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Fiabe di Luigi Capuana Fiabe per bambini

Capriccetto

Fiaba di Luigi Capuana

C’era una volta due contadini, marito e moglie, che vivevano col loro lavoro; lui andando a giornata, lei filando e tessendo. Avevano un bambino che era la maraviglia del vicinato. Divezzato da parecchi mesi, vestito, lavato, pettinato, la sua mamma lo metteva a sedere in un canto, per terra, sopra una vecchia coperta e gli diceva:

– Il mio bel piccinuccio

Se ne sta come un Reuccio.

E il bambino restava là, con le gambette allargate, le manine sui ginocchi, immobile. Si divertiva a seguire con lo sguardo i giri e i salterelli del fuso della mamma; e soltanto dal movimento degli occhi si capiva che era vivo.

– E non ride mai, comare? – domandavano le vicine.

– Non ride mai!

– E non piange mai, comare?

– Non piange mai!

– Eppure è vispo; non è uno sciocco.

– Intanto bada a crescere.

Infatti il bambino veniva su bianco di carnagione, biondo di capelli, ben fatto della persona; ma non rideva, non piangeva, non chiacchierava.

La mamma gli diceva:

– Piccino, sta lì…

E il piccino stava lì.

– Piccino, fa questo; piccino, fa quello.

E il piccino faceva questo, faceva quello. Le vicine, con certi demonietti di figliuoli, glielo invidiavano.

Una mattina che pioveva a dirotto, il marito non aveva potuto andare in campagna; e dalla soglia della porta, con le mani dietro la schiena, spiava il cielo nuvoloso e il ruscello formatosi nella via.

Ed ecco un povero vecchio, curvo, tutto inzuppato di acqua. Barcollava tentando di evitare le pozzanghere, e quasi non sapeva come andare avanti.

Il contadino ne ebbe pietà, lo prese per un braccio e gli disse:

– Nonno, nonno, riparatevi qui!

– Grazie, figliuolo.

– Siamo poveri, ma abbiamo un po’ di cuore.

– Grazie, figliuolo.

La moglie si era fatta avanti.

– Accostatevi al fuoco: asciugatevi.

Il vecchio si accostò al focolare, e i suoi panni cominciarono a fumigare così intensamente da sembrare che bruciassero. In pochi momenti erano già asciutti.

Marito e moglie lo guardavano con stupore. Fuori la pioggia continuava a venir giù a catinelle.

– Nonno, avete bisogno di qualche cosa?

– D’un sorso d’acqua, figliuola. Non occorre il bicchiere.

Prese la brocca di terracotta, e tenendola per i due manici, la portò alle labbra. Era quasi piena; e lui, bevi, bevi, bevi, senza neppur rifiatare la vuotò interamente fino all’ultima stilla. Marito e moglie lo guardavano con stupore.

– Nonno, avete bisogno di altro? Poveri siamo, ma abbiamo un po’ di cuore.

– Dopo l’acqua, figliuoli, ci vorrebbe un dito di vino.

– Quel po’ che ce ne troviamo in casa.

Il po’ era un bariletto appena appena incominciato.

– Grazie, figliuola. Non occorre il bicchiere.

Levò su con le braccia il bariletto, dopo di averlo sturato da due capi; e bevi, bevi, bevi, senza neppur rifiatare, lo votò interamente fino all’ultima stilla.

Marito e moglie lo guardavano con stupore.

Il bambino era rimasto seduto sulla seggiola dove lo aveva messo la mamma.

– È vostro figlio? – domandò il vecchio.

– Sì, nonno: nostro figlio.

– E non ride mai?

– Non ride mai!

– E non piange mai?

– Non piange mai!

– E sta sempre così tranquillo?

– Sempre così tranquillo!

– Lasciatemi vedere.

Il vecchio prese il bambino su le ginocchia, e gli aperse il petto della camicina. Guardava e scoteva la testa.

Tirò indietro il collo della camicia e frugava con gli occhi la schiena e le spalle, guardava e scoteva la testa.

Il bambino aveva i capelli lunghi, che gli scendevano in riccioli attorno al collo. Il vechio li scartava con le dita e osservava la pelle.

– Oh! Va bene! Va bene! Questo bambino è fortunato!

E lo rimise a sedere su la seggiolina.

Fuori la pioggia continuava a venir giù a catinelle.

– Nonno, avete bisogno di altro? Poveri siamo, ma abbiamo un po’ di cuore.

