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Fiabe di Luigi Capuana Fiabe per bambini

Topolino

Fiaba di Luigi Capuana

C’era una volta un Re, che più non viveva tranquillo, dal giorno in cui una vecchia indovina gli aveva detto:

– Maestà, ascoltate bene:

Topolino non vuol ricotta;

vuol sposare la Reginotta;

E se il Re non gliela dà,

Topolino lo ammazzerà.

Il Re consultò subito i suoi ministri; ed uno di loro disse:

– Maestà, è mai possibile che un topolino voglia sposare la Reginotta? Io credo che quella donna si sia beffata di voi.

Ma gli altri non furono dello stesso parere.

– Per evitare la disgrazia, bisogna distruggere tutti i topi del regno, mentre la Reginotta trovasi ancora nelle fasce.

Perciò il Re messe fuori un decreto:

– Pena la vita a chi non teneva uno o più gatti, secondo che avesse casa o palazzo. Chi ammazzava cento topi diventava barone.

Il Re diè l’esempio egli il primo; e il palazzo reale fu pieno di gatti, tenuti assai meglio dei cortigiani e anche dei ministri. Inoltre, a tutti gli usci venivano appostate guardie con una granata in mano, invece di sciabola, che dovevano gridare all’armi appena visto un topo.

Sulle prime, con quella caccia ai topi per diventare barone, fu uno spasso per tutto il regno.

Il Re, ogni volta che gli portavano al palazzo un centinaio di topi uccisi, traeva un respiro dal profondo del petto.

– Voi siete barone!

– Che mi vale, Maestà, l’esser barone, se non ho da mangiare? – disse una volta un contadino, che, invece di cento, ne aveva portati un mezzo migliaio.

– È giusto – rispose il Re.

E gli fece un bel regalo.

Saputasi la cosa, tutti quelli che accorrevano al palazzo reale, ripetevano la stessa storia:

– Che mi vale, Maestà, l’esser barone, se non ho da mangiare?

Ma il Re, ch’era un po’ tirchio, si seccò presto a dover far tanti regali; e all’ultimo rispose:

– Il decreto dice soltanto: sarete baroni.

E il popolo ne fu scontento; molto più che, con tutti quei gatti per la casa, i quali miagolavano da mattina a sera, si viveva una vitaccia d’inferno. Ma Sua Maestà ordinava così; era forza ubbidirgli!

Da lì a qualche anno, non si trovava un topo in tutto il regno, neppure a pagarlo un milione.

Il Re già cominciava a rassicurarsi; e siccome la Reginotta era cresciuta, egli pensava di darle marito. Parecchi Principi l’avevano chiesta. Ma la Reginotta, quasi lo facesse a posta, a ogni domanda di matrimonio, rispondeva:

– Maestà, chiedo un altr’anno di tempo.

Intanto era accaduto questo: in un paesotto del regno, nascosto fra le montagne, una povera donna aveva partorito un bambino mostruoso, col viso d’uomo e il resto del corpo di vero topolino, con le sue zampine e con la sua codina.

Al vederlo, la mamma e la levatrice rimasero trasecolate: e la levatrice, che provava ribrezzo a toccare quel mostricino, aveva consigliato di soffocarlo.

La mamma non n’ebbe il cuore, e pregò:

– Non ne fiatare con anima viva, comare!

Infatti nessuno ne seppe nulla; e il bambino crebbe vegeto e vispo da quel topolino ch’egli era. Camminava su due gambe, come un uomo; solamente la mamma lo vestiva in maniera, che del suo corpo non si potesse vedere altro che il volto. Alle zampine anteriori gli metteva sempre i guanti.

Gli aveva posto nome Beppe, e così lo chiamavano tutti; ma quando non c’era nessuno, ella, per tenerezza, lo chiamava Topolino.

– Topolino, fa’ questo; Topolino, fa’ quest’altro!

E Topolino non le dava mai il menomo dispiacere, e faceva questo e faceva quello.

– Dio t’aiuterà, Topolino!

E un giorno Topolino disse:

– Mamma, voglio fare il soldato.

La poveretta che gli voleva bene, piangendo rispose:

– Ed io, come rimango sola sola? Ora sono vecchia, e non posso più lavorare.

– Vi lascerò la mia coda. Quando avrete bisogno di qualcosa, direte:

Codina, codina

Servi la tua mammina!

