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La fiaba del Re

Fiaba di Luigi Capuana

C’era una volta un Re, il quale, dopo una grave malattia, cominciò a sentire grandissima noia di tutto. I Ministri tentavano ogni mezzo per distrarlo.

Appena però gli parlavano di affari di Stato, egli rispondeva con aria stanca:

– Fate voi! Fate voi! Lasciatemi in pace.

Certamente, questo non poteva dispiacere ai Ministri; ma, in parecchie occasioni, essi avrebbero evitato volentieri qualche responsabilità; coi Re non si sa mai! E per ciò non lasciavano niente d’intentato per farlo tornare alla vita attiva di una volta.

Gli tenevano compagnia, gli raccontavano barzellette, storielle, anche fiabe come a un bambino.

Ma il Re stava ad udirli svogliatamente, e cominciava quasi subito a sbadigliare. Dapprincipio metteva una mano davanti alla bocca, per contegno; poi abbandonava il capo su la spalliera della poltrona e si sfogava:

-Ahaa! Ahaaa! Ahaaaa!

E, allora, i Ministri, uno dietro all’altro:

– Ahaa! Ahaaa! Ahaaa! – con le mani davanti alla bocca, per rispetto di Sua Maestà, fino a quando, non potendo resistere, sbadigliavano senza nessun ritegno, in coro col Re.

Arrivato il momento che non ne potevano più, fatto un inchino, scappavano via, per paura che gli sbadigli non squarciassero loro le bocche.

E quasi ogni giorno tenevano consulti, discutendo lunghe ore intorno a quel che avrebbero potuto proporre a Sua Maestà per vederlo uscire da quello stato.

– Per me – disse un giorno uno dei Ministri – l’unico rimedio è trovare una diecina di Buffoni, di quelli che con le lor smorfie, coi salti, con gli strilli farebbero ridere un morto, e condurglieli improvvisamente davanti. Ne vedremmo subito gli effetti.

– Ma che! Ma che!

– Sinora il popolo non sa niente di questa gran noia del suo Sovrano. Dobbiamo fargliela apprendere tutt’a un tratto?

– Dite bene. Potrebbero sospettare chi sa che cosa!

– E se ci travestissimo noi da Buffoni? Non ci vuole poi grand’arte per fare quattro smorfie e quattro salti!

L’idea del Primo Ministro fu approvata: e ognuno di loro si procurò – segretamente – il vestito adatto. Indossatili, si dipinsero il viso col nerofumo e col rossetto, e nella sala dove solevano tenere riunioni per gli affari di Stato, cominciarono a provarsi, imitando i gesti, i salti, gli strilli dei Buffoni più noti.

Il Re passeggiava, a capo chino, con le braccia dietro la schiena, su e giù per un salone del suo appartamento, quando vide irrompere dall’uscio quei sette – i Ministri erano sette – che parevano tanti indemoniati. Saltavano, sghignazzavano, facevano capriole, si prendevano per mano e giravano giravano attorno al Re, che, còlto alla sprovvista, non sapeva in che modo schermirsi. Ma invece di ridere, come quelli avevano sperato, diventava in viso sempre più tetro, quasi feroce. All’ultimo, diede un pugno a questo, un calcio a quello, uno spintone a due altri, e appena la rabbia gli permise di parlare, gridò:

– Sapevo di avere Ministri ladri… ma buffoni, no davvero!

– Perdono, Maestà!

– L’intenzione era buona!

– Ci dispiace di vederlo così oppresso dalla noia; e potrebbe essere l’uomo più felice della terra!

– Ve l’ho detto, ve l’ho ripetuto: Vorrei avere una cosa che!… E nessuno è buono di trovarmela!

– Una cosa… che…?

– Non mi fate il verso!

E i Ministri si stillavano il cervello:

– Che cosa poteva mal essere quella cosa… che…? Forse :non lo sapeva neppur lui.

