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Il lumino azzurro

Fiaba di Gian Dàuli

C’era una volta, in un lontano paese, un soldato che, dopo avere per molti anni servito il suo Re, si vide da questi mandato via perchè pieno di ferite e più buono a nulla. Anzi, le parole del Re, nel mandarlo via, erano state abbastanza dure.

— Io non sono abituato a tenere al mio servizio gente invalida pertanto, da oggi, non fai più parte del mio esercito.

Con la morte nel cuore, il povero soldato fu costretto ad andarsene. Ma che poteva fare, se era povero povero e per di più bisognoso di cure? Intanto qualcosa bisognava pur fare: e s’incamminò per la campagna.

Cammina, cammina, cammina a notte giunse in una foresta e già si disperava non sapendo come sfamarsi, quando da lontano vide brillare una luce azzurra. Rincuorato vi si avviò di buon passo e giuntovi bussò ad una porta.

— Chi è? – domandò la vociaccia di una strega.

— Anima cristiana, per carità, datemi un boccone di pane e un cantuccio per dormire.

La strega lo guardò per ogni verso poi rispose:

— Va bene, ma ad un patto: che tu faccia quanto io voglio.

— Comandate e obbedirò.

— Ecco, domani tu devi vangarmi tutto il giardino.

Il povero soldato acconsentì pur di avere con che riposarsi e togliersi la fame, e il domani, all’alba, si pose al lavoro. Ma il giardino era grande e per quanto impegno ci mettesse non gli riuscì di vangarlo tutto.

A sera la strega venne e gli disse

— Se non hai finito non importa, io ti terrò un’altra notte a patto che tu domani mi spacchi una catasta di legna.

Il domani il poveretto dài e dài colpi di accetta su colpi di accetta, a sera aveva terminato il suo lavoro, e la strega gli permise di restare anche quella notte.

— In compenso – gli disse – domani scenderai in fondo al pozzo asciutto che è in cortile e mi prenderai il «lume » che fa la luce azzurra, cadutomi dentro.

Il domani mattina la strega accompagnò il soldato al pozzo e legatolo alle ascelle con una corda lo calò in fondo al pozzo. Una bagatella da nulla, che appena giù il nostro uomo prese il lumino e fece segnale perchè lo si tirasse su. Ma quando era proprio all’orlo, si accorse che la stregaccia voleva prendergli il lumino per poi lasciarlo cadere giù in fondo al pozzo, e scaltro le gridò:

— È inutile che tentiate: il lumino azzurro lo avrete solo quando io sarò fuori.

La strega, vistasi scoperta, montò su tutte le furie e lasciò precipitare il malcapitato in fondo al pozzo.

Nella caduta il soldato non riportò alcun male perchè in fondo al pozzo c’era dell’erba alta e folta, ma non per questo la sua situazione poteva dirsi rosea. Pensa e ripensa, non trovò nulla da fare. Allora si ricordò che in tasca aveva la pipa, la prese, l’accese al lumino azzurro, e cominciò a fumare.

Ma non aveva tirato due boccate quand’ecco presentarglisi uno gnometto che, con una grande riverenza, gli disse:

— Comanda, padrone, sono ai tuoi ordini.

— Ti pare che sia il momento di comandare? – rispose amareggiato il povero soldato.

— Sì padrone: e sappi anche che io son qui per fare tutto quanto tu vorrai.

— Allora, fammi uscire da questo inferno.

Lo gnommetto senza farselo dire due volte, lo prese per mano e attraverso un passaggio segreto lo portò all’aperto, non senza, prima, avergli raccomandato di non lasciare mai il lumino azzurro.

Appena riacquistata la libertà, il primo pensiero del soldato fu quello di vendicarsi della strega, pertanto ordinò allo gnometto di legarla ben bene e trascinarla davanti un giudice per vederla condannata per tutto il male che al mondo aveva fatto.

Lo gnometto sparì. Passarono alcune ore, poi ecco la strega giungere a cavallo d’un gatto selvatico, veloce come una saetta e gridando come un uragano: ma erano gli ultimi urli, chè di lì a poco ritornò il nostro gnometto per annunciare che la stregaccia aveva pagato, il fio dei suoi peccati e pendeva giù dall’alto di una ben solida fune.

— Se vuoi dell’altro, comanda.

— Per adesso non ho bisogno di nulla, ma se avessi bisogno ancora di te, che cosa dovrei fare per chiamarti?