Ed essa vi servirà, come se fossi io stesso in persona. Se non v’ubbidirà, vorrà dire che in quel momento io corro un gran pericolo. Allora, lasciatevi guidare da essa e venite a trovarmi.

Così fece, e partì. Quella coda era fatata.

Al Re era stata mossa guerra da un altro Re, offeso dal rifiuto della Reginotta. Uscito, con tutto l’esercito a combattere, in ogni battaglia ne toccava.

Mutava generali, chiamava nuova gente sotto le armi, veniva alle mani, faceva prodezze straordinarie, ma rimaneva vinto sempre; e una volta poté salvarsi, scappando sul suo cavallo a rotta di collo.

Si presentò Topolino, ch’era alla guerra anche lui:

– Maestà, se mi date il comando in capo, vi faccio uscire vittorioso.

– E tu chi sei?

– Mi chiamo Niente-con-Nulla; ma non vuol dire. Mettetemi alla prova.

– Niente-con-Nulla sia comandante!

I generali dell’esercito credettero che Sua Maestà fosse ammattito:

– Affidare il comando in capo a quel cosino, ch’era davvero Niente-con-Nulla!

Non rinvenivano dallo stupore. Ma quando fu l’ora della battaglia, Topolino impartì gli ordini, fece sonare le trombe, e in un batter d’occhio l’esercito nemico fu spazzato via.

– Viva Niente-con-Nulla! Viva Niente-con-Nulla.

Non si sentiva acclamare altro. Nessuno più gridava: «Viva il Re!», tanto che Sua Maestà cominciò a esserne seccato, e pensava di levarsi di torno Niente-con-Nulla, che ci mancava poco non contasse più di lui.

– Come fare per levarselo di torno? Occorreva un pretesto.

Il pretesto lo trovò una mattina, che la Reginotta venne a dirgli:

– Maestà, volete ch’io sposi? Datemi Niente-con-Nulla per marito.

Il Re montò sulle furie. Ma, per far la cosa zitto e queto, deliberò di sbarazzarsi di Niente-con-Nulla per mezzo del veleno.

Invitatolo a pranzo, verso la fine gli fece porre davanti un piatto d’oro con su una torta di ricotta avvelenata.

– Questo piatto è per voi solo, per farvi onore. Niente-con-Nulla, mangiate.

Ma Niente-con-Nulla, levatosi da tavola e fatto un inchino a Sua Maestà, rispose:

– Topolino non vuol ricotta;

Vuol sposare la Reginotta!

E andò via.

Il Re e i Ministri rimasero strabiliati:

– Giacché Topolino è lui, – disse un Ministro – facciamolo arrestare, rinchiudiamolo in una stanza con tutti i gatti del palazzo reale, e così sarà divorato vivo vivo.

Lo fecero arrestare, lo spogliarono, lo rinchiusero in uno stanzone insieme con un centinaio di gatti affamati, e stettero ad aspettare. Quando riapersero la stanza, Topolino non c’era più. E i gatti si leccavano i baffi, come se avessero desinato saporitamente.

Il Re, dalla contentezza, ordinò una festa di ballo.

Va per indossare il manto reale, e lo trova interamente rosicchiato dai topi. I generali, le dame di corte, gl’invitati, nel momento d’abbigliarsi per la festa, tutti avevano trovato le loro uniformi e gli abiti rosicchiati dai topi!

Ma questo non fu nulla. I Ministri portavano al Re i decreti da firmare; e, il giorno dopo, le carte trovavansi rosicchiate proprio dov’era la firma. A poco a poco, nel palazzo reale, delle materasse, delle lenzuola, delle coperte, della biancheria, degli arnesi, dei mobili non rimase più intatto un solo capo; pareva che un esercito di topi fosse stato a divertirvisi coi suoi dentini distruttori. Né valeva il rinnovare ogni cosa; quello che oggi compravano, domani era bell’e rosicchiato.

Centinaia di gatti, intanto, passeggiavano su e giù per le stanze, miagolando, o si stendevano al sole facendo le fusa. Soltanto i vestiti e i mobili della Reginotta non erano rosi.

Il Re, i Ministri, tutta la corte non sapevano dove dare il capo.

– Questa è opera di Topolino!

