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Fiabe dei fratelli Grimm Fiabe per bambini

I nati d’oro

Una fiaba dei fratelli Grimm

C’era una volta un pover’uomo e una povera donna che non avevano che la loro piccola capanna, si nutrivano di pesce, e campavano miseramente.

Un giorno, il marito stava in riva all’acqua ed aveva gettato la rete, rimase a bocca aperta quando nel ritirarla vi trovò un pesciolino d’oro. Mentre egli lo guardava, il pesce cominciò a parlare e disse così:

— Caro pescatore, se mi ributti nell’acqua farò della tua capanna un bel castello.

— Cosa vuoi che mi faccia d’un castello io, se non ho da mangiare?

— Ho pensato anche a questo. Nel castello vi sarà un armadio nel quale ogni volta che l’aprirai troverai vivande squisite e vino del migliore.

— Se è così, fa’ come vuoi!

— Bada, ad un patto che tu non dica a nessuno da chi hai avuto questa fortuna. Se dici una parola, torni povero come prima.

Il pescatore ributtò nell’acqua il pesce e tornò a casa. Appena arrivato, trovò al posto della sua catapecchia, un bel castello. Con gli occhi sbarrati vi andò dentro e vide la moglie, ben vestita, seduta in mezzo ad una stanza magnifica. Essa era tutta allegra e gli diceva:

— Come sono contenta! Ma da dove abbiamo questa fortuna?

— Sono contento anch’io – rispose il marito – ma ho una gran fame! Dammi da mangiare

— In questa casa non c’è niente.

— Sta tranquilla, va’ di là ed apri quel grande armadio che troverai.

Essa aprì l’armadio e vi trovò ogni ben di Dio. Felice, fuori di sè per la gioia, apparecchiò la tavola, ed entrambi si posero a mangiare. Come fu sazia, la donna si mise a riflettere e cominciò a tormentare il marito perchè le spiegasse come avessero avuta tanta fortuna. Il pescatore duro, ostinato, non rispondeva. L’altra dètte in smanie, pianse, fece le bizze come i bambini ed arrivò a dirgli che se non sapeva come fosse loro toccata quella fortuna, essa era infelice e non ne poteva godere. Il pover’uomo, seccato, tormentato di giorno e di notte a quel modo, – ebbene – disse – mi venne preso con la rete un pesce d’oro che mi chiese la libertà ed in cambio mi promise il castello e le ricchezze: io lo feci tornare nell’acqua e lui mantenne la promessa. Sei contenta, curiosaccia?

All’istante sparì il castello con l’armadio pieno di capponi arrosto, di torte e di vini; sparirono le ricche vesti, sparì ogni cosa, e i pescatori si ritrovarono nella vecchia capanna poveri come prima.

— Te lo avevo detto? – disse alla moglie. – Ora siamo daccapo pezzenti e non c’è rimedio.

Riprese la sua rete e tornò a pescare per non morire di fame e di nuovo gli venne nella rete il pesce d’oro che gli fece la stessa preghiera e la stessa promessa con la condizione di non rivelare il mistero a nessuno. Così nuovamente i pescatori ebbero e castello e vivande e vesti e tutti i comodi della vita. Ma di nuovo la curiosità della donna fu tanta che fece sparire ogni cosa come la prima volta e li ripiombò nella miseria.

— Non t’è bastato una volta! – gridò il marito. – Era meglio se piuttosto che darti retta m’affogavo! – Ma le lagnanze e le imprecazioni non valsero a nulla. Poveri erano e poveri dovevano stare. L’uomo se ne tornò a pescare e per la terza volta acchiappò il pesce d’oro.

— Senti: – gli disse il pesce – si vede che proprio è destino che ti caschi sotto le grinfie. Facciamo così: tu mi porti a casa tua, mi tagli in sei pezzetti, due ne fai mangiare alla tua donna, due al cavallo, e due li sotterri. In questo modo farai la tua fortuna.

Il pescatore fece quanto gli aveva detto il pesce. E poco tempo dopo, dove aveva seppellito i due pezzi di pesce spuntarono due gigli d’oro, al cavallo nacquero due poledrini d’oro, e alla moglie due gemellini d’oro. I bambini crebbero e si fecero ogni giorno più belli, e i poledri e i gigli come loro.

Un giorno questi ragazzi dissero al padre:

— Babbo, noi vogliamo montare in groppa ai nostri bei cavalli e andare a vedere il mondo.

Rispose egli impensierito ed afflitto:

— Come devo fare io a vivere senza di voi e senza sapere dove siete e se siete vivi o morti?!

Essi ripresero:

— Questi due gigli d’oro ti rimangono. Da loro saprai le nostre nuove. Se sono freschi è segno che siamo vivi e sani: se appassiti, siamo malati: se si sfarfallano, siamo morti.

