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Fiabe di Gian Dàuli Fiabe per bambini

Nannino e Ghita / Hansel e Gretel

Fiaba di Gian Dàuli

C’era una volta un povero spaccalegna che abitava con la moglie e due bambini vicino ad un grande bosco. Il figlio maschio di questo spaccalegna si chiamava Nannino e la bambina Ghita. Poverissimo com’era, quando il paese fu colpito da carestia, si trovò in condizioni di tale miseria, da non poter neppur procurare il pane alla sua famigliola. Una sera, a letto, non poteva liberarsi dai suoi pensieri angosciosi e si rivoltava senza poter prendere sonno. Ad un tratto disse alla sua donna:

— Che cosa sarà di noi? Come potremo sfamare i nostri poveri figli, mentre non abbiamo abbastanza pane neppure per noi?

— Mio caro – rispose la donna – domattina condurremo i nostri bambini nel folto del bosco, accenderemo loro un bel fuoco, e li lasceremo soli. Essi non troveranno più la strada per ritornare a casa e così ne saremo liberati per sempre. Ti pare?

— Moglie mia, non farò mai questo che tu mi proponi. Come potrei avere il cuore di abbandonare così i miei figliuoli? Le bestie feroci non tarderebbero a scoprirli nel bosco e sarebbero divorati.

— E allora – rispose la moglie – non ti resta altro da fare che andare a tagliare le assi per far loro le casse da morto. Sta pur certo che in breve moriranno di fame tutt’e due, e noi faremo la stessa fine.

La donna tormentò tanto quel povero uomo che egli finì con l’acconsentire.

— Farò come vuoi; ma soffro tanto per i miei poveri piccini! – concluse lo spaccalegna.

Nannino e Ghita, che non avevano potuto addormentarsi per la fame, avevano udito tutto quello che la matrigna aveva detto al loro padre.

La piccola piangeva a calde lagrime e diceva al fratellino:

— Siamo bell’e fritti, povero noi!

— Zitta Ghita – rispondeva il maschietto, – non rattristarti. Penserò io al modo di salvarci.

Lasciò passare un po’ di tempo, e appena i genitori presero sonno, infilò il suo vestitino, aprì la porta d’entrata e scivolò fuori nella notte, rapidamente.

Lo splendore limpidissimo della luna illuminava talmente i piccoli sassi che stavano davanti alla casa da farli brillare come lucenti monete. Nannino si curvò e ne mise nel taschino del vestito tante quante ce ne potevano stare; poi ritornò e disse alla sorella:

— Coraggio, Ghita, e dormi tranquilla. Il Signore ci aiuterà!

E si diresse sul letto dove non tardò a prendere sonno.

Appena spuntato il giorno, la donna andò a svegliare i due piccoli.

— Suvvia, pigroni! Bisogna andare nel bosco a far legna.

Poi, secondo come aveva deciso, diede a ciascuno dei due, un misero pezzo di pane. E raccomandò:

— Questa è la vostra colazione per mezzogiorno. Vi raccomando di non mangiarne prima, perchè non ve ne Posso dare un pezzo più grande.

Ghita mise i due pezzi di pane sotto al grembiale perchè Nannino aveva le tasche piene di ciottoli. Poi tutta la famiglia si avviò verso il bosco.

Il maschietto camminava silenzioso volgendo indietro il capo continuamente.

Il babbo gli chiese:

— Nannino, che cosa guardi con tanta insistenza? Sta piuttosto attento alla strada ch’è assai lunga ancora.

— Babbo – rispose il bambino – non posso staccare gli occhi dal malo gatto bianco che è là sopra il tetto e mi guarda come se volesse dirmi addio.

Ma la matrigna gli gridò:

— Stupido, non è il tuo gatto! È il primo sole dell’alba che appare dietro al camino.

Ma Nannino non guardava affatto il gatto, bensì il sentiero su cui lasciava cadere i sassolini bianchi lentamente e continuamente.

Giunti nel mezzo del bosco, lo spaccalegna si rivolse ai figliuoli:

— Coraggio, ragazzi, andate a far legna! Voglio accendervi un bel fuoco, perchè quì il freddo si fa sentire!

I due piccoli portarono dei rami secchi e ne fecero un mucchietto.

Quando la fiamma si alzò crepitando, la matrigna disse ai bambini:

— Ora mettetevi vicino al fuoco e riposatevi. Noi andiamo a spaccar legna. Verremo a prendervi quando avremo finito.

Nannino e Ghita sedettero vicino al fuoco, e a mezzogiorno ognuno mangiò il proprio pezzettino di pane. Sentivano i colpi dello spaccalegna e credevano che il loro babbo fosse vicino a loro.