– Maestà, – disse il Ministro che aveva suggerito di far divorare Topolino dai gatti – si costruisca una gran trappola, che abbia l’aspetto della camera della Reginotta, e cerchisi un Mago capace di fare una bambola grande al naturale, somigliantissima a lei, con un congegno da poter chiamare: «Topolino! Topolino!» con lo stesso tono della voce di lei. Sono sicuro che Topolino cascherà nell’inganno. Quando l’avremo in mano penseremo al da farsi.

L’idea parve eccellente. Senza che ne trapelasse nulla, i magnagni di corte costruirono una trappola, che simulava la camera della Reginotta; e un famoso Mago fece una bambola grande al naturale, da scambiarsi colla Reginotta in carne e ossa, e che diceva: «Topolino! Topolino!» con lo stesso tono della voce di questa. Collocarono la trappola nel giardino reale, ed aspettarono fino alla dimane.

Tutta la notte, il congegno della bambola chiamò: «Topolino! Topolino!». Ma chi sa dove lucevano gli occhi di Topolino in quel punto?

Per sei notti l’inganno non giovò. Alla settima, il povero Topolino, lusingato dalla somiglianza, era accorso alla trappola e c’era rimasto.

Figuriamoci il tripudio del Re e dei Ministri, la mattina quando lo trovarono acquattato in un cantuccio presso la bambola!

– Rosicchia, Topolino! Sposa la Reginotta, Topolino!

Lo beffeggiavano senza pietà; e Topolino, acquattato nel suo cantuccio, li guardava e non rispondeva nulla.

Giusto in quel giorno, la sua mamma, avendo bisogno d’un servigio, aveva detto:

 Codina, codina,

Servi la tua mammina!

Ma la codina non si era mossa.

– Ah, codina, codina! – esclamò quella mamma desolata: – Topolino è in pericolo; andiamo a soccorrerlo, presto!

E si avviarono, la codina avanti, e lei dietro, finché non giunsero alla capitale del regno e non entrarono nel giardino reale, mischiati alla folla che accorreva per la curiosità di osservare Topolino dentro la trappola. Quel giorno Topolino doveva esser bruciato. La trappola era stata unta tutta d’olio e di grasso; s’aspettava il Re e la corte per appiccargli fuoco.

La codina spiccò un salto e andò ad appiccicarsi al codone di Topolino.

– Topolino ha la coda! Lascia vedere la coda, Topolino!

E Topolino, che si era subito ringalluzzato, si voltava compiacente e dimenava la coda come se non avesse capito la condanna che gli stava sul capo. La gente rideva e batteva le mani. Ora che Topolino era cascato in disgrazia, nessuno più si rammentava del bene ch’egli aveva fatto, quando si chiamava Niente-con-Nulla: il mondo è così! Al suono delle trombe, ecco il Re e i Ministri e la corte, tutti vestiti in gran gala, preceduti dal carnefice, con una torcia accesa in pugno. La Reginotta era rimasta al palazzo.

Il Re, per scherno, allora disse:

– Topolino, prima di morire, che grazia chiedi?

E Topolino, senza scomporsi, rispose:

– Maestà:

Topolino non vuol ricotta;

Vuol sposare la Reginotta;

E se il Re non gliela dà.

Topolino lo ammazzerà.

E si lisciava la coda.

– Date fuoco! – ordinò il Re inviperito.

Ma non appena il carnefice ebbe accostata la torcia alla trappola, ecco che insieme con la trappola scoppia in fiamme il trono reale. Le vampe avvolsero il Re e i Ministri, che non trovarono scampo.

La gente fuggiva, atterrita; ma Topolino, trasformato in bellissimo giovane, usciva fuori sano e salvo.

Agli urli, alle strida, accorse subito la Reginotta; e, visto il disastro, si mise a piangere:

– Topolino, se mi vuoi bene, risuscita mio padre!

Topolino esitava. Allora si fece avanti sua madre:

– Topolino, te ne prego anch’io, risuscita il Re!

Poteva dire di no alla mamma e alla sua cara Reginotta?

Toccò colle mani il cadavere mezzo carbonizzato del Re, e lo fece risuscitare. Ma il Re era diventato un altro. Domandò umilmente perdono del male che gli aveva fatto, e conchiuse:

– Giacché questo è il volere di Dio, sposatevi e siate felici!

Il popolo fece grandi feste. Dei Ministri bruciati nessuno si diè pensiero.

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