Ogni volta che i Ministri ne facevano una troppo grossa, il popolo mormorava forte:

– Ma il Re non ha occhi per vedere? Non ha orecchi per sentire?

Uomini, donne, vecchi, bambini si affollavano davanti al palazzo reale, gridando:

– Viva il Re! Vogliamo vedere il Re!

Si affacciava a un balcone il più vecchio dei Ministri: – Silenzio! Il Re riposa; non lo disturbate! – Vogliamo vederlo!

– Ha un forte mal di capo!

– Vogliamo vederlo! Almeno vederlo!

Quel giorno, in mezzo alla folla, c’era una vecchina che strillava più di tutti e agitava per aria il corto bastone che le serviva da appoggio camminando.

Nessuno la conosceva, nessuno l’aveva mai vista, e sentendola gridare e vedendo quel suo scarno braccio che agitava il bastone, a poco a poco, la gente era stata presa dalla curiosità, e aveva fatto cerchio attorno a lei, dimenticandosi di gridare:

– Vogliamo vedere il Re! – come quella vecchina, che pareva una spiritata e continuava a strillare, agitandosi per conto suo. Dal palazzo reale era uscito un drappello di guardie con le daghe sfoderate per disperdere la folla. Vedendo che, ormai, soltanto quella vecchina insisteva a gridare con quanta voce aveva in gola, le guardie si fecero largo fino a lei.

– State zitta, vecchiaccia!

Come se dicessero a un muro. Vedendo che non c’era verso di farla tacere, una guardia la prese per un braccio, un’altra per un polso, e la condussero dentro il portone del palazzo reale.

– Chi siete? Che volete?

– Voglio vedere il Re! Salgo su.

E prima che le guardie potessero impedirglielo, essa si slanciava rapidamente pel grande scalone – pareva che avesse le ali! – entrava nell’anticamera, infilava un largo corridoio – lei avanti, le guardie dietro, ansimanti, quasi avessero corso parecchie miglia, – e poteva essere fermata a stento, davanti all’uscio delle stanze del Re.

Alle grida, al rumore, erano accorsi i Ministri.

– Chi siete? Che volete?

– Voglio parlare con Re!

– Il Re dorme.

– Svegliatelo!

I Ministri si misero a ridere; quella donna andava per le spicce.

– Sua Maestà non vuol essere mal svegliato; si sveglia da sé, alla sua ora.

– Aspettiamo la sua ora! È dormiglione?

I Ministri si misero a ridere nuovamente.

– Dico così, perché ho fretta, e non posso tornare un’altra volta.

– Tali cose d’importanza dovete dire a Sua Maestà? Intanto potreste dirle a noi che siamo i suoi Ministri. Gliele riferiremo appena sarà sceso dal letto.

– Allora!…

E la vecchina cominciò a picchiare forte ad un uscio, chiamando:

– Maestà!… Dormiglione!… Maestà]

I Ministri si contorcevano dalle risa. E la lasciavano fare, sperando che con quei modi da matta riuscisse a distrarre e a far ridere il Re.

Il Re spalancò l’uscio con stizza e comparve su la soglia. Si fermò, stupito di vedersi davanti quella vecchina trasandata, col bastone per appoggiarsi camminando.

– Ben levata, Maestà! Hai dormito bene, Maestà?

Il Re, sentendosi dare del tu, guardò negli occhi il Primo Ministro, che fece un gesto con la mano per indicare: È uscita di cervello.

– Mi seggo, Maestà! Sono stanca. E tu hai sempre dattorno questi figuri?

I Ministri, ora, non risero.

– Volevano sapere prima di te quel che devo dirti a quattr’occhi.

Il Re stava ad ascoltarla e, di tratto in tratto, provava strani abbagliamenti, come se quella donna gli si trasformasse davanti, ora con magnifici capelli biondi, ora con lunga chioma corvina, ora giovanissima, esile, ora di forme piene, robuste. E il colore dei vestiti mutava dal bianco, al celeste, al giallo, al rosso vivo, passando da questo a quello rapidissimamente.

