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Fiabe di Gian Dàuli Fiabe per bambini

L’erba buona e l’erba cattiva

Fiaba di Gian Dàuli

C’era una volta un cacciatore che ogni mattina di buon’ora se ne andava in giro in cerca di selvaggina.

Un mattino, girando per il bosco, incontrò una vecchia tutta lacera che gli domandò l’elemosina.

— Bel giovane, la carità d’un tozzo di pane che ho fame.

Il cacciatore, che era di buon cuore, gli diede metà della sua colazione e la vecchia per ricambiarlo gli disse:

— Tu sei stato buono con me ed io voglio esserlo con te. Ascoltami. Quando mi avrai lasciato incontrerai un branco di nove uccelli che sopra un albero si disputano un mantello: è il mantello dei desideri, basta portarlo su le spalle ed esprimere un desiderio perchè uno venga subito accontentato. Allora, senza perdere tempo, tira una schioppettata in mezzo e il mantello cadrà a terra e con esso anche un uccello morto, Se vuoi, all’uccello, prendi il cuore e inghiottilo: ogni mattina sotto il cuscino troverai una lira sterlina.

Il cacciatore ringraziò e cantando continuò il suo cammino pensando che se le cose che gli aveva promesse la vecchia si fossero avverate sarebbe stata una bella fortuna.

Andava così almanaccando quando venne attratto dallo schiamazzo di un branco di uccelli, su un albero: alzò gli occhi e rimase stupito; la vecchia aveva detto il vero! Allora, senza pensarci su due volte, imbracciò il fucile e ne tirò un colpo nel mezzo del mantello che gli cadde ai piedi e con esso uno degli uccelli, stecchito. Il cacciatore, subito aprì il petto al pennuto, gli strappò il cuore e lo inghiottì. E questo sarebbe poca cosa: il sorprendente fu che il domani, svegliandosi, e guardando sotto il guanciale, trovò davvero la lira sterlina: e così per ogni mattina. Una vera cuccagna, tanto che in breve accumulò un bel gruzzoletto. Ma di quella vita il cacciatore fu stanco presto, e, spirito avventuroso, salutato il padre e la madre si pose in cammino.

Per giorni e giorni andò senza trovare nulla di straordinario, poi, finalmente, uscendo da un bosco, in mezzo ad una sterminata pianura, vide un bellissimo castello, e siccome era stanco pensò di andarsi a riposare.

Ora, bisogna sapere, che quel castello, era abitato da una strega (che aveva una figlia bellissima) la quale sapeva, naturalmente, i fatti di tutti e quindi anche quelli del nostro cacciatore.

— Vedi quell’uomo che esce dal bosco? – disse alla figlia. – Quello ha dentro di sè un tesoro: nientemeno ha inghiottito il cuore di un uccello raro, in virtù del quale, ogni mattina, quando si sveglia, trova sotto il guanciale una lira sterlina – e spiegò alla figlia come doveva fare per toglierglielo, minacciandola di maledizione qualora non avesse obbedito.

A questo punto bisogna sapere anche che la figlia della strega era tanto bella che appena il nostro cacciatore la vide se ne invaghì e decise di fermarsi alcun tempo al castello per starle vicino. Era quello che voleva la strega la quale si diede a preparare una bevanda e quando fu pronta ingiunse alla figlia di farla bere al cacciatore. Infatti la fanciulla, tutta vezzi, la porse al suo innamorato che per farle cosa grata la bevve, cadde addormentato e rigettò il cuore dell’uccello che venne subito inghiottito dalla fanciulla.

Tuttavia il cacciatore non trovando più sotto il guanciale la sterlina, si accorse del tradimento, ma essendo, come abbiamo detto innamoratissimo, reputò gran dono poter vivere accanto alla donna amata e non protestò.

Ma la stregaccia non era contenta ancora, e disse alla figlia:

— Bisogna portargli via anche il mantello incantato.

— Lasciamogli almeno quello – cercò implorare la fanciulla che amava davvero il cacciatore.

La strega s’inviperì:

— Stupida, non sai che quel mantello è una delle poche meraviglie del mondo? Lo voglio e deve essere mio, – e spiegò alla figlia come doveva fare per impossessarsene.

Infatti la figlia cominciò a mostrarsi triste e quando si affacciava alla finestra guardava lontano lontano e spesso sospirava.

— Che hai? – le domandò i1 cacciatore – perchè sei così malinconica?

— Vedi quel monte? – gli rispose lei. – È il monte Granati, dove si trovano le più splendide gemme, ed io vorrei andarvi per prenderne tante: ma poi penso che lassù possono arrivarci solo le aquile e mi prende la malinconia.

— Se è per questo, amore mio, non angustiarti: ti ci porto io – e avvoltisi tutt’e due nel mantello volarono immediatamente sul monte Granati.

Lassù rimasero addirittura allocchiti: i brillanti, gli zàffiri, le ametiste, gli smeraldi di rara grossezza e bellezza, stavano ammucchiati e chi voleva poteva prenderne a profusione. Gira e rigira, il cacciatore, per virtù d’un incantesimo della strega, venne preso dal sonno e disse alla fanciulla:

— Corichiamoci un poco e schiacciamo un sonnellino – così dicendo si stese per terra e si addormentò di colpo; allora la ragazza, lesta, si alzò, raccolse molte manciate di gemme, si ravvolse ben bene nel mantello e se ne volò via.