— Semplicissimo: non avrai che da accendere la tua pipa al lumino azzurro ed io comparirò. – Detto ciò sparì.

Rimasto solo, il soldato si mise in cammino e ritornò alla città dove abitava il suo re; prese alloggio alla migliore locanda, occupò il più sontuoso e costoso degli appartamenti, e quando si fu ben bene ristorato, accese la pipa al lumino e lo gnometto riapparve.

— Eccomi, comanda.

— Voglio vendicarmi del Re che mi ha trattato tanto male.

— E che debbo fare?

— Stanotte, quando la Reginotta dorme, tu vai a prenderla e me la porti qui: voglio che mi serva come la peggiore delle sguattere.

— Bada – gli suggerì lo gnometto giudizioso – per me quanto vuoi è impresa da ridere, ma per te può essere un’avventura pericolosa.

— Niente, niente, tu fa’ come ti dico: voglio vendicarmi così.

Lo gnometto ubbidì. Appena al più alto campanile suonò la mezzanotte, si introdusse nel Palazzo Reale, prese la Reginotta e la portò diffilato nella camera del soldato.

— Ah, ah, sei tu? – gridò il soldato vedendo la fanciulla. – Bene bene: allora spazza la camera e spolvera dovunque. – E quando ebbe spazzato e pulito per ogni dove. – Ora toglimi le scarpe e puliscile ben bene, e guai a te se non luccicano come specchi.

La Reginotta fece tutto quanto le venne ordinato, ma appena cantò il gallo lo gnometto la riportò nel suo letto.

La mattina seguente la Reginotta, alzandosi, andò dal Re suo padre e gli raccontò che aveva fatto uno strano sogno.

— Maestà, ho sognato di essere stata portata via, nella camera di un soldato, e là obbligata a fare i più umili mestieri. Ma pur essendo stato un sogno mi sento stanca, stanca come se quei mestieri l’avessi fatti davvero.

Il Re, subodorando qualche stregoneria, le rispose:

— Può darsi che sia sogno e può anche darsi di no. Reginotta stanotte empitevi le tasche di piselli e fatevi un buco in modo che se verranno a prendervi lascieranno, cadendo, una traccia.

Ma lo gnometto che era furbissimo, resosi invisibile sentì bene tale discorso e la notte, prima di portare la Reginotta dal soldato, ebbe cura di spargere tutte le vie della città, di piselli di modo che il domani quando il Re mandò i suoi servitori a cercare la traccia trovò che dovunque c’erano piselli.

— Bisogna trovare un altro espediente – disse il Re alla figlia, e si diede a pensare: infine trovò. – Ecco Reginotta; stanotte andate a dormire con le scarpe e poi nascondetene una sotto il letto del soldato che vi costringe a servirlo.

Lo gnometto sentì tutto e andò subito a riferirlo al suo padrone.

— Bada che io non posso farci nulla e se si trovano le scarpe sotto il letto, finirai sul patibolo.

— E tu non dartene pensiero: fa come ti dico.

E lo gnometto fece come al solito: ma la Reginotta, prima di lasciare la casa, nascose sotto il letto del soldato una sua scarpa.

Il domani il Re mandò le sue guardie a perquisire tutte le case della città e, com’era da prevedersi, trovarono la scarpa sotto il letto del soldato che venne arrestato e caricato di catene, portato davanti al giudice e condannato ad aver mozza la testa.

E già tutto era pronto, e il Re aveva preso posto sul palco, quando il soldato, che non si era dimenticato di portarsi con sè la pipa nè il lumino, domandò la grazia di fare una fumatina.

— Ti sia concesso – gli rispose il Re – ma non sperare oltre nella mia clemenza.

Il soldato, tranquillo, tirò fuori il lumicino, vi accese la pipa ma non aveva tirato due boccate di fumo che eccoti lo gnometto.

— Comanda padrone.

— Bastona a sangue tutti e non risparmiare nessuno – gli ordinò il soldato e lo gnometto, con una forza da non credersi e la rapidità del fulmine cominciò a distribuire bastonate a dritta e a manca: e tante ne diede e ridusse tutti così malconci che il Re, per salvarsi, dovette invocare clemenza e siccome il soldato da quell’orecchio non ci sentiva, finì per associarselo al trono e concedergli la figlia in sposa pur di cessare quello scempio. Nè ebbe a pentirsene chè la Reginotta trovò un marito modello, e il popolo un principe generoso.

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