Ma quel rumore veniva invece da un ramo ch’egli aveva legato ad un albero secco e che batteva contro il tronco ad ogni colpo di vento.

Dopo qualche tempo Ghita sentì che gli occhi le si chiudevano dalla stanchezza:

— Ho tanto sonno, Nannino, – disse con voce stanca.

Allora il fratellino le mise il braccio intorno alla spalla come per proteggerla.

— Stendiamoci, Ghita! – mormorò.

E così i due piccoli si addormentarono insieme senza nemmeno accorgersi.

Era già notte fatta quando si svegliarono.

Ghita cominciò a piangere e a lamentarsi:

— Come usciremo dal bosco? È così buio!

Ma ancora Nannino trovò la maniera per consolarla:

— Troveremo la strada certamente quando sorgerà la luna.

E infatti, quando la luna piena illuminò il cielo, il bambino prese per mano la sorellina e, seguendo la traccia dei ciottoli che brillavano come monete nuove di zecca, ritrovarono la loro strada. Camminarono tutta la notte e solo allo spuntar del giorno arrivarono alla loro casetta.

Bussarono alla porta. La matrigna andò ad aprire e appena li vide esclamò:

— Cattivi bambini! Perchè avete dormito tanto tempo nel bosco? Vostro padre ed io abbiamo creduto che non voleste più ritornare a casa.

Il babbo però in cuor suo era contento: il pensiero di averli lasciati così soli nel bosco gli straziava l’anima.

Però la miseria si faceva sentire sempre più cruda nella casetta dello spaccalegna. E un’altra notte i bambini udirono la matrigna che diceva al marito:

— Ormai tutto è consumato: in casa non abbiamo più che una sola pagnotta! Bisogna mandar via i bambini. Li condurremo ancora nel bosco, ma più lontano, e questa volta non troveranno certo la strada per ritornare a casa.

Lo spaccalegna si sentiva stringere il cuore e pensava:

— Sarebbe molto meglio dividere fino l’ultimo boccone di pane coi nostri figli.

La donna invece non voleva sentir ragioni e gridava facendogli ogni sorta di rimproveri.

Purtroppo, quando si è già presa una strada, bisogna continuare per quella. Così lo spaccalegna che aveva già acconsentito la prima volta a questa cattiva azione, dovette cedere anche la seconda.

Quando tutti dormivano, Nannino disse alla sorellina:

— Penso di fare come l’altra volta: di andar fuori a raccattare sassolini.

Ma la matrigna questa volta aveva chiuso la porta e il piccolo dovette ritornare a letto senza aver fatto quello che voleva. Ciononostante cercò di consolare la piccina:

— Non piangere, sorellina, e cerca di dormire tranquilla. Il Signore non ci abbandonerà.

Il giorno di poi, per tempo, la donna fece alzare i due piccini e diede loro un pezzetto di pane ciascuno, ma ancor più piccolo dell’altra volta.

Strada facendo per andare al bosco, Nannino lo sminuzzava nella tasca e silenziosamente ne lasciava cadere le briciole a terra.

La matrigna condusse i bimbi nel centro della foresta in un punto dove non erano mai stati dacchè erano al mondo. Accese un gran fuoco e disse loro:

— Bambini, rimanete qui tranquilli! Se sarete stanchi potrete dormire. Noi andiamo nel bosco a spaccar legna. Ritorneremo a prendervi quando avremo finito il nostro lavoro.

Verso mezzogiorno Ghita divise il suo pezzetto di pane col fratellino che aveva sbricciolato il suo per la strada. Poi tutt’e due si addormentarono. Passò l’intero pomeriggio, scese la sera, ma nessuno venne a prendere i due poveri piccoli. Solo a notte tarda si svegliarono e Nannino dovette ancora consolare la sorellina che piangeva dirottamente:

— Appena spunterà la luna troveremo i pezzetti di pane che ho sparso lungo la strada e che ci segneranno la via del ritorno. E quando sorse la luna, si misero in cammino, ma non trovarono più le briciole. Le migliaia di uccelli che abitavano la campagna e la foresta se le eran portate via.

Continuarono a camminare per tutta la notte, poi camminarono anche per tutto il giorno seguente, dalla mattina alla sera, senza poter uscir dal bosco. Ed erano affamati poichè non avevano preso altro cibo che le poche bacche che trovavano lungo la strada.