– Avevo sete: ora ho fame.

– Pane, formaggio, uova, cipolle; scusate…

Il marito stese il tovagliolo su la tavola, la moglie portò il pane, il formaggio e le cipolle.

– Le uova, a bere o nel tegame?

– Come vi piace, comare.

Intanto il vecchio spezzava con le mani la grossa pagnotta di pan bigio, e si metteva a mangiare: pane, formaggio, cipolle in un batter d’occhio erano spariti. Poi le uova, con un’altra pagnotta, altro formaggio, altre cipolle. Pareva che il vecchio non avesse mangiato da un mese.

Marito e moglie lo guardavano con stupore.

– Nonno, non abbiamo più niente…

– Mi butto in un canto, per dormire.

– C’è un letto, nonno, per voi!

Il vecchio, raggomitolatosi in un angolo, già russava forte. Si era addormentato anche il bambino.

Per non disturbarli, marito e moglie se n’erano andati di là, nell’altra stanza. Avevano paura; ma il marito non osava dirlo alla moglie, né la moglie al marito.

Chi era quel vecchio che aveva bevuto e mangiato tanto? E perché aveva detto: Va bene! Va bene! Questo bambino è fortunato?

– Dev’essere uno Stregone! – disse sottovoce il marito.

– Dev’essere un Orco! – disse sottovoce la moglie.

– E abbiamo lasciato il bambino a dormire con lui!

– Zitta!

– Zitto!

E in punta di piedi andarono di là, con lo spavento negli occhi.

Il bambino dormiva ancora su la seggiola…

Il vecchio non c’era più! E su la tavola, due grosse pagnotte di pane bianchissimo, una formella di cacio, parecchie cipolle freschissime e mezza dozzina di uova in un piatto.

– Era uno Stregone!

– Era un Orco!

Il bambino aperse gli occhi tutt’a un tratto; e, dalla stizza di essere stato svegliato, si mise a piangere forte, lui che non aveva mai pianto!

Poi, vedendo sulla tavola quelle grosse pagnotte di pane bianchissimo, cominciò a batter le mani e a ridere, a ridere, lui che non aveva mai riso.

Saltò giù dalla seggiola e tentava di arrampicarsi su la tavola, per prendere una delle pagnotte di pane bianchissimo, non mai visto in casa sua.

E siccome la mamma volle impedirglielo, il bambino cominciò a strillare, a pestare i piedi, lui che non aveva strillato né pestato i piedi, mai!

Babbo e mamma non sapevano se rattristarsi o rallegrarsi di quell’incredibile mutamento. Dovettero contentarlo.

– Questo pane è mio!

Tagliava larghe fette e mangiava.

– Questo cacio è mio!

Ne tagliava larghe fette e le mangiava assieme col pane.

– Queste cipolle, queste uova sono mie!

Le affettava, le sgusciava e le divorava per companatico.

Si sarebbe detto che, anche lui, come il vecchio, non avesse mangiato da un mese. Babbo e mamma lo guardavano con tanto di occhi, lo credevano stregato.

Su la tavola non erano rimaste neppure le briciole.

Il bambino, in due salti, fu fuori di casa. La sua apparizione così insolita mise in allegria tutto il vicinato. Bambini e bambine gli furono attorno, e lui già faceva il prepotentino, quasi fosse sempre stato in mezzo a loro. Vedeva un giocattolo in mano di qualcuno e stendeva la mano per strapparglielo.

– Dammelo! Lo voglio !

E se quello, o intimorito o impietosito, gli diceva:

– Prendilo! Te lo regalo – egli subito lo rifiutava, disprezzandolo:

– È brutto! Non lo voglio più!

Le vicine ridevano, lo accarezzavano, gli domandavano:

– Vuoi questo? Vuoi quello?

Non voleva niente. Correva di qua, correva di là: gli dispiaceva di essere accarezzato; e se qualche comare lo inseguìva e tentava di acchiapparlo, ridendo, ecco d’un salto, tuffava i piedi in una pozzanghera e ne faceva schizzare l’acqua fangosa.

Era la prima volta ch’egli dava questo spettacolo. Le vicine domandavano:

– Come avete fatto, comare? Si è svegliato tutto a un tratto?

– Tutto a un tratto, comare! E aveva il pianto nella voce.

– Vi dispiace? I bambini… devono essere bambini.

Poteva dire: – Me lo hanno stregato?