Il Re chiudeva gli occhi, se li strofinava e si rivedeva davanti la vecchina vestita di nero, trasandata, col bastone che le serviva per appoggiarsi camminando.

– Sei stato molto malato, Maestà; ed ora ti annoi mortalmente… Qui stai bene, con tante finestre, con tanti saloni, uno più bello dell’altro. Lasciami vedere.

S’inoltrava di salone in salone, seguita dal Re, il quale, zitto, accigliato, tornava ad avere altri bagliori, a vedersela trasformare sotto gli occhi, bionda, bruna, vestita di rosso, di giallo, di bianco, di celeste, di stoffe tramate d’oro, e non sapeva che pensare.

– Sono stanca: torno a sedermi. Puoi sederti anche te, Maestà: sei in casa tua. Dunque dicevo?… Oh, su! scaccia via queste malombre. Perché ci vengono dietro?

Ma poi continuava, senza più curarsi della presenza dei Ministri:

– Io ti ho voluto sempre bene! Ti ho visto nascere, ti ho visto crescere. Venivo a trovarti nei sogni. Ricordi? No? Mi chiamavi: Faccia bella. Ricordi? No? Scherzo. Penso che i bambini vedono tante cose nei sogni; e che forse potresti aver veduto anche :me, o persona che mi rassomigliasse. No?… No?… Non sognavi da bambino? Per questo sogni ora, anche ad occhi aperti; ti si legge in viso!

Il Re stava ad ascoltarla sbalordito; i Ministri erano là, a bocca aperta, più sbalorditi di lui.

– La malattia di cui sei guarito, è cosa da niente, a petto di quella che ti rode l’anima e il cuore! Tu, Maestà, vuoi sapere chi sono io? Te lo dirò un’altra volta. E, se vuoi, ti porterò la cosa che… Tu smanii per averla; pensi ad essa il giorno; la sogni, la notte. Ti figuri che non potrai continuare a vivere, se non avrai finalmente la cosa che… Oh! Quasi quasi sarebbe meglio che tu continuassi a desiderarla senza mai giungere a possederla… 

– No! No!

– E se poi ti dispiacerà di averla avuta? E se poi ti pentirai di averla avuta? Dovrai prendertela con te stesso. Intanto, lo sai che hanno fatto costoro? Hanno messo nuovi balzelli, col pretesto che il Re ha bisogno di molto danaro.

– Perdono, Maestà!

– L’intenzione era buona.

– Volevamo fare un bando: Chi portava a Sua Maestà la cosa che… riceveva per ricompensa tant’oro quanto egli pesa.

– E l’oro è pronto? – domandò la vecchina.

– Per voi, basterebbe metà di quello già pronto.

– Vogliamo provare? Sarà un divertimento per Sua Maestà.

– Proviamo pure, giacché Sua Maestà lo permette.

Fecero portare una gran bilancia che due servi robusti reggevano a spalla con una stanga, e parecchi cesti ricolmi di monete d’oro. Che? La vecchina pesava di più? Pareva impossibile!

Aggiunsero nella coppa un altro cesto, e poi un altro… E la coppa dov’era accoccolata la vecchina non si sollevava affatto. Se non che nei cesti le monete si muovevano tintinnando, quasi rimescolate da mani febbrili e invisibili.

– Vedi, Maestà? Non servono. È meglio farle tornare nelle tasche della gente. Su, volate via poverine, ognuna al suo posto!

Parvero sciami di api che scappassero dalla finestra, tintinnando, luccicando, sbattendo sui vetri spalancati.

I Ministri che, approfittando dell’occasione, se n’erano prese, di nascosto, due manciate per uno, se le sentivano scappar via di tasca, e non facevano il minimo gesto per fermarle, dalla grande paura di esser scoperti dal Re.

