditori con le trombe d’argento.

– Bando di Sua Maestà! Sua Maestà dice: Si presenti Freccia-Frecciaio, con la freccia temprata al rovaio, ché al mondo non c’è il paio, di Freccia-Frecciaio!

Diventarono uno spasso per tutto il regno. Appena fatto: pèpè! pèpè! con le trombe d’argento, la gente attendeva le prime parole del bando, e faceva il verso ai banditori:

– La freccia di Freccia-Frecciaio…

E tutti:

– Temprata al rovaio!… ché al mondo…

– Non c’è il paio…

– Sì, sì… di Freccia-Frecciaio!…

Non la finivano più.

Da lì a un mese si presentarono dieci persone, armate di freccia:

– Agli ordini di Sua Maestà!

E ognuna di esse diceva:

Il vero Freccia-Frecciaio sono io; mi metta alla prova. Bisognava legare il Reuccio a un palo, col petto scoperto. Il Freccia-Frecciaio doveva scagliare la freccia, colpire e infilzare quella certa cipollina che produceva l’incanto. Era un punto. E se sbagliava? Il vero Freccia-Frecciaio non avrebbe sbagliato. Ma chi era il vero tra quei dieci furfanti che si erano presentati?

Il Re fece fare un fantoccio che rappresentava precisamente il Reuccio. Ordinò che lo legassero a un palo e con un po’ di tinta :in nero segnò il punto da colpire.

– Chi sbaglia avrà tagliata la testa; chi indovina guadagnerà un tesoro.

Il primo che si presentò, sentito: – Chi sbaglia avrà tagliata la testa! – voltò le spalle e scappò via.

Il secondo, spavaldo, si impostò su le gambe, armò l’arco, tese il braccio, prese la mira, e, tutt’a un tratto, udito: – Chi sbaglia avrà tagliata la testa! – abbassò l’arco, voltò le spalle e scappò via anche lui.

Gli altri sette, visto che il Re diceva sul serio, se l’erano sgattaiolata zitti zitti. Rimaneva l’ultimo.

Si avanzò lentamente, armò l’arco, prese la mira, e prima che il Re terminasse di dire: – Chi sbaglia avrà tagliata la testa! – avea colpito proprio nel centro il punto segnato col nero; la freccia rimasta infilzata tremolava per l’urto.

– Ah! Questa è proprio la freccia…

– …di Freccia-Frecciaio, temprata al rovaio, ché al mondo non c’è il palo, di Freccia-Frecciaio!

Chi aveva parlato dietro le spalle del Re?

Egli vide qualcosa che penetrava dal buco della serratura, qualcosa che da sottile sottile si gonfiava, si dilatava di mano in mano che si introduceva… Era la vecchina!

– Strega o Fata che siete, è questa la freccia del…

– …Freccia-Frecciaio, temprata al rovaio, ché al mondo non c’è il palo? Sì, è questa.

Allora il Reuccio fu legato a un palo, col petto scoperto; Freccia-Frecciaio tese l’arco, prese la mira e dalla ferita prodotta dalla freccia venne fuori qualcosa nero nero, viscido, puzzolente che appestava… Era quel che aveva prodotto al Reuccio il movimento da diritta a manca, da manca a diritta, tic-tic, tictac, come un pendolo. Se non che, quando sciolsero il Reuccio dal palo, sembrava diventato di legno, tutto d’un pezzo; non poteva muovere braccia, né gambe, né collo, né lingua; soltanto gli occhi; e da essi si capiva che era vivo.

– Ah, Strega o Fata che siete! Che tradimento mi avete fatto!

Il Re si disperava, si strappava i capelli, piangeva come un bambino, vedendo il Reuccio ridotto in quel modo.

– Meglio ritorni come prima!

E prese in mano quella specie di cipolletta, nera nera, viscida, puzzolente, per introdurla nella ferita che ancora sanguinava.

Ma ecco che il Re si mette a fare il pendolo lui, tic-tac, tic-tac, da diritta a manca, da manca a diritta, senza poter riuscire a buttar via l’oggetto fatale.

– Ah, Strega…

E dava a manca.

– …o Fata che siete!

E dava a diritta.

All’improvviso il Reuccio cominciò ad essere scosso da una convulsione di riso.

Agitava le braccia, scoteva le gambe e si vedeva la vecchina che gli faceva il solletico sotto la pianta dei piedi. Si rizzò con un balzo; nello stesso tempo il Re riuscì ad aprir il pugno, a buttar per terra la cipollina nera nera, viscida, puzzolente, e cessava – n’era tempo! – di dimenarsi; non ne poteva più!

E tutto questo, perché? Perché la Regina un giorno avea trovato nel giardino un anello smarrito dalla Fata e non avea voluto restituirglielo. La Fata si era vendicata, facendo quel maleficio al Reuccio; ma ora, pentita, era venuta a riparare. Inoltre, per compenso, disse al Reuccio:

– Ti darò in moglie la più bella Reginotta della terra! Bella quasi quanto me!…

Il Reuccio, udendo parlare la vecchina, stava per risponderle, sdegnato:

– Grazie, grazie!

Ma le parole gli rimasero in gola, vedendola diventare un’apparizione così bella che sembrava quasi luminosa!

E infatti, da lì a tre anni, il Reuccio sposò la Reginotta di Spagna, che poco ci mancava non sembrasse una Fata.

E il Freccia-Frecciaio, con la freccia temprata al rovaio?… Basta, per carità!

Ebbe in compenso tant’oro quanto pesava il Reuccio. Parola di Re non va indietro.

Larga la via, lunga la strada,

Fiaba finita, fiaba contata.

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