Come rimanesse, quando si svegliò, il povero cacciatore ve lo lascio immaginare: che fare? a chi rivolgersi? Intanto, nel monte, abitavano dei giganti enormi e feroci e non passò molto che tre di essi, su per l’erta del monte, salivano verso il punto dove si trovava il cacciatore il quale, appena se ne accorse, si sdraiò per terra di nuovo e finse di dormire della grossa.

Quando i giganti si accorsero di quello strano visitatore, lo guardarono con meraviglia.

— Che razza di verme è? – domandò uno dei tre.

— Non vedi? Si tratta di uno scarafaggio. Schiaccialo, su via – rispose un altro.

— Ma no – intervenne il terzo – non conta proprio fare questo sforzo: vivere molto non può: se sale sulla vetta se lo prendono le nuvole e lo portano via.

E si allontanarono: ma il cacciatore ne sapeva già abbastanza chè aveva finto di dormire e le orecchie le aveva tenute ben tese. Infatti si alzò e di corsa si arrampicò fin su la vetta del monte e lì, dopo appena un minuto, calò una nube, l’avvolse e se lo portò via deponendolo, infine, in mezzo ad un orto.

Il cacciatore ringraziò il Signore di avergli salvata la vita e si mise a cercare qualcosa da mettere sotto i denti: ma non c’era proprio nulla e per non morire di fame cominciò a mangiare dell’insalata che si trovava là. Ma non ne aveva mangiato che pochi bocconi quando, con sua meraviglia, s’accorse che il suo corpo si cambiava e in meno che non si dica gli spuntarono quattro zampe, una testa lunga, delle orecchie enormi, del pelo e si trovò, senza volerlo, mutato in asino. Non per questo smise di mangiare, chè anzi la fame era cresciuta a dismisura.

Mangia, mangia, mangia trovò un bel cespo di lattuga ricciutella e tenera tenera che metteva l’acquolina in bocca, e senza pensarci due volte la mangiò: miracolo dei miracoli, non l’aveva ancora inghiottita che le quattro zampe, gli orecchi e il pelo sparirono e si trovò uomo come prima.

La felicità di quel cambiamento fu molta – via, rimanere somaro tutta la vita non è una bella attrattiva – però maggiore fu l’insegnamento che ne ricavò: contento come una pasqua colse due cespi di insalata cattiva e due cespi di lattuga buona e se ne andò. Il suo piano l’aveva bell’e preparato.

Cammina, cammina, cammina, domandando a destra e a sinistra, tanto fece finchè ritrovò la casa della strega; allora, per non farsi riconoscere, si tinse il volto in nero e bussò alla porta della megera.

— Chi siete? Che volete? – domandò la stregaccia apparendo sulla porta.

— Sono un messaggero del Re mandato a cercare l’insalata più saporosa del mondo e che per mia buona ventura ho trovato. Ora sono stanco e domando ospitalità per questa notte.

La strega, che era anche golosa, sentito che aveva trovata l’insalata più saporosa del mondo si sentì l’acquolina in bocca, e rispose:

— Volentieri, ma voi mi fate assaggiare della vostra insalata?

— Altro che, ne ho tanta e un po’ posso darvela – e così dicendo le diede i cespi dell’insalata cattiva.

La strega, nulla sospettando, corse in cucina per pulirla e condirla, tan

to era la brama che non volle attendere di averla portata a tavola e ne mangiò un boccone: ma l’aveva appena inghiottita che eccola tramutata in asina, la quale, sgroppando e ragliando, se ne andò nella stalla.

Intanto, nella sala da pranzo, la figlia aspettava con il finto messaggero del Re, e vedendo che la madre ritardava e volendo anche lei assaggiare di quell’insalata tanto gustosa, domandò;

— Ma perchè non, viene mia madre?

Il giovane premuroso, sicuro che già il suo effetto l’erba doveva averlo fatto, andò lui a prendere il piatto e a portarlo alla giovane, le quale, appena l’assaggiò, si mutò subito anche lei in asina che scalpitando e ragliando andò a raggiungere la madre nella stalla.

Ma ancora la vendetta del giovane non era completa e pertanto messa la cavezza alle due bestie, andò difilato ad un mulino lì accanto e chiamato il mugnaio gli disse:

— Se volete vi regalo queste due bestiacce ma ad un patto: dovete trattarle come vi dico io.

— Va bene, che debbo fare?

— Ecco; alla somara vecchia, dovete somministrare tre volte al giorno dieci bastonate e una volta foraggio; alla giovane invece niente bastonate e tre volte foraggio.

— Se è per tanto ci sto.

Così detto, il mugnaio prese in consegna le due bestie e il cacciatore se ne tornò al Castello. Ma di lì ad otto giorni ecco il mugnaio che ritorna impensierito.

— Ho fatto come mi avete detto voi, e così facendo la somara vecchia è morta e la giovane è triste,

Il cacciatore, allora, pregò il mugnaio di riportargli la somara giovane e gli fece anche un bel regalo, e quando l’ebbe con sè, le fece mangiare della lattuga buona e quella d’un subito ritornò donna.

E non ci fu neppure bisogno di parole e di spiegazioni: la fanciulla cadde in ginocchio davanti al giovane piangendo e domandando perdono.

— Perdono, perdono amore mio, non ho colpa io: fui obbligata da mia madre e dovetti fare la sua volontà: ma io ti voglio tanto bene, e ti restituirò mantello e cuore.

A queste parole il cacciatore si commosse e abbracciandola le rispose:

— Non ritornarmi nulla, chè non voglio nulla, ma se è vero che mi vuoi bene, diventa la mia sposa.

E così fu fatto, e vissero sempre felici e contenti.

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