La povera donna e il marito avevano ragione di credere così. Passavano i giorni, passavano i mesi, e più il ragazzo cresceva e più diventava incorreggibile. Le vicine già lo avevano soprannominato: Capriccetto. Altro che Capriccetto! Avrebbero dovuto chiamarlo demonietto a dirittura.

Ora, quasi tutti i giorni, voleva andare in campagna col padre. Se non che arrivato ad un certo punto, il ragazzo spariva tra gli alberi, tra le macchie, dietro un muricciolo. Il padre, al ritorno, lo trovava allo stesso punto in cui era sparito.

– Dove sei stato, cattivo?

– Mi chiamo Capriccetto – rispondeva savio savio.

– Dove sei stato?

– Da quello.

– Chi quello?

– Mi chiama: Vieni! Vieni! Dice che mi regalerà un gran tesoro. Dice che ho il segno. E il tesoro può prenderlo soltanto chi ha il segno! Dove l’ho, babbo?

Il babbo non credeva niente di quello che il ragazzo raccontava. Conducendolo con sé, si proponeva di tenerlo d’occhio, per evitare che sparisse; ma ogni volta, che è che non è, il ragazzo non era più là. Al ritorno, il padre lo trovava là, quasi non si fosse mosso.

– Dove sei stato?

– Da quello.

– Chi quello?

– Mi chiama: Vieni! Vieni! Dice che ho il segno! E il tesoro può prenderlo soltanto chi ha il segno.

Ogni volta che il marito raccontava alla moglie le sparizioni del figliuolo, la povera donna si metteva a piangere.

– Un giorno o l’altro, vedrai, non tornerà più.

– Ma si può sapere che sia questo segno? L’hai tu mai veduto?

– Nostro figlio non ha nèi, né voglie, né segno di nessuna ,sorta.

– Osserviamolo bene da capo a piedi.

– Se si lascia osservare.

Mentre il ragazzo dormiva, ignudo, babbo e mamma, con un lume in mano, lo osservarono dalla pianta dei piedi alla fronte; la bianca carnagione non aveva neppure un piccolissimo segno di lentiggine.

Allora la mamma si ricordò che lo Stregone, o Orco che fosse, aveva anche osservato tra i capelli nella nuca, e che allora aveva esclamato: Oh! Va bene! Va bene! E infatti, sotto i capelli, su la nuca, la mamma scoperse tre lineette rosse, traversali, che si scorgevano appena, e sembravano un lieve graffio.

– Il segno dev’esser questo!

– È questo! È questo!… Dunque è vero! Nostro figlio prenderà il tesoro.

– E saremo ricchi! Non mi ero ingannata, dicendo che quel vecchio era un Orco!

– O piuttosto: uno Stregone!

La mattina dopo, il ragazzo era bell’e pronto ad andar via.

– Mi ha chiamato: Vieni! Vieni!

– Ma chi ti chiama?

– Dove vai?

– Sento parlare e non vedo nessuno. Vado come portato via dal vento: e, in un batter d’occhio, mi trovo lassù, nel castello, nel palazzo, nella grande grotta, non so: e in ogni stanza, mucchi di pietre preziose. Ma lui dice: «La pietra più preziosa è questa qui». E mi mostra sua figlia, che sembra davvero fatta di pietra. Non parla, non si muove, ed ha due occhi lucidi più di quelli del gatto. E il vecchio mi domanda: «La vuoi? La vuoi?». Che ne devo fare? E gli rispondo: «Tenetevela!». Lui si arrabbia, si morde le mani… e mi scaccia via! Che ne devo fare di quella sua figlia di pietra? Dovrebbe darmi piuttosto una manciata di pietre preziose! …

E mentre parlava, Capriccetto non stava fermo: gesticolava, faceva mosse buffe con gli occhi e le labbra, dava due girate su i tacchi, come una trottola, e rideva, e canticchiava, e si fermava per stare in orecchio.

– Sentite? Vieni! Vieni!

Il ragazzo sparì, quasi portato via da una folata di vento. Questa volta Capriccetto non tornò. Il babbo e la mamma lo piansero per morto.

E passarono sette anni, sette mesi e sette giorni. Ma la sera avanti del settimo giorno, a ora tarda, i due contadini, marito e moglie, udirono un gran picchio alla porta. La mamma disse subito:

– È Capriccetto!… Riconosco il suo picchio!