Se non avessero trovato soccorso, avrebbero dovuto morire. A mezzogiorno videro un uccellino bianco come la neve che, stando su un albero, cantava tanto bene che i due bambini trattennero il respiro per ascoltarlo. Finito il canto la bestiola scosse le penne e volò fermandosi davanti a loro. Stette un istante fermo, poi si mise a saltellare come per invitarli a seguirlo. E i due piccoli, meravigliati, lo seguirono.

Arrivarono così ad una casetta; l’uccellino vi si posò sul tetto. I bambini osservarono meglio la casetta e si accorsero che era fatta di pane e coperta di focaccia.

Le finestre poi erano di zucchero filato. Dolce casa, davvero!

Nannino salì sul tetto e ne staccò un angolo per sentire che sapore aveva. La piccina rosicchiava intanto una finestra. Improvvisamente giunse una voce dalla casetta:

Rosicchiala in alto, rosicchiala in basso
Perchè tal fracasso?

Nannino e Ghita risposero sullo stesso metro.

Non senti ch’è il vento.
Il vento violento
Che porta spavento…

E, imperturbabili, continuarono a mangiare. In quel momento nulla al mondo avrebbe potuto distrarli da quella occupazione.

Ma ecco sul più bello aprirsi la porta della casetta e venir fuori una donna vecchia come Matusalemme, che camminava appoggiata ad una stampella. I due piccoli si spaventarono e lasciarono cadere a terra ciò che avevano fra le mani. La vecchia crollò la testa e disse loro, rassicurandoli:

— Miei cari bambini, chi dunque vi ha condotto qui? Entrate non vi accadrà nulla di male. Entrate pure.

E presili per mano li condusse nell’interno della casetta. Fu dato loro ogni grazia di Dio: latte, frittelle dolci, mele e noci e tante altre leccornie. Poi furono preparati due piccoli letti bianchi dove i nostri due piccini si coricarono sotto fresche lenzuola e credettero di essere in Paradiso, trasportati ivi da un sogno.

Ahimè! La vecchia che li aveva accolti così gentilmente non era altro che una cattiva strega che divorava i bambini e che aveva fabbricata apposta la casa di pane e di zucchero per attirarli come in una trappola. Ogni bambino che arrivava presso la sua casetta, cadeva nelle sue mani; la vecchia strega lo ammazzava, lo cucinava e se lo mangiava. Era questo per lei un banchetto delizioso.

Di solito le streghe hanno gli occhi rossi e non possono vedere lontano, ma, hanno un fiuto speciale, come le bestie, e sentono quando un uomo si avvicina a loro.

Allorchè i due piccoli abbandonati erano giunti vicino alla casetta, la vecchia aveva riso malignamente e aveva detto tra sè:

— Sono certa che finirete qui da me. Non mi sfuggite più, ora mai!

Il giorno dopo la strega si levò prima che i bambini si svegliassero e, guardandoli dormire così tranquilli, con le guance rosse e fresche, pensò:

— Avrò un banchetto prelibato, questa volta!

Afferrato Nannino con la sua mano ruvida se lo portò in una piccola stalla che rinchiuse con una porta munita di una grata di ferro.

Nannino si mise a gridare e a piangere, ma le sue grida non servivano a niente…

La vecchia strega ritornò da Ghita che dormiva ancora e le diede un urtone:

— Su pigrona! Svègliati! Devi andare a prender l’acqua per cucinare qualche cosa di molto buono pel tuo fratellino. L’ho rinchiuso nella stalla e deve mangiare per diventar grasso. Quando sarà ingrassato per bene, allora me lo mangerò.

Ghita piangeva dirottamente, ma tutto era inutile. La strega non si commoveva.

E così la piccola dovette obbedire.

Si preparò dunque per Nannino le migliori vivande, mentre Ghita dovette accontentarsi di gusci di gambero.

Tutte le mattine la vecchia strega si recava alla stalla dov’era rinchiuso il povero Nannino e gli diceva:

— Mostrami un dito della tua mano, ch’io veda se sei diventato grasso abbastanza.

Il piccino le faceva vedere un ossicino. Allora la strega che non ci vedeva bene e che credeva si trattasse proprio del dito di Nannino, gridava indispettita:

— Come va che non ti decidi ad ingrassare? Ti dò da mangiare il meglio che ho! Fannullone!

Dopo quattro settimane, Nannino rimaneva sempre magro.

La vecchiaccia impazientita decise allora di mangiarselo com’era. E ordinò alla bambina:

— Olà, smorfiosa! Va a prendere l’acqua! Domani, o grasso o magro, ammazzerò Nannino e me lo mangerò!

Quante lagrime versava la povera bambina mentre portava l’acqua! Quante lagrime per il suo disgraziato fratellino!

