Una fiaba dei fratelli Grimm
Una donna era andata con la figlia e la figliastra in un prato a falciare erba per le bestie.
Passò di lì il Signore, in abito da mendico e, volto alle donne, domandò:
— Qual’è la strada che mena al villaggio?
— Indovinala grillo: – rispose la madre. E la figliuola aggiunse:
— Sapete cosa dovete fare? Andate per una strada: se ci arrivate è segno che era quella, se no, tornate addietro e pigliatene un’altra! – e risero entrambe.
Ma la figliastra che era buona e pietosa gli si avvicinò, dicendogli:
— Venite, galantuomo! vi condurrò io.
Il mendico voltò le spalle a quelle due cattive e scagliò loro una maledizione. — Che diventiate nere come la tenebra e brutte come il peccato! – disse in cuor suo, mentre si allontanava. Alla buona fanciulla, invece, come furono poco discosto dal villaggio, dètte la benedizione e le disse che domandasse tre cose ed egli gliele avrebbe accordate.
Essa pensò un momento poi disse:
— Mi piacerebbe d’essere bella quanto il sole – e divenne una creatura bellissima, bianca e lucente come il giorno. Poi soggiunse, dopo una pausa: – Vorrei avere in tasca un borsellino che fosse sempre pieno di danaro – ed ebbe il borsellino. Ma il Signore l’interruppe:
— Non ti scordare il meglio, bada!
— Voglio la salvezza infinita – riprese la fanciulla.
Anche ciò le promise il Signore. Quindi si lasciarono.
Come le due donne, che erano diventate nere di pelle e brutte di fattezze, videro tornare a casa l’altra che aveva il più bel carnato ed i più bei tratti che donna bella possa desiderare, s’invelenì il loro malo animo e cercarono ogni mezzo per far soffrire e piangere la loro rivale.
Però, la figliastra aveva anche un fratello, a nome Reginaldo che teneramente l’amava e spesso la veniva a visitare. Ella sfogava con lui le sue pene ed egli la confortava. Come l’ebbe veduta tanto bella e bianca le disse: — Senti; sorellina mia, io ti voglio tanto bene che non posso stare senza vederti. Ti farò il ritratto e così mi starai sempre davanti agli occhi.
— Bada che nessun lo veda! – disse tosto la ragazza.
— Non dubitare.
Il fratello si mise subito a dipingere e quando ebbe finito il ritratto e gli parve somigliante, se lo portò via lassù nel castello del re dove serviva come cocchiere e se lo mise in camera. Tutti i giorni guardava la bellissima immagine, le dava il buon giorno e la buona sera e ringraziava Dio d’avergli dato una sorella così bella e così buona.
Si dava, per l’appunto il caso che a quel re fosse da poco tempo morta la moglie, e questa donna fosse stata la più bella fra le belle, così che il vedovo era in gran lutto e tristezza.
I servi intanto avevano osservato come Reginaldo ogni giorno, si fermasse più volte davanti alla tela che aveva appesa alla parete della sua camera e vi rimanesse in contemplazione, e colpiti anch’essi dalla bellezza di quella fanciulla che il pennello vi aveva ritratta, andarono finalmente dal re e gli svelarono la cosa. Il re ordinò subito che gli fosse mostrato il quadro e come ebbe veduto quella stupenda figura, che era in tutto rassomigliante alla sposa morta, anzi più bella, se ne accese e volle sapere dal cocchiere che cosa fosse quel dipinto, se una immagine ideale oppure un ritratto. Reginaldo disse sinceramente e senza esitare quello non esser altro che il ritratto della sorella sua. E il re risolvè di non sposare altra donna che la fanciulla bellissima, sorella del suo cocchiere.
Presto, presto, ordinò a Reginaldo che andasse con un bell’equipaggio dalla sorella, le portasse un magnifico abito di teletta d’oro tutto ingemmato e un ricco diadema e gliela conducesse al castello, perchè fossero celebrate le nozze.
Allorchè Reginaldo arrivò col messaggio reale, la sua sorellina provò una gran gioia. Ma l’altra ragazza, soffocata dall’ira, mosse alla madre acerbi rimproveri.
— Con tutto il bene che mi vuoi – diceva – tu non sei buona a procurare a me una fortuna come questa!
La vecchia che era una strega rispose:
— Aspetta e lascia fare a me.
E, subito dopo, gli occhi del cocchiere si velarono in modo che egli non potesse più bene discernere cose e persone e la figliastra diventò sorda da un orecchio.
Montarono in carrozza tutte quante. La fidanzata in veste d’oro col diadema in capo sedeva da un lato e le due brutte femmine nere le sedevano accanto, Reginaldo risalì in serpa e con una frustata si misero in cammino.
Dopo breve tratto, il cocchiere cominciò a gridare strada facendo:
«Cuopri, cuopri, o sorellina,
Quell’assetto da regina,
Acciò pioggia, non ti bagni,
Acciò vento non t’arruffi,
Acciò polve non ti offuschi
E tu giunga fresca e bella
Dal tuo re, come una stella!»
La fanciulla che udiva un mormorìo senza intendere le parole domandava:
— Che cosa dice il mio fratello?
Rispondeva la vecchia:
— Dice che devi levarti di dosso il vestito di teletta d’oro ingemmato e farlo mettere alla tua sorella.