Così se ne andarono e giunti ad un’osteria vi entrarono. Appena la gente li vide e vide i cavalli se ne prese beffe. Uno di essi ebbe vergogna del motteggio, si rimise a cavallo e tornò a casa; l’altro riprese il cammino ed arrivò ad un gran bosco. Allorchè vi entrò, la gente disse di non arrischiarvisi perchè era pieno di briganti che certo lo avrebbero preso ed ucciso insieme col suo cavallo, per essere in possesso di tanto peso d’oro. Ma egli non ebbe paura e tirò avanti. Quando vi fu dentro prese alcune pelli d’orso e ne vestì sè e l’animale in modo che neppure un filo d’oro facesse capolino. Così proseguì la sua strada tranquillo e sicuro del fatto suo. Come ebbe mosso qualche passo, un fruscìo dentro la siepe e un sussurrare fitto e leggiero lo avvertì che i briganti erano nascosti e si mettevano d’accordo per aggredirlo. Uno diceva: — Piglialo! – e un altro: — Lascialo andare! Non vedi che è un orso più povero di Giobbe? – E il giovanotto potè attraversare il bosco ed uscirne salvo.

Un giorno arrivò in un villaggio e, veduta una bellissima ragazza, che gli parve la più bella fra quante ce ne sono nel mondo, se ne invaghì. Senza andar tanto per le lunghe, le si fece accosto e le disse: — Bella figliuola, sei bella e ti voglio bene: vuoi essere la mia sposa? – Il giovanotto piacque anche a lei che per non perdere il tempo rispose: – Volentieri e ti sarò fedele per tutta la vita. – Fecero le nozze immediatamente e mentre gli sposi si rallegravano della buona idea che avevano avuto, sopraggiunse il padre della ragazza, il quale trovò un po’ strano quel modo spicciativo di concludere i matrimoni e le chiese:

— Dov’è lo sposo?

Essa gli additò il giovanotto d’oro che aveva ancora la pelle d’orso addosso.

— E tu vuoi essere la moglie d’un pelle d’orso? Mai e poi mai te lo permetterò. Non voglio! – e andò per uccidere il genero. Ma la figlia lo pregò a mani giunte di lasciarle stare il suo caro orsino che ormai era il marito suo e che essa amava. Il padre fece a modo della ragazza, ma non rimase persuaso. La mattina presto balzò dal letto e corse a vedere se lo sposo fosse un orso oppure un uomo, ed appena ebbe messo un occhio al buco della chiave, vide che non solo era un giovanotto ma che era tutto d’oro e la pelle d’orso era in terra. Tornò via contento, felicitandosi di aver saputo moderare e vincere il proprio sdegno.

Lo sposo intanto aveva sognato d’essere a caccia e di rincorrere un bellissimo cervo e appena sveglio disse alla moglie: — Voglio andare a caccia davvero! – La giovane quasi avesse un presentimento, fu colta di paura e lo scongiurò di rimanere, dicendogli che poteva accadergli una disgrazia. Ma lo sposino rispose che doveva andar via e la lasciò. Appena si mise a cacciare, comparve un bellissimo cervo come lo aveva sognato. Egli puntò la carabina e volle sparare, ma la bestia fuggì. Si dette a rincorrerla, saltando per i dirupi e si affannò invano fino a sera tarda, chè il cervo dopo avergli fatto molte cilecche, sparì. Il giovanotto si guardò intorno e vide una casina, che era d’una strega. Appena egli ebbe bussato all’uscio, una vecchietta si affacciò a domandargli che cosa volesse a quell’ora nel fitto del bosco. Egli disse: — Avete visto un cervo, così e così…? – ed ella:

— Eh! quel cervo lo conosco bene, io! – intanto un cagnolino che era uscito dietro la vecchia abbaiava al forestiero.

— Ti vuoi chetare, brutto rospo? – gridò il giovanotto, e soggiunse: – Se non ti cheti t’ammazzo! – e fece atto di puntar l’arma.

Gridò all’istante la vecchia:

— Vuoi ammazzare il mio canino! Aspetta! – e ratta lo incantò facendolo rimanere lì disteso in terra come un pezzo di pietra.

La sposa lo aspettava invano sospirando: — Ah! quel che il core mi diceva è stato vero! – Ed a casa l’altro fratello guardando il giglio, esclamava:

— Dio mio, al mio fratello è avvenuta una gran disgrazia! Bisogna che vada a soccorrerlo e faccia di tutto per salvarlo.

Il padre lo voleva persuadere a restare, perchè era vecchio e non voleva perdere tutti i figli suoi. Ma il giovanotto ripetè che doveva andare e non si lasciò rimovere.

Montato sul cavallo d’oro, di galoppo andò nel bosco, dove il fratello giaceva, in terra pietrificato. La vecchia strega uscita dalla casupola, lo chiamò e voleva incantare anche lui; ma egli non si fece vicino e le disse: — T’ammazzo se non rendi la vita al mio fratello! – Essa toccò sebben malvolentieri, il sasso con un dito e il cacciatore riprese subito i sensi e la vita.

I due figli d’oro provarono una grande allegrezza nel rivedersi. Si abbracciarono ed uscirono insieme di galoppo dalla foresta: l’uno tornò subito a casa, l’altro dalla sposa.

Come il padre rivide il figlio, gli disse tutto contento:

— Io sapevo, sai, che avevi salvato il tuo fratello! Figurati che il giglio che era seccato s’è drizzato sullo stelo ed ha rifatto fiori!

Dopo vissero tutti lungamente felici fino all’ultimo giorno.

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