Lo chiamarono col soprannome di quand’era bambino. Capriccetto, sì, era divenuto un bel giovane, alto, robusto, con lunghi capelli biondi attorno al collo, e sempre con l’aria furbesca e birichina che gli aveva meritato quel soprannome. Lo abbracciarono, lo baciarono, lo festeggiarono.

– Sette anni, sette mesi e sette giorni! Ti abbiamo pianto per morto, figlio mio!

– Come? Sono stato qui durante questo tempo; ho mangiato, ho dormito qui… Non mi avete veduto?

Alla notizia del suo arrivo era accorso tutto il vicinato.

– Benvenuto! Benvenuto! Sette anni, sette mesi e sette giorni! Ti abbiamo pianto per morto!

– Come? Sono stato qui durante questo tempo. Non mi avete veduto?

Tutti lo guardavano increduli:

– Sempre Capriccetto! Non c’è che direi

Allora egli capì che il vecchio lo aveva tenuto prigioniero, e gli aveva dato l’illusione di trovarsi ogni giorno a casa sua e tra le persone del vicinato.

Come fare a sfuggire a questa prepotenza, a questa soperchieria? La mamma gli disse:

– Quando il vecchio ti chiama e stai per essere portato via, noi ci aggrapperemo a te e verremo colà anche noi. Lo pregheremo, lo supplicheremo…

– Ci aggrapperemo a te anche noi, una dietro l’altra: lo pregheremo e lo supplicheremo… – replicarono le vicine.

E tutti stavano in attesa che il vecchio, al solito, chiamasse: Vieni! Vieni!

Passa un giorno, ne passa un altro, poi un altro ancora; in tutto il vicolo si mangia in piedi, alla meglio, si dorme a intervalli, chi sì chi no, per esser pronti alla volata di Capriccetto… Ma il vecchio non chiama: Vieni! Vieni!

E tutti pensavano al tesoro che Capriccetto doveva prendere; e ognuno pensava:

– Ne toccherà un po’ anche a me.

Ma il vecchio maligno non chiamava!

Finalmente, quando meno se lo aspettavano, Capriccetto dà un balzo. Ha sentito: Vieni! Vieni!

La mamma lo afferra per un braccio, il babbo per l’altro braccio; e tutto il vicinato, uomini e donne, si aggrappano a lui, uno dietro l’altro; e la gran folata di vento li porta via tutti, quasi che fossero tanti fuscelli di paglia.

Se non che, di tratto in tratto, qualcuno non si regge e casca giù, per fortuna senza farsi male. Così tutto il vicinato viene seminato per strada. All’arrivo, soltanto la mamma aveva resistito, e penetrava col figlio nella casa dello Stregone, che Stregone o Orco che fosse, nessuno lo sapeva precisamente.

Il vecchio fingeva di non accorgersi della mamma di Capriccetto, che pure lo teneva stretto per una mano: e lo conduceva davanti a quella che diceva sua figlia:

– La pietra più preziosa è questa qui! La vuoi? La vuoi?

Quasi che col contatto della mano della madre gli si fossero snebbiati gli occhi tutt’a un tratto, egli vide una bellezza straordinaria, una giovinetta fiorente, con una ricchezza di capelli che splendevano più del sole.

Sorrideva, ma con la testa accennava alla mamma di Capriccetto perché si accostasse.

La povera donna le s’inginocchiò davanti balbettando: – Figlia mia! – e baciandole la mano.

Che cosa sia accaduto dopo, nessuno ha saputo mai dirlo! La madre di Capriccetto credeva di aver fatto un bel sogno; e Capriccetto sapeva che assieme con quella giovane bellezza, divenuta sua sposa, una luce di uguale bellezza gli si era sviluppata nella mente.

Gli sembrava di averla ripiena di tutte le pietre preziose che il vecchio chiamava le «divine parole» e che adesso gli sgorgavano dalle labbra ogni volta che egli andava cantando le sue dolci canzoni per città e per borghi, canzoni che nessun altro sapeva cantare, perché nessun altro era nato col segno come lui. Fortunatamente, alcune di esse, trasmesse di bocca in bocca, sono arrivate fino a noi.

Alcuni vogliono dar a intendere che quelle che ora cantano loro siano formate con le stesse «divine parole» – diamanti e altre pietre preziose – di Capriccetto, ma non è vero.

Sono tutte pietre false.

Pietre preziose, «divine parole»

Non le possiede chiunque vuole;

«Divine parole», pietre, diamanti…

Ma non è fiaba per tutti quanti!

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