Le due fanciulle fecero il cambio. Quella nera ebbe la veste magnifica, piena di gemme: quella bianchissima una cappa bigia, tutta toppe e scolorita.
Intanto andavano avanti, chè Reginaldo frustava i cavalli e quelli correvano a trotto serrato. E di nuovo il giovanotto, lassù, impettito sul suo sedile diceva parole che la sorella non afferrava:
«Cuopri, cuopri, o sorellina,
Quell’assetto da regina,
Acciò pioggia, non ti bagni,
Acciò vento non t’arruffi,
Acciò polve non ti offuschi
E tu giunga fresca e bella
Dal tuo re, come una stella!»
per cui essa domandava:
— Che cosa mi dice Reginaldo? La vecchia rispondeva:
— Vuole che tu ti levi quel diadema e tu lo metta in capo alla tua sorella.
La fidanzata obbedì, credendo che il fratello glielo avesse ordinato. E Reginaldo frustava frustava, e i cavalli trottavano per l’impazienza di arrivare.
Ma quando il cocchiere ripetè le stesse parole per la terza volta e la fanciulla, richiestane la matrigna, n’ebbe in risposta che doveva sporgere il capo fuori della carrozza e s’affacciò, le due femmine perverse, l’afferrarono per i piedi e la buttarono di sotto. Passavano lungo un’acqua corrente e profonda, ed essa vi cadde di scoppio ed annegò. Ella sparve, ma subito sull’acqua fu veduta un’anatra bianca nuotare lungo la via, verso il castello.
Giunsero alla reggia e Reginaldo, cammin facendo non si era accorto di nulla. Sicchè aiutate a smontare dalla carrozza le donne, prese per mano quella di cui, attraverso il velo che aveva sugli occhi, vedeva splendere l’abbigliamento, e le menò davanti al re. Ma non appena il re ebbe veduto quelle bruttaccie dalla pelle nera come il carbone, credè che il cocchiere lo avesse burlato e lo condannò a morire rinchiuso in una fossa che era piena di serpi e di tanti altri butti e cattivi animali.
La strega intanto era riuscita ad offuscare la vista anche al re, e tanto fine arti adoperò insieme con la figliuola che il pover’uomo, imbrogliato e ingabolato fece le nozze con la sua falsa promessa sposa.
Una volta, dopo lungo tempo – era di sera – sedeva la negra regina accanto al marito e gli faceva moine, quando venne giù nuotando per un canaletto che attraversava la cucina, un’anatrina bianca che fermatasi sull’orlo a guardare lo sguattero il quale stava lì a far pulizia, gli disse:
«Giovinottello, accendi tosto il fuoco
Perchè mi voglio rasciugare un poco!»
e mentre egli lo attizzava dentro il camino, essa gli faceva domande e nell’asciugarsi col becco penna per penna continuava ad interrogarlo:
«Dimmi, ragazzo, mi puoi raccontare
Dov’è Naldino, il mio caro fratello?»
egli rispondeva:
«In una fossa l’han fatto gettare
Fra serpi e rospi, là, fuor del castello»
e l’anatra di nuovo:
«La strega nera sai dirmi dov’è?»
ed egli:
«Sta calda calda sul trono del re»
e l’anatra ancora, con gli occhi rossi, sospirando:
«Che Dio perdoni
A streghe e birboni!»
E dette queste parole tornò al rio e si allontanò.
La sera dopo riapparve allo sguattero che era in cucina e gli fece le stesse domande, e quell’altra sera ancora. A quel punto, il giovanotto non potè più tacere e raccontò l’accaduto al re. Questi, sdegnato, si appostò in cucina la sera seguente, aspettando la bestiola, e quando la vide comparire, sguainò la spada e la trapassò.
L’anatra cadde, ma dalle penne candide uscì fuori una fanciulla bellissima, somigliante perfettamente al ritratto che il povero Reginaldo si teneva in camera con tanto amore. Il re la ravvisò, ricolmo di allegrezza; e perchè la vide tutta bagnata, ordinò che le fossero portati altri vestiti ricchissimi e sfarzosi.
Com’essa gli ebbe raccontato tutte le peripezie del viaggio e le vicende dolorose della sua vita, domandò grazia per il fratello che fu subito liberato.
Alle malvagie femmine, che nulla sapevano dell’accaduto, toccò la sorte che si meritavano.
Il re andò ad esse e domandò alla vecchia:
— Che cosa fareste ad una persona che ammazza, inganna e ruba la felicità de’ suoi simili? Consigliatemi.
— Io, un mostro simile lo farei chiudere in una botte foderata di punte di ferro, poi attaccherei la botte ad un cavallo focoso che la dovrebbe portar via di carriera all’impazzata, sbatacchiandola per monti e per valli fin che tutto andasse in frantumi, la botte e chi c’è dentro – essa rispose.
In quel punto essa e la figlia furon prese, legate, chiuse in una botte foderata di punte di ferro e la botte fu legata ad un cavallo focoso che se la portò via di carriera, sbattendola sui balzi, sui sassi, contro gli alberi fin che tutto andò in frantumi, la botte e chi c’era dentro.
Il re andò sposo alla fanciulla bianchissima e ricompensò il fratello fedele, dandogli un regno e facendolo ricco e felice.