— Signore, aiutateci! – sospirava. – Sarebbe stato meglio che le bestie feroci ci avessero sbranato nella foresta! Si moriva insieme, almeno!

— Finiscila con questi piagnistei! – ordinò la vecchia. – Quello che ho detto, sarà fatto!

Il giorno seguente Ghita dovette recarsi a prendere l’acqua col secchio, poi le ordinò di accendere il fuoco.

— Faremo prima di tutto il pane – disse la strega. – Ho già preparato il forno caldo e lavorata la pasta!

Diede uno spintone alla povera Ghita che la mandò vicino al forno dal quale già salivano le fiamme. E le ordinò:

— Prova se il forno è abbastanza caldo per introdurvi il pane. Spingiti dentro un poco.

Avrebbe atteso che la Ghita si fosse piegata sull’apertura del forno per gettarla dentro con un altro spintone e lasciarla arrostire.

La Ghita però che aveva indovinato le intenzioni della vecchia, rispose subito:

— Come posso provare se il forno è abbastanza, caldo e come faccio a spingermi dentro, se non so come si fa ad entrarci?

— Imbecille! – gridò la strega – l’apertura del forno è così grande che ci passo anch’io!

E in così dire zoppicò vicino al forno e mostrò alla bambina come doveva fare, introducendo lei stessa nell’apertura.

Allora Ghita si fece coraggio e le diede uno spintone così forte che la mandò tutta dentro; poi chiuse lo sportello e girò la chiave del forno.

Gli urli della vecchia, altissimi, facevano raccapricciare…

Ma la bambina scappò fuori dalla stanza e la maledetta strega dovette miseramente arrostire.

Frattanto la Ghita non perdette tempo. Rapida come il baleno corse dov’era rinchiuso il suo fratellino:

— Siamo liberi, Nannino! La vecchia strega è perita nel forno! – gridò.

Nannino, felice, saltò fuori dalla stalla come un uccello a cui si apra la porticina della gabbia dopo una lunga prigionia.

I due piccoli si saltarono al collo l’uno all’altra, spiccarono salti di gioia, si baciarono e si abbracciarono.

— Ora che non abbiamo più nulla da temere – disse Nannino – andiamo un po’ a vedere che cosa aveva in casa questa strega d’inferno.

In un angolo trovarono nascoste delle casse piene di perle vere e di pietre preziose.

— Queste sono meglio dei ciottoli – disse Nannino riempiendosene le tasche.

— Voglio portare anch’io qualche cosa a casa – disse Ghita, e sollevando le cocche del grembiulino, lo riempì di perle e di gemme.

— Adesso però – continuò Nannino – è meglio che andiamo via e che usciamo da questo bosco maledetto.

Camminarono un paio d’ore e si trovarono presso un largo fiume.

— Come potremo attraversarlo – osservò Nannino – se non vedo nessun ponte?

— E neppure barche si vedono – disse Ghita. – Vedo però un’anitra bianca… Ora la prego di portarci all’altra riva.

E disse ad alta voce:

Anitra cara, prendici sul dorso
Se non ne avrai lungo e triste rimorso!
Profonda e infida è l’acqua e fugge via…
Nannino e Ghita han perduto la via…

La bianca anitra si avvicinò obbediente ai due bambini e Nannino si sedette sul dorso invitando Ghita a fare altrettanto.

— No – disse la bimba – la povera anitra farebbe troppo fatica. Tutti e due siamo troppo pesanti per lei. È meglio che tu passi per primo il fiume; poi passerò io…

E così, per la gentilezza della brava anitra, poterono arrivare all’altra riva.

Ripresero il cammino e man mano che proseguivano nel bosco, lo trovavano sempre più conosciuto perchè già tante volte da loro percorso, finchè apparve da lontano la casa dei loro genitori.

Allora non poterono più trattenersi. Si misero a correre ed entrarono in casa come un turbine e saltarono al collo del loro caro papà che non aveva trovato più un’ora di pace dal giorno in cui aveva abbandonati i suoi figliuoli nella foresta. La cattiva matrigna frattanto era morta… Ghita lasciò andare le cocche del suo grembiulino e le perle e le pietre preziose rotolarono per la stanza con mille luccichii.

Anche Nannino ne toglieva dalle tasche una manata dopo l’altra e le gettava sul tavolo allegramente.

Da quel giorno Nannino e Ghita non ebbero più preoccupazione alcuna e vissero sempre felici insieme al loro amato babbo…

Finita è la favola
Cari bambini
E son pronti i candidi
vostri lettini!

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