E quando le monete d’oro furono volate tutte via, la vecchina prese il bastone, si mise a cavalcioni di esso, e dicendo:

– A rivederci fra otto giorni, Maestà! – volò via anch’essa per la finestra, e sparì.

Quella giornata fu allegra per tutti, meno che pei Ministri. La gente sentiva un peso nelle tasche, ficcava una mano: – To’! Una moneta! – To’! Due, tre monete!

E non sapevano spiegarsi quel prodigio!

Otto giorni dopo, la vecchina ricomparve nel portone del palazzo reale.

– Salgo su, dal Re!

E prima che le guardie potessero impedirglielo, montava rapidamente pel grande scalone e pareva che avesse le ali! -lei avanti, le guardie dietro, ansimanti per la corsa, e picchiava all’uscio della stanza del Re.

-Maestà!… Dormiglione!… Maestà!

Accorse ansiosamente il Re, che rimase male non vedendole niente in mano, fuorché il bastone.

– E la cosa che…?

– Non l’hai vista? È in camera tua, sul tavolino.

Il Re si precipitò là, ma la vecchina lo trattenne a certa distanza.

Su una larga striscia di panno scuro, tremolava, formicolando di mille colori, una gran bolla di sapone. Tutte le pietre preziose – smeraldi, rubini, topazi, zaffiri, ametiste, turchesi – ridotte liquide, parevano rincorrersi attorno, in alto, in basso, e davano a quella gran bolla l’aspetto di cosa vivente.

– Vedi Maestà? – disse la vecchina: – là c’è tutto: speranze, lusinghe, gioie, dolori, disinganni, sciocchezze… tutto! Che ti eri immaginato? Là c’è tutto… e non c’è niente. Un soffio più forte dell’ordinario, un piccolo urto basteranno a farla scoppiare.

– Oh, com’è bella! Com’è bella!

Il Re non si saziava di ammirarla.

– L’hai avuta dentro di te e non ti sei accorto di possederla… – soggiunse la vecchina.

Ed ecco che il Re prova nuovamente gli abbagliamenti dell’altra volta, come se quella vecchina gli si trasformasse davanti, ora bionda, ora bruna, ora giovanissima, esile, ora di forme piene, robuste; ora vestita di rosso, o di giallo, o di bianco, o di celeste, di stoffe tramate di oro… e non sapeva che pensare!

Chiudeva gli occhi, se li strofinava, e si rivedeva davanti la vecchina vestita di nero, trasandata, col bastone che le serviva di appoggio camminando.

Ma la cosa che – egli non sapeva esprimersi altrimenti – era ancora là, formicolante dei più vivi colori. Se non che, ammirando: – Oh, com’è bella! Com’è bella! – egli non poteva far a meno di soggiungere: – E non è altro! Una gran bolla di sapone! Non è altro! La vecchina ha ragione. L’ho avuta dentro di me, per anni ed anni, e non mi son mai accorto di possederla!

– Chi siete? Voi siete una Fata benefica! – egli esclamò, buttandosi ai piedi della vecchina.

– La vera Fata benefica è la tua giovinezza che non può più vivere fantasticando la cosa che…

La vecchina gli svaniva lentamente davanti quasi si allontanasse, si allontanasse sorridendo.

E dietro ad essa, un leggero soffio spinse, per poco, la bolla iridata, che all’aria aperta scoppiò, lasciando cascar giù poche stille di acqua torbida.

Da principio, il Re sentì un vuoto nel suo cuore, e nel suo cervello; ma di mano in mano ch’egli riprendeva la vita attiva provava un gran sollievo, si sentiva più giovane, più vivo, più uomo; e quando voleva indicare qualcosa di triste, di vuoto, esclamava sdegnosamente:

– Come al tempo della cosa che…!

E per ciò questa fiaba vien chiamata:

La fiaba del Re

Che voleva